Adele è una ragazza di quindici anni, ansiosa di vivere l’amore e la vita. Con le compagne di liceo condivide le prime cotte e le prime curiosità sessuali, e si invaghisce di un ragazzo della sua età, Thomas, al quale si concede senza troppa voglia. Ma l’amore, come scrive Marivaux, è predestinazione: sarà una ragazza dai capelli blu incontrata casualmente per strada e ritrovata in un locale gay a rubarle il cuore. La storia d’amore con Emma si rivelerà per Adele una fonte inesauribile di emozioni contrastanti, ora deliziose ed estasianti, ora dolenti e faticose. In ogni caso, sarà per lei un’occasione di crescita.
Palma d’oro a Cannes 2013, il film di Kechiche si affaccia significativamente sulla scena cinematografica francese nell’anno “caldo” dei dibattiti e delle manifestazioni per l’approvazione della legge sui matrimoni omosessuali, e certamente registra il clima acceso, ma al contempo liberatorio, di un cambiamento per la società francese.
L’amore che il regista tunisino racconta si erge al di sopra di pregiudizi e convenzioni sessuali, si alimenta della confusione dei sentimenti e dei generi, si disvela in tutta la sua potenza nell’esplosione dei sensi e nella nudità dei corpi. Il tutto raccontato con una macchina da presa sempre in movimento, ad inseguire ricercati primi piani, capaci di raccontare gli anni (e i pugni) in tasca di un’adolescente che cresce, e forse anche di indagare la “misteriosa debolezza del volto umano”, per dirla con Sartre, citato come paladino della libertà e dei diritti (anche gay) in una scena del film.
Una storia di amore e adolescenza, dunque, con momenti di elevata delicatezza e rara sensibilità, che fanno tornare alla memoria i baci rubati e la libertà di Truffaut. Ma il film non sfugge, purtroppo, ad evidenti semplificazioni, scadendo nel cronachistico quando cerca di raccontare il sociale (i cortei di protesta degli studenti, le manifestazioni per i diritti degli omosessuali) e nel convenzionale e déjà vu per gli sviluppi del racconto di un'educazione sentimentale, talvolta anche nel sentimentalismo o nel romanticismo giovanilistico più seriale.
Le tensioni tra i protagonisti e il mondo esterno sono accennate ma poco indagate, i conflitti interni alla coppia ridotti a mere diversità caratteriali e attitudinali tra le protagoniste. La lunga durata del film non contribuisce a scandagliare tematiche e situazioni che tendono a rimanere in superficie, e tre ore di pellicola appaiono eccessive e spropositate per una storia d’amore che, non fosse per l’inconsuetudine (al cinema, ovviamente) del genere sessuale, apparirebbe già vista e ritrita. Le lunghissime, estenuanti scene di amplesso cadono anch’esse nel noioso calderone: il loro insistito, “scandaloso” realismo appare incongruo rispetto alla dichiarata levità e alla delicatezza dell’opera e le rende assimilabili a meri momenti softcore avulsi dal contesto filmico (tant'è che a tratti vien da chiedersi se si tratti di Vita di Adele o di Histoire d'O.).
Resta, tuttavia, la novità e il fragore del “film manifesto”, destinato a durare proprio per come riadatta convenzioni e topoi di tanto cinema, anche non eccelso, alle nuove esigenze e al cambiamento dei tempi.
Forse la Palma d’oro era eccessiva, ma il francese, si sa, è sempre pro domo sua. Mirabile, in ogni caso, la direzione delle attrici, Léa Seydoux e Adéle Exarchopoulos, che concedono senza remore allo sguardo indiscreto della macchina da presa le loro anime e, soprattutto, i loro corpi.
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