Belle & Sebastien

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30 anni dopo l’anime Valutazione 3 stelle su cinque

di Eugenio


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venerdì 14 febbraio 2014


Ci risiamo. Un altro prodotto tratto da una serie televisiva di successo trasposto sul grande schermo.
Correva l’anno 1981 e in Giappone veniva realizzato Belle e Sebastien  cartoon reso celebre dalla famosa sigla di Fabiana e dagli scenari mozzafiato alpini che facevano da cornice a una bellissima storia di amicizia tra un bambino, Sebastien e il cane patou Belle.   
L’anime a sua volta basato sul romanzo omonimo del 1965 della scrittrice e attrice Cécile Aubry, era ambientato tra le montagne dei Pirenei dove Sebastien  viveva con il nonno adottivo e la nipote di lui, Angelina. Il ragazzo dotato di un carattere chiuso poco incline all’amicizia, durante un’escursione incontra un enorme cane bianco accusato ingiustamente di uccidere le pecore del villaggio  e osteggiato per tale natura da tutti gli abitanti del villaggio che cercano di catturarlo con ogni mezzo. Sebastien ripone il suo affetto (mai totalmente soddisfatto)  nel cane che diventerà col tempo il suo principale punto di riferimento oltre che migliore amico. Al fine di salvare Belle da una sorte evidente,  il giovane uomo abbandona la sua famiglia adottiva iniziando un lungo viaggio verso la Spagna alla ricerca della madre da tempo perduta e creduta morta vivendo di una serie di  avventure che rafforzeranno il suo legame con il fedele animale oltre che il suo spirito messo a dura prova da difficili intemperie.
Storia semplice sul rapporto uomo-natura, sull’amicizia tra esseri umani e animali la cui armonia è suggellata dai paesaggi incontaminati non ancora “rovinati” dalla mano dell’uomo, Belle e Sebastien  risorge per grandi e piccini a distanza di oltre trent’anni dalla serie televisiva  grazie “al coraggio” di Nicolas Vanier, esploratore, cineasta, documentarista in grado di condensare in un’ora e mezza il fascino del romanzo di Aubry.
Sfruttando una fotografia nitida e molto curata nei dettagli di ripresa favorita dalla location particolarmente affascinante,gli alpeggi e  le panoramiche sui Pirenei, Vanier recupera il progetto iniziale di Aubry sostituendo alla ricerca della madre creduta morta, la condizione di orfano di Sebastien (protagonista (interpretato dall'adatto Félix Bossuet) focalizzandosi sul percorso di crescita dell’adolescente verso la difficile maturità. Una maturità ben incarnata dai membri del villaggio ( in particolare dal nonno Cesar) alla ricerca di un capro espiatorio che possa giustificare la moria  di pecore; un piccolo villaggio di provincia chiuso e spesso incapace di comprendere a fondo lo spirito puro di un ragazzino, impegnato come è ad colpevolizzare e condannare piuttosto che perdonare e capire.
Sebastien in questo senso è efficace. Si scontra a muso duro contro  la barbarie degli uomini tentando di porre un freno ad una spasmodica quanto inutile “caccia al mostro”che non conosce tregua e giustificazione. L’intento ecologico e la morale “naturalistica”  è assai forte: spazia dalla condanna ai cacciatori di frodo di camosci “in estate” alla tenace amicizia tra uomo e bestia, accusata, colpita ma mai aiutata sino in fondo perché “selvatica e pericolosa”.  Un vecchio spot citava che la vera bestia è in noi più che negli animali e certamente Belle e Sebastien ne enfatizza- grazie alle suggestive riprese a baluardo della manifestazione naturale contro l’artificio umano- la duplicità, la dicotomia di fondo che alberga in ciascun essere vivente.
Non tutti gli uomini come le bestie sono cattive ma spesso il male purtroppo si insinua in ambienti ritenuti “puri” come i villaggi appartatati di poche anime perduti tra i monti.  Ne è esempio il nazismo, qui utilizzato come veicolo per una lotta simbolica tra “il bene” (Belle,il cane Sebastien) e il male (alcuni abitanti del villaggio, il tenente della guarnigione) a tratti fuori luogo.
L’abuso dell’angherie delle truppe naziste a danni di alcuni abitanti del villaggio su cui scorre parallelo il filone del salvataggio di una famiglia di ebrei,  scade nella dimensione simbolica. Un peccato. Eppure era semplice e tutti gli ingredienti erano a disposizione: la lingua del silenzio delle paradisiache immagini, il riuscito design del suono, la suggestione di una storia semplice ma mai banale. Questo basta a rendere il cinema vivo e a emozionare. Bastava purtroppo.

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