Allacciate le cinture |
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Un film di Ferzan Ozpetek.
Con Kasia Smutniak, Francesco Arca, Filippo Scicchitano, Francesco Scianna, Carolina Crescentini.
continua»
Commedia,
durata 110 min.
- Italia 2013.
- 01 Distribution
uscita giovedì 6 marzo 2014.
MYMONETRO
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Allacciamo le cinture per non partire mai
di Paola BisFeedback: 100 |
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giovedì 10 aprile 2014 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Piazzetta Carducci, il barocco pugliese alle luci della notte, giovani aitanti e una zia stravagante. Ozpetek ritorna a Lecce dove le mine, questa volta, decidono di allacciare le cinture prima di buttarsi nel vortice della vita. Così, dopo una statica presentazione dei protagonisti, estranei ed incattiviti (banalmente gli unici degni di nota sotto una pensilina), lentamente la vicenda inizia attorno a un bar dove, tra progetti e risate, il regista prova a raccontare la piccola Italia che sognava e ragazzi ancora capaci di odiarsi e innamorarsi, pur nell’estrema diversità. Elena (Kasia Smutniak) e Antonio (Francesco Arca), bellezza delicata e corpo possente, si respingono e si intrecciano, si detestano ma si cercano, fino a quando la condivisione della debolezza di lui (una presunta dislessia) fa crollare ogni fragile difesa di lei. Trascorrono 13 anni, tempo scandito dal taglio dei capelli della Smutniak e da un nuovo bar alla moda, gli amici di sempre e l’amore che si è sgretolato sotto il peso di responsabilità e rancori. Un prima e un dopo. Ingredienti da melodramma e stereotipi cari al regista sono le uniche rassicurazioni per chi osserva un film dove lo scorrere del tempo non implica un reale sviluppo narrativo. Un film che cerca (e forse trova) l’empatia con lo spettatore solo attraverso il calvario della malattia, mentre il tema chiave dell’incomunicabilità rimane solo evocato e perisce inesorabilmente per i colpi inferti da una sceneggiatura debole, priva di attesa e di coinvolgimento. Ogni tentativo di raccontare il passaggio da un amore muto e carnale ad un amore che si da le spalle, che trova una chance solo nel dolore, fallisce. Ozpetek, esitando di fronte all’incombere del male (fisico e mentale), scade troppo spesso nel siparietto comino o indugia sui corpi nudi senza riuscire a toccare il dramma di un corpo violato dalla malattia, di un cuore che non sente risposte. Un seno, una mano, un volto raccontano solo se stessi non riuscendo a rimandare ad altro, a un dialogo sopito da anni e che ora cerca una strada per ripartire. Forse, inconsciamente consapevole dell’impossibilità a chiudere un film così incerto, il regista nel finale si rifugia in un flashback dove a far sperare è la voce di Rino Gaetano che, chiudendo gli occhi, è l’unica capace di farci immaginare il lento ritorno di un amore che “il vento crudele ti aveva rubato”.
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