Il film appartiene a quel filone nobile, che attraverso la rappresentazione di violenze, soprusi e angherie varie, illustra gli abissi dell'abiezione umana, con lo scopo di rinfocolare nelle coscienze il rigetto verso le peggiori manifestazioni di inumanità, soprattutto verso quelle che la storia ha tramandato, costringendo i posteri a farne un dolorosa elaborazione e a fissarle nella memoria collettiva come monito per le generazioni successive.
Il tema dell’abominio della schiavitù è trattato con riferimento ad un fenomeno poco conosciuto: il rapimento di uomini liberi da inviare nelle piantagioni di cotone negli Stati americani del Sud. Siamo nel 1841, dopo il divieto di importazione di schiavi neri dall'Africa (la guerra di secessione e l'abolizione della schiavitù sono di là da venire). L'economia del Sud entra in crisi e qualcuno decide di ricorrere, tramite intermediari senza scrupoli, al rapimento illegale di uomini liberi in patria per integrare la insufficiente mano d'opera.
Solomon, cittadino nero, istruito e con moglie e figli, viene "catturato"con l'inganno e venduto come schiavo all'asta, finendo, dopo alcuni passaggi, nella fattoria del peggiore dei negrieri. Dopo abusi a non finire, la storia si risolverà ma la giustizia sarà la grande sconfitta.
E' questo il terzo atto della "trilogia della lotta di liberazione" del regista di colore Steve McQuinn, dopo Hunger (sulle brutali prigioni dell'Inghilterra thatcheriane), e Shame (sulla schiavitù del sesso). Dei tre certamente 12 anni schiavo emerge per valenza "valoriale", affrontando un tema di ampia portata la cui prassi costituisce il culmine del disprezzo della vita umana, dopo la pena di morte, e che sappiamo continua ancora oggi di fatto a serpeggiare sia pure in altre forme in varie parti del mondo
McQuinn ripropone in primo piano, come in Hunger, il corpo come oggetto della violenza e della sofferenza che ne deriva, non più autoprodotta per spirito di ribellione contro l’altrui abiezione, ma forzatamente e direttamente subita da uno dei rappresentanti di un sistema di sfruttamento che, pur di trarne utili economici, si rifiuta di distinguere un essere umano da un comune animale da lavoro. Le frustate, gli stupri, le continue minacce di pene corporali terribili sono esibiti attraverso i segni martoriati sul corpo e le espressioni di dolore, di paura di uomini e donne in balia della follia di chi mira all’annientamento della dignità come strumento di totale sottomissione. Un teatro dell’orrore, che sembra stridere con la cupa ed inquietante bellezza della natura circostante.
Detto questo, se si scinde l'aspetto nobilmente teleologico da quello cinematografico, l'opera di McQuinn è artisticamente deludente. La rappresentazione nuda e cruda delle continue sevizie sugli schiavi, reiterata senza tregua, unita alla durata del film, 2 ore e un quarto, una sceneggiatura sostanzialmente piatta e senza particolari guizzi inventivi (soprattutto nei dialoghi) pur in un quadro scenografico accurato, non riescono a tenere costantemente alto il tono emotivo della storia, che si diluisce per automatico avvezzamento via via che il racconto si dipana. Qualche personaggio è costruito con l'accetta, come la moglie algida e degenerata del proprietario negriero, la fotografia è bella ma spesso estetizzante e poco connessa al racconto, gli interpreti sono bravi, in particolare Fassbender, ammirevole nello sforzo di degradarsi a scellerato aguzzino, che però non raggiunge il livello del protagonista dello straordinario, meraviglioso Hunger.
Insomma un'occasione (artisticamente ) sprecata, che tuttavia non impedisce che il film merita di essere visto per il suo alto valore morale.
[+] lascia un commento a pepito1948 »
[ - ] lascia un commento a pepito1948 »
|