antonio montefalcone
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venerdì 5 luglio 2013
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le radici dell’albero della vita – 1^ parte
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L’avevamo lasciato ad osservare meravigliato dal basso verso l’alto il potente albero della vita. Lo ritroviamo stavolta, ancora incantato, a cercare il seme più profondo di quest’albero. “To the wonder” è una radice di quest’albero, ma al tempo stesso anche il prolungamento della materia da cui è generata. Malick continua in modo sempre più urgente e attivo il suo discorso, intimo e filosofico, sulla forza motrice della nostra esistenza: l’Amore. E lo fa ancora scegliendo la strada della difficile interpretabilità, dell’anticonvenzionale, dello sperimentalismo ai limiti dell’anti-narratività, della radicalizzazione manieristica del suo stile, della volontà di ascoltare la voce del suo interiore (sempre più irrazionale a dire il vero), e arrivare fin dove questi lo fanno giungere, anche pagandone limiti e imperfezioni.
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L’avevamo lasciato ad osservare meravigliato dal basso verso l’alto il potente albero della vita. Lo ritroviamo stavolta, ancora incantato, a cercare il seme più profondo di quest’albero. “To the wonder” è una radice di quest’albero, ma al tempo stesso anche il prolungamento della materia da cui è generata. Malick continua in modo sempre più urgente e attivo il suo discorso, intimo e filosofico, sulla forza motrice della nostra esistenza: l’Amore. E lo fa ancora scegliendo la strada della difficile interpretabilità, dell’anticonvenzionale, dello sperimentalismo ai limiti dell’anti-narratività, della radicalizzazione manieristica del suo stile, della volontà di ascoltare la voce del suo interiore (sempre più irrazionale a dire il vero), e arrivare fin dove questi lo fanno giungere, anche pagandone limiti e imperfezioni. E’ l’apprezzabile ambizione di un autore che, anche se in modo irrisolto o minore rispetto ai precedenti suoi capolavori, lascia sempre trasparire quel suo appassionato e sincero interesse per i grandi interrogativi dell’esistenza e quella sua sensibilità e capacità di contemplare con estatico stupore il creato.
L’autore, come in “The Tree of Life”, di cui amplia e rigenera quesiti e problematiche, prova a riflettere filosoficamente ancora sulla meraviglia e sul mistero, e sulla potenza e sulla fragilità dei due principali tipi di amore: quello sacro, teso verso Dio e l’assoluto e quello terreno, teso verso l’uomo e l’umanità. Un amore sviscerato nella sua veste idilliaca ma anche nella difficoltà di essere espressa dall’umana natura o accolta e recepita in essa.
Attraverso le storie tormentate delle coppie e quella del prete dubbioso, il regista cerca il legame tra la sfera spirituale e quella carnale, tra la fede e l’amore, intimamente legati tra loro e infinitamente ricercati, anche se mai pienamente afferrabili nella loro vera natura. L’analfabetismo dell’uomo nel non saper amare e avere fede è pari solo alla sua incapacità (o impossibilità) naturale verso questi due fenomeni: la loro mancanza o la loro perdita fanno da contraltare, malinconico e commovente, all’intenso desiderio sepolto nella coscienza umana del loro incessante richiamo. Un richiamo da ascoltare e non azzittire, perché se la strada della ricerca della loro pienezza è quasi ardua, quella della mera consapevolezza della loro necessità è semplice e già sufficiente ad elevare l’anima di un uomo, come quello moderno, sempre più alla deriva senza l’accettazione di questa essenza.
La sfuggente opera di Malick, malgrado i suoi difetti, è capace di farsi preghiera e invito, poesia e dono; un dono paradossale in quanto non spiega e dice nulla ma evoca e suggerisce, non offre molto ma si offre in tutta la sua nudità e “piccolezza” recettiva di fronte all’immensità metafisica dell’esistenza, appellandosi all’istinto e alle impressioni dello spettatore più volenteroso. Il film lavora sui non-detti, si muove per sottrazione e ricerca, tra smarrimenti e curiosità.
Malick radicalizza il frequente uso di parallelismi, sinestesie, analogie e metafore per riverberare le incomunicabilità tra gli uomini e i vuoti interiori, le inadeguatezze e le mancanze, i silenzi (anche trascendenti) e le lontananze, il senso di amarezza fallimentare e di insoddisfazione, le inquietudini e i bisogni impellenti. Le scene, maestose e astratte, sono fin troppo mistiche e spirituali. 1 – CONTINUA
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antonio montefalcone
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venerdì 5 luglio 2013
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le radici dell’albero della vita – 2^ parte
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La fotografia con i suoi continui contro luce, cattura cromatismi impressionistici, magici e incantevoli, esalta location bellissime, descrive atmosfere, stati d’animo e sensazioni, sposandosi perfettamente con una vibrante colonna sonora che non rifugge musiche classiche. Significativa e rappresentativa è anche la scelta (per molti discutibile) di far parlare ogni attore nella propria lingua d’origine. I pochissimi dialoghi sono sostituiti dalle interazioni dei corpi che parlano al loro posto. I personaggi che parlano soprattutto a loro stessi sono come la costante voce off che parla di Malick all’autore stesso: ognuno si interroga sulle proprie incertezze e mancanze di risposte.
Quel che interessa a Malick è mostrare gli sconvolgimenti interiori attraverso le immagini.
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La fotografia con i suoi continui contro luce, cattura cromatismi impressionistici, magici e incantevoli, esalta location bellissime, descrive atmosfere, stati d’animo e sensazioni, sposandosi perfettamente con una vibrante colonna sonora che non rifugge musiche classiche. Significativa e rappresentativa è anche la scelta (per molti discutibile) di far parlare ogni attore nella propria lingua d’origine. I pochissimi dialoghi sono sostituiti dalle interazioni dei corpi che parlano al loro posto. I personaggi che parlano soprattutto a loro stessi sono come la costante voce off che parla di Malick all’autore stesso: ognuno si interroga sulle proprie incertezze e mancanze di risposte.
Quel che interessa a Malick è mostrare gli sconvolgimenti interiori attraverso le immagini. Si tenta di stimolare le corde più intime degli spettatori mediante la rilevanza di aspetti formali su quelli narrativi.
Dopo un inizio di sublime potenza visiva e struggente lirismo dove il regista fa danzare la cinepresa attorno ai corpi in movimento di Ben Affleck e Olga Kurylenko, atto ad esprimere tutto il romanticismo per immagini dell’amore, il film perde però fluidità e coesione e, malgrado il finale in linea con l'incipit, l’ultima parte appare debole e inefficace. Non solo: questa volta, purtroppo, la pellicola fatica a coinvolgere lo spettatore e soffre per un eccessivo scollamento tra l’apparato visivo (sempre di straordinario fascino) e l’apparato narrativo ( “assente” in modo inefficace, poiché non risulta mai solidamente rappresentativa della materia che va a trattare): le suggestive in¬qua¬dra¬tu¬re, rese rapidi dall’accurato montaggio, non ba¬sta¬no ad emo¬zio¬na¬re e a farci ri¬flet¬te¬re pienamente sui gran¬di mi¬ste¬ri della vita, ma rischiano (stavolta più delle altre volte) di ri¬du¬rsi a puro este¬ti¬smo che, a seconda dei gusti irrita, annoia, disorienta o sminuisce le emozioni allo spettatore. L’ambizione sperimentale stavolta si è sbilanciata troppo su uno stile manierato, a tratti compiaciuto, poco fecondo e pretenzioso, che ha reso le immagini un po’ troppo patinate o stereotipate e reso l’opera un capolavoro mancato.
Ciò non toglie che il film rimanga comunque un’autentica esperienza multisensoriale, che, al di là di voti, giudizi critici e valutazioni, merita la paziente visione e vale molto più di ciò che potrebbe apparire, toccando come pochissime altre pellicole hanno cercato di fare, quel senso del metafisico in modo così sensibile, spiazzante e originale; e stavolta anche con un pizzico di lucida amarezza nell’ammettere la consapevole caducità dell’uomo, della bellezza e della faticosa esplorazione dell’animo umano.
Bisogna solo farsi trascinare dalla libera espressività dell’autore, dalla raffinatezza indecifrabile del film, dall’eleganza di un ritratto tragico e commovente di coscienze e sentimenti, per poter percepire (anche solo a livello inconscio) quel senso di eternità nascosta in ogni cosa e persona; persino se questi dovessero durare solo per un attimo o essere soltanto sfiorati dall’umano sentire. Malick si e ci chiede «cos’è quest’ Amore che ci ama?». Sicuramente non riusciremo a dargli una risposta certa ma, dopo la visione di questo film, potremmo probabilmente affermare che è la Vita stessa e l’unica via da seguire, da ricercare. E’ la più grande meraviglia incarnata in questa realtà, e manifestabile soprattutto nella sua assenza o nella sua lontananza… 2 – FINE.
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(di astromelia)
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filippo catani
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lunedì 8 luglio 2013
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malick ha un po' perso il suo tocco
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Una donna francese separata da tempo e con una figlia si innamora a Parigi di un americano e decide di seguirlo con la speranza che lui la sposi per farle ottenere la green card. Le cose sono più difficili del previsto e la vita sentimentale della coppia finisce con l'incrociare quella del prete della loro parrocchia che, da un po' di tempo a questa parte, pare avere smarrito la fede.
Dunque in questo film ci sono alcune cose convincenti e altre molto meno. Prima di concentrarci sulle une e le altre è bene dire che dopo anche The Tree of life l'impressione è che Malick stia un po' perdendo la vena o che quantomeno si stia un po' avvitando su se stesso privilegiando al racconto le sue impressioni fuori campo che peraltro sono comunque sempre state un suo marchio di fabbrica.
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Una donna francese separata da tempo e con una figlia si innamora a Parigi di un americano e decide di seguirlo con la speranza che lui la sposi per farle ottenere la green card. Le cose sono più difficili del previsto e la vita sentimentale della coppia finisce con l'incrociare quella del prete della loro parrocchia che, da un po' di tempo a questa parte, pare avere smarrito la fede.
Dunque in questo film ci sono alcune cose convincenti e altre molto meno. Prima di concentrarci sulle une e le altre è bene dire che dopo anche The Tree of life l'impressione è che Malick stia un po' perdendo la vena o che quantomeno si stia un po' avvitando su se stesso privilegiando al racconto le sue impressioni fuori campo che peraltro sono comunque sempre state un suo marchio di fabbrica. Sicuramente le cose che più di tutte funzionano in questa pellicola sono in rigoroso ordine la fotografia e le scenografie con panorami mozzafiato e bellissime riprese del cielo e la colonna sonora. Inoltre se la cava bene Bardem nell'insolito (almeno per lui) ruolo di un prete; riesce bene in quanto rende perfettamente l'idea di un uomo smarrito di fronte al mistero di Dio e alla certezza dei tanti drammi che popolano il mondo e la sua parrocchia. Direi che l'immagine simbolo è un'inquadratura verso la parte finale della pellicola in cui il parrocco fatica terribilmente a salire le scale a comunicarci proprio il gravoso peso che lo attanaglia e che non riesce a scrollarsi e infatti più volte si rivolge a Dio chiedendo un aiuto su come e soprattutto dove cercarlo. Veniamo poi al tema centrale del film e cioè le riflessioni sull'amore. Malick è un filosofo e a chiunque abbia almeno un minimo di basi in materia non saranno certo sfuggite le citazioni di pura matrice platonica (ad esempio il Simposio e non solo) quando si fa riferimento al fatto che il vero amore fa in modo che due persone si fondano in una sola. Detto questo ci sono sicuramente immagini suggestive ma insomma tante tende che svolazzano e un impianto che ci ricorda come inizialmente l'amore si presenta come una passione travolgente per poi lasciare spazio ai primi litigi che possono portare alla degenerazione del rapporto con tanto di possibile tradimento. Certo però (come ricorda il prete citando la famosa parabola dei talenti) bisogna correre un rischio come poi sempre nella vita e il rischio dell'amore è che può andare a buon fine come no. Ecco questa parte diciamo che appare leggermente banale nel senso che è quanto ognuno di noi ha provato nella vita; l'amore infatti a tutti noi ha riservato grandi gioie così come cocenti delusioni. Insomma in alcuni momenti la meraviglia si respira ma in altri il film scorre con una certa pesantezza. Detto di Bardem si può notare che Affleck appare un po' sacrificato nel suo ruolo e non si esprime al meglio mentre appare più a suo agio la Kurylenko. Certo si può vedere e ha momenti toccanti ma i fasti de La rabbia giovane e della Sottile linea rossa sono davvero (troppo) lontani.
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(di ciboxgiallorosso)
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lionora
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lunedì 3 settembre 2012
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poesia
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La recensione di Marzia Gandolfi è davvero perfetta. Il film è pura poesia, sublime ed evocativo, ma deve toccarti interiormente per poter funzionare. Come ogni poesia che si rispetti se ti afferra è capace di emozionare profondamente (come è stato per me), se non lo fa, invece, può annoiare. E' per questo che il film è stato in grado di dividere così tanto pubblico e critica, ma qualsiasi film crei un così forte dibattito vale sicuramente l'esperienza della visione.
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boris yellnikov
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sabato 23 novembre 2013
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pesante e inutile
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Malick un grande... del passato. Perché questo film è una palla al piede. Tormenti intellettuali fra agricoltori del midwest (mah), To the Wonder ci offre il contrasto fra un immobile Ben Affleck (molto più espressivi i bisonti che gli pascolano vicino casa) e l'ipercinetica e per questo insopportabile Olga Kurylenko, una che balla e piroetta tutto il tempo, quando va al parco, quando gira per gli scaffali del market, quando gioca nei campi. Ma chi è che nella vita reale fa così? Un sedativo per rinocerenti sarebbe stato utile.
Il film ha la solita fotografia pazzesca di Malick, ma a 'sto punto è meglio se 'il mito' si mettesse a fare documentari, senza snervarci con queste tormentate storie prive della pur minima gioia e, lasciatemelo dire, intelligenza.
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Malick un grande... del passato. Perché questo film è una palla al piede. Tormenti intellettuali fra agricoltori del midwest (mah), To the Wonder ci offre il contrasto fra un immobile Ben Affleck (molto più espressivi i bisonti che gli pascolano vicino casa) e l'ipercinetica e per questo insopportabile Olga Kurylenko, una che balla e piroetta tutto il tempo, quando va al parco, quando gira per gli scaffali del market, quando gioca nei campi. Ma chi è che nella vita reale fa così? Un sedativo per rinocerenti sarebbe stato utile.
Il film ha la solita fotografia pazzesca di Malick, ma a 'sto punto è meglio se 'il mito' si mettesse a fare documentari, senza snervarci con queste tormentate storie prive della pur minima gioia e, lasciatemelo dire, intelligenza. Sì, perché nonostante tutto questo è un film per intellettuali introversi e, appunto, tormentati. Ed è talmente tanta la mancanza di vita e di senso pratico nella trama che l'estetica affonda, i tormenti interiori (compresi quelli del prete Bardem) sono noiosi e stucchevoli - oltre che già esaminati lungamente da Malick nei film precedenti - e tutto assume i contorni netti e stagliati di una cosa pesante e senza senso. Il travestimento da grande opera non funziona, il film precipita veloce fra le cose insopportabili e dimenticabili.
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gabrimanouche
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martedì 29 ottobre 2013
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malick: chanel n.5
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Sembra che con To The Wonder si perda non solo l'essenza stessa del cinema, ma l'essenza stessa dell'arte, che in tutte le sue forme è comunicazione. Ai molti che lo elogiano come capolavoro e ne apprezzano lo stile diciamo pure "visionario" legato principalmentealle alle belle immagini, alla fotografia forte che dopo la visione del film rieccheggia o a qualche "poetico" quanto patetico volteggio o balletto fra le praterie dell'interprete Olga Kurylenko, mi ritrovo costretto a contestare molte cose; To the Wonder non ha assolutamente nulla da dire a chi lo guarda. Forse ha qualcosa da dire solo a colui che l'ha diretto, Terrence Malick che intesse una storia banale e noiosa di fondo, probabilmente attinta da suoi trascorsi, con orpelli e colori di un'originalità moderna canonizzati chissà da chi e chissà perché ad arte.
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Sembra che con To The Wonder si perda non solo l'essenza stessa del cinema, ma l'essenza stessa dell'arte, che in tutte le sue forme è comunicazione. Ai molti che lo elogiano come capolavoro e ne apprezzano lo stile diciamo pure "visionario" legato principalmentealle alle belle immagini, alla fotografia forte che dopo la visione del film rieccheggia o a qualche "poetico" quanto patetico volteggio o balletto fra le praterie dell'interprete Olga Kurylenko, mi ritrovo costretto a contestare molte cose; To the Wonder non ha assolutamente nulla da dire a chi lo guarda. Forse ha qualcosa da dire solo a colui che l'ha diretto, Terrence Malick che intesse una storia banale e noiosa di fondo, probabilmente attinta da suoi trascorsi, con orpelli e colori di un'originalità moderna canonizzati chissà da chi e chissà perché ad arte. La sceneggiatura è minimalista e scontata allo stesso tempo, binomio di abbondante noia per tutta la durata del film. I personaggi non sono per nulla approfonditi sotto tutti i punti di vista e le interpretazioni sono scialbe e prive di qualsiasi ingrediente. Le scene si susseguono nevroticamente e confusionariamente sia dal punto di vista delle riprese sia cronologicamente. Sembra proprio di assistere a una pubblicità di profumi francesi da una parte e alla pubblicità di Mahatma Gandi(nel momento in cui il prete di origine spagnole da' un'apatica assistenza ai malati del quartiere, mentre si sente di sottofondo la sua voce che recita passi della Bibbia) dall'altra. Altri registi, chiamiamoli "stralunati", come Kubrick, Kieslovsky... e persino Burton o Ciprì e Maresco, hanno comunicato tanta bellezza al mondo con la loro, ora inquietante, ora originale forza espressiva. Malick non mi ha comunicato niente. Anzi, mi ha comunicato tedio. Tanto tedio. Lo sconsiglio vivamente a tutti...
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vandamme84
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giovedì 5 dicembre 2013
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il solito pallosissimo malik
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penso che esistano 2 motivi per vedere i film di Malik: il primo è che nei suoi film ci sono sempre grossi attori, e che quindi la maggior parte del pubblico vede questo proprio perchè ci sono grossi nomi; il secondo perchè ci sono spettatori sadici, che is vogliono fare del male con 2 ore di noia (penso sia difficile trovare un film di Malik che duri meno di 2 ore).
Penso che Malik,per darsi importanza usi la strategia dello pseudo-intellettuale: ovvero creare un film senza senso fatto di immagini di paesaggi, la natura, poi silenzi, pianti, tanta malinconia, inquadrature improbabili e monologhi interiori, e poi spacciare il tutto per un opera d'arte, un prodotto che parla dei sentimenti più profondi dell'essere umano, un qualcosa come di astratto e indefinito, in cui solo coloro che hanno una mente profonda possano trovare il significato della pellicola.
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penso che esistano 2 motivi per vedere i film di Malik: il primo è che nei suoi film ci sono sempre grossi attori, e che quindi la maggior parte del pubblico vede questo proprio perchè ci sono grossi nomi; il secondo perchè ci sono spettatori sadici, che is vogliono fare del male con 2 ore di noia (penso sia difficile trovare un film di Malik che duri meno di 2 ore).
Penso che Malik,per darsi importanza usi la strategia dello pseudo-intellettuale: ovvero creare un film senza senso fatto di immagini di paesaggi, la natura, poi silenzi, pianti, tanta malinconia, inquadrature improbabili e monologhi interiori, e poi spacciare il tutto per un opera d'arte, un prodotto che parla dei sentimenti più profondi dell'essere umano, un qualcosa come di astratto e indefinito, in cui solo coloro che hanno una mente profonda possano trovare il significato della pellicola. Ed è qui che sta l'inganno! I grandi recensionisti per non fare la figuraccia e dire "boh ma che roba è?! io non ci ho capito una mazza, per me è soporifero!" dicono "bellissimo qui Malik fa capire l'importanza dell'amore nella vita di un uomo".
Tra l'altro fateci caso, nei suoi film gli attori danno sempre l'idea che recitino nel film controvoglia, ma solo per prendersi la parcella....
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[+] controvoglia? siamo nel porno, per fortuna
(di ulissenano)
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[+] meno
(di isin89)
[ - ] meno
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lukemisonofattotuopadre
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martedì 4 settembre 2012
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non la copia carbone di "the tree of life"
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Stavate chiedendo un capolavoro? Ecco qua. To the Wonder, scritto e diretto da Terrence Malick è finora il miglior film. All'inizio, ho pensato che sembrava troppo come il film precedente di Malick, The Tree of Life, poi ho capito che è molto diverso nel significato, ed è meno pretenzioso. Non sto scherzando!
Prima di tutto, senza grafica 3d. Malick ha acquisito l'abitudine e la capacità di natura film come filmerebbe la donna che ama: in ogni scena, sia nella splendida Mont Saint Michel in Francia o in questi vasti campi dell'Oklahoma, dove sotto giace veleno, che uccide la terra e la gente, indifesa dagli squali capitalisti.
Il film è più erotico del precedente: Olga Kurylenko è incredibile, come attrice (mai vista così brava), e una donna (è troppo magra, ma quello sì che è un corpo!).
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Stavate chiedendo un capolavoro? Ecco qua. To the Wonder, scritto e diretto da Terrence Malick è finora il miglior film. All'inizio, ho pensato che sembrava troppo come il film precedente di Malick, The Tree of Life, poi ho capito che è molto diverso nel significato, ed è meno pretenzioso. Non sto scherzando!
Prima di tutto, senza grafica 3d. Malick ha acquisito l'abitudine e la capacità di natura film come filmerebbe la donna che ama: in ogni scena, sia nella splendida Mont Saint Michel in Francia o in questi vasti campi dell'Oklahoma, dove sotto giace veleno, che uccide la terra e la gente, indifesa dagli squali capitalisti.
Il film è più erotico del precedente: Olga Kurylenko è incredibile, come attrice (mai vista così brava), e una donna (è troppo magra, ma quello sì che è un corpo!). C'è nudità, anche grazie a Rachel McAdams.
Ci sono personaggi più significativi: Olga, Ben Affleck, Rachel (ma per pochi minuti) e un sacerdote dubbioso, Javier Bardem (che ha dato prestazioni migliori), che cerca di fare del suo meglio per aiutare le persone tossicodipendenti, le prostitute, i poveri insomma, ma non riesce a vedere Dio, a sentirlo nel mondo. Nel film, ci sentiamo più volte il suo disagio. Malick è probabilmente sicuro se stesso.
Per quanto riguarda la natura, il significato è in realtà prevedibile: stiamo rovinando il pianeta, è vero, ma sta diventando noioso a dircelo tutto il tempo. Ciò che cambia, in parte, è lo stile: ho detto più erotico, meno aggressiva, in modo più sottile, e più pessimista. Le cose sono cambiate da L'albero della vita: ciò che Malick sperava, non è avverato e soffre per questo. In The Tree of Life, Jessica Chastain e Brad Pitt rimanevano insieme, qui Olga Kurylenko e Ben Affleck (deludente) si uniscono, incontrano altre persone, poi si lasciano di nuovo, definitivamente.
Alla fine, questo è un film Malick: prendere o lasciare. Nella sala affollata (la Palabiennale), la gente sembra scelto la seconda, anzi ha fischiato dopo la proiezione, annoiata a morte. E io ero così arrabbiato perché ho avuto vicino due coniugi che continuavano a parlare durante il film. Anche loro si annoiavano. L'unica cosa che ho trovato noiosa era la loro ignoranza.
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pcologo
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sabato 24 gennaio 2015
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malick è troppe cose
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Chi va a vedere To the Wonder, come altri film di Malick, non deve aspettarsi una storia, una trama ben definita. Il film di Malick è un ibrido tra cinema, poesia, filosofia, fotografia, paesaggio. E' uno spettacolo globale, ma può deludere e annoiare, se non lo si osserva con uno spirito differente. Bisogna andarci come si andrebbe ad una fiera per osservare personaggi, bancarelle, di tutto un pò. Bisogna osservare le immagini, riflettere sulle parole, apprezzare il movimento delle riprese di Malick che insegue i suoi personaggi, che li fa muovere come se ballassero. Non va capito, va guardato. Se non si cerca questo, è inutile andarlo a vedere, perchè i film di Malick non sono cinema come rappresentazioni della realtà in senso stretto, sono immagini catturate nel succedersi degli eventi, e commentate da un poeta.
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Chi va a vedere To the Wonder, come altri film di Malick, non deve aspettarsi una storia, una trama ben definita. Il film di Malick è un ibrido tra cinema, poesia, filosofia, fotografia, paesaggio. E' uno spettacolo globale, ma può deludere e annoiare, se non lo si osserva con uno spirito differente. Bisogna andarci come si andrebbe ad una fiera per osservare personaggi, bancarelle, di tutto un pò. Bisogna osservare le immagini, riflettere sulle parole, apprezzare il movimento delle riprese di Malick che insegue i suoi personaggi, che li fa muovere come se ballassero. Non va capito, va guardato. Se non si cerca questo, è inutile andarlo a vedere, perchè i film di Malick non sono cinema come rappresentazioni della realtà in senso stretto, sono immagini catturate nel succedersi degli eventi, e commentate da un poeta. Questo genere di rappresentazione può piacere o non piacere, di certo richiede per essere apprezzato una sensibilità non comune. Malick è troppe cose insieme, e per me questo modo di fare cinema, pur apprezzando la grande creatività nello scegliere luoghi, inquadrature, musiche, alla lunga risulta inevitabilmente ripetitivo.
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