Se si volesse approfondire esaustivamente il fenomeno "Batman" e l'aura di interesse che naturalmente si è creata intorno al mastodontico terzo capitolo, più che un critico servirebbe un sociologo; preferisco quindi non esulare dalle mie competenze e limitarmi a proporre un analisi del film in quanto tale.
La visione de "Il cavaliere oscuro - Il ritorno" porta a un compiacimento infantile per nulla deprecabile alla cui base vi è un meccanismo ben strutturato: il punto di forza sta in buona parte nell’atmosfera grigio-blu della sfortunatissima Gotham e nei personaggi che per un’intera trilogia ne hanno solcato le sporchissime strade; elementi, questi, di sicuro impatto, resi maggiormente funzionali dalla sceneggiatura dei fratelli Nolan che si son divertiti una volta ancora a intricare l’intricabile (ma poco male, per comprendere c’è tempo).
Nel terzo capitolo la città si popola di interessanti “nuovi arrivi” che valorizzano ulteriormente un cast molto ben assortito: Anne Hathaway stupisce e diverte nel ruolo di Catwoman, equilibrando il carattere viperino del personaggio con un buon sense of humor e la sua nascosta fragilità con un atteggiamento provocante ma non volgare; l’ottimo Tom Hardy veste i panni del malvagio Bane, tra i nemici del Nostro probabilmente quello dotato di maggiore fisicità ma anche di un’inaspettata capacità oratoria (un plauso va sicuramente a Filippo Timi per l’impeccabile doppiaggio); interessanti anche personaggi quali John Blake, integerrimo poliziotto interpretato con candore da Joseph Gordon-Levitt, e Miranda Tate, membro della Wayne Enterprises col volto di Marion Cotilliard. Tra i le figure che già conosciamo, maggiore rilievo viene dato al maggiordomo Alfred (Michael Caine) che si palesa definitivamente come personificazione della coscienza di Bruce/Batman.
Si ripresenta inoltre la tematica del cammino verso una redenzione personale che porti a qualcosa di “alto” (affrontata in maniera magari non originalissima ma certo meno “leccata” che altrove); parallelamente a questa “risalita”, che nel film non è solo metaforica, si sviluppano abilmente sequenze narrative di ritmo serratissimo che potrebbero facilmente portare allo sfinimento uno spettatore impreparato (ricordo che sono pur sempre due ore e mezza di pellicola). Meno riusciti sono i brevi flashblack disseminati lungo la trama, piccole didascalie talvolta un po’ forzate sui “come” e sui “perché”.
Se siete amanti del genere, tuttavia, passerete volentieri sopra a queste piccolezze e il film scorrerà via con la velocità di un Batpod. Il Cavaliere Oscuro dimostra che i lati più terreni dell’eroe moderno vincono su quelli eccezionalmente “super”, che alla lunga stancano.
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