Nella mitologia greca, Prometeo fu il titano che rubò una scintilla per donare la luce del fuoco agli uomini, costretti a brancolare nell’oscurità durante la notte. Allo stesso modo, Ridley Scott chiama l’astronave per suggerire l’eterna ricerca del genere umano delle motivazioni profonde delle proprie origini ed in definitiva della propria esistenza.
Nell’idea originale, Prometheus avrebbe dovuto essere un prequel del capolavoro Alien, film che poi diede vita ad un vero e proprio universo nel mondo cinematografico e letterario. Si può dire che il design di quel film, il mix tecno-organico spaventoso e attraente allo stesso tempo pensato da HR Giger, sia un caposaldo dell’immaginario fantascientifico collettivo, in opposizione alla lucentezza dell’altro grande filone del periodo, ovvero Guerre Stellari.
Prometheus dà alcune risposte che furono lasciate irrisolte (su tutte, l’iconico “Space-Jockey”), ma è molto più ambizioso di un mero esercizio stilistico-esegetico (così come lo era, per esempio, il prequel de La Cosa uscito qualche mese fa), apre infatti molti più interrogativi di quanto ne fossero rimasti aperti e, con tutta probabilità, crea un nuovo filone che si ispira al 2001 Odissea Nello Spazio di Kubrick (e a tutta una serie di film minori come Mission to Mars, Saturn 3, ecc.) della ricerca ed incontro con i propri creatori, ed in definitiva del rispondere all’eterna domanda del perché siamo qui.
Ridley Scott parte dalle teorie di Sitchin, la cosiddetta Archelogia Eretica, che vede nei testi sacri di molte religioni antiche (tra cui la Bibbia), elementi che indicano che gli uomini furono materialmente creati da essere extraterrestri e sviluppa la storia di un team di esploratori e scienziati che, seguendo le mappe astrali che accomunano questi testi, approda su un pianeta, e scopre una specie di mausoleo, che nasconde una gigantesca astronave… e in essa alcuni corpi di giganteschi esseri antropomorfi. Che abbiano incredibilmente trovato la risposta finale?
Prometheus solleva in modo intelligente la questione tra Scienza e fede, rendendo il dilemma evidente e allo stesso tempo inutile, indicando come queste due aree cognitive siano relative a dimensioni diverse della realtà, una che si occupa del Come e l’altra del Perchè; e di come la scintilla dell’anima, per come essa sia stata creata, necessariamente innesca un processo di sense-making della propria esistenza. Da questo punto di vista l’androide David (un Michael Fassbender in gran forma, e vero protagonista del film), creato dall’uomo e che “come tutti i figli, vuole vedere la morte dei propri genitori”, chiude il cerchio con un’altra grande opera di Ridley Scott, Blade Runner ed i suoi replicanti per certi versi più umani degli uomini stessi. Non a caso, David, attraverso la tecnologia, riesce a visualizzare i sogni della protagonista (un richiamo, seppur invertito, all’innesto di sogni nei replicanti proprio in Blade Runner)
Da sottolineare i paesaggi e le ambientazioni di grandissimo impatto visivo (degne del Maestro), ed in definitiva la grandiosità del progetto. La trama a volte subisce un po’ un “effetto Lost” (non a caso la sceneggiatura è di Damon Lindelof), di creare più elementi sospesi di quanti ne chiuda (e dunque ecco perché il sospetto che Prometheus sia il primo di una “franchise”), ma il potere evocativo è indubbiamente molto potente.
Senz’altro un’opera da vedere, un viaggio che solleva riflessioni e domande eterne (www.versionekowalski.it)
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