Men in Black 3

Tornano gli agenti J e K in missione anti-alieni nei favolosi anni Sessanta

Il tempo. Il tempo è il vero protagonista di Men in Black 3, il tempo che ha fatto lievitarei costi della superproduzione finoa superare i 200 milioni di dollari, il tempo che è costato soprattutto due anni di riscritture del copione che non tornava mai. Difficile ripescare dopo dieci anni un "franchise" di successo (600 milioni incassati dal primo film nel 1997, 450 dal secondo nel 2002) cercando di non scadere nella sindrome della minestra riscaldata. Per di più ci si è messa di mezzo anche la Amblin di Steven Spielberg, che figura come produttore esecutivo. Per il resto, come si dice, squadra che vince non si cambia: Will Smith nei panni dell' agente J, Tommy Lee Jones in quelli del tetragono agente K, lo sperimentato regista Barry Sonnenfeld a sorvegliare il funzionamento della formula che ha portato per la prima volta, o quasi, la commedia dentro un film di fantascienza. Nel filone fantascientifico, letterario e cinematografico, l' umorismo è merce rarissima, il futuro in genere è considerata cosa troppo seria. Con belle eccezioni come Douglas Adams sulla pagina scritta e Mars Attacks! di Tim Burton sullo schermo. Men in Black, invece, dello humour ha fatto un punto di forza, grazie soprattutto alla simpatia di Will Smith in perfetta sintonia con la faccia di legno del partner Tommy Lee Jones. Il problema era riportare in vita la coppia di agenti anti-alieni cattivi, utilizzando gli stessi ingredienti, ma senza rimestare in un calderone che in questi ultimi anni hanno utilizzato in molti. Arriva allora l' idea, non nuovissima, maè un' idea: il viaggio indietro nel tempo per salvare K da una minaccia mortale. Si era già visto in Ritorno al futuro e nella saga Terminator, proprio per questo per lo script sono stati chiamati tre autori diversi che hanno scritto e riscritto, fino a trovare una parvenza di verosimiglianza e originalità. Ecco comparire il nuovo supercattivo Boris l' Animale, interpretato dall' attore neozelandese Jemaine Clement protagonista di una sitcom molto popolare, che, volendo vendicarsi di K che lo ha mutilato e catturato, trova il modo di tornare indietro al 1969 per uccidere il suo nemico. Lo segue J-Smith che incontra K trentenne, impersonato da Josh Brolin. Qui gli sceneggiatori si sono divertiti (e noi con loro). J capita nella Factory di Andy Warhol popolata da alieni che ballano sulla voce di Lou Reed mentre canta "I' m waiting for the man". Andy in realtà è un "man in black" che li tiene sotto sorveglianza e odia il suo travestimento («Sono stufo di disegnare banane...»), ma porta a termine la missione di pedinare Mick Jagger sospettato di essere un alieno mandato a inseminare le terrestri. E via così. Con un' incursione a Cape Canaveral in occasione del lancio dell' Apollo 11 verso la Luna. Fino a un tenero finale che svela qualcosa del passato di J e K. Meno azione rispetto ai capitoli precedenti, ma si può apprezzare il consueto splendido lavoro di Rick Baker, mago del make-up, che anche in questo terzo episodio sbriglia la fantasia inventando un campionario di macchine e creature aliene da lasciare a bocca aperta. Di nuovo c' è il 3D, ormai elemento irrinunciabile per questo genere di film. Aggiunge qualcosa? No. Qualche bella panoramica di Manhattan, un paio di trovate nelle sequenze d' azione, ma sostanzialmente il 3D resta un gadget. Molto lontano dalla sua funzione narrativa pensata da Scorsese in Hugo Cabret.
Da La Repubblica , 25 maggio 2012


di Aldo Lastella, 25 maggio 2012