Progettato da Scorsese e passato per le mani di Jonathan Demme, il progetto di un lungo documentario sulla vita e sulla musica di Bob Marley è finito nelle mani dello scozzese Macdonald che, essendo un nome meno ingombrante, ha potuto mettersi al servizio della materia senza prevaricare e costruire così un film molto ben fatto capace di rivelare tanti angoli nascosti o dimenticati del grande musicista giamaicano e allo stesso tempo di restituire la bellezza e l’importanza delle sue canzoni. La vita di Marley viene raccontata in ordine cronologico partendo dall’infanzia segnata dal padre (bianco) assente e dall’adolescenza vissuta in una Giamaica estremamente povera; vengono poi i primi successi a livello locale con i Wailers e si termina con l’acclamazione mondiale che va di pari passo con un ruolo politico e sociale sempre più importante nel suo Paese.
[+]
Progettato da Scorsese e passato per le mani di Jonathan Demme, il progetto di un lungo documentario sulla vita e sulla musica di Bob Marley è finito nelle mani dello scozzese Macdonald che, essendo un nome meno ingombrante, ha potuto mettersi al servizio della materia senza prevaricare e costruire così un film molto ben fatto capace di rivelare tanti angoli nascosti o dimenticati del grande musicista giamaicano e allo stesso tempo di restituire la bellezza e l’importanza delle sue canzoni. La vita di Marley viene raccontata in ordine cronologico partendo dall’infanzia segnata dal padre (bianco) assente e dall’adolescenza vissuta in una Giamaica estremamente povera; vengono poi i primi successi a livello locale con i Wailers e si termina con l’acclamazione mondiale che va di pari passo con un ruolo politico e sociale sempre più importante nel suo Paese. Il materiale d’archivio è abbondantissimo, con le fotografie e i documenti della prima parte a cui si succedono i filmati degli anni Settanta che si riferiscono sia ai concerti, sia a spezzoni di vita quotidiana: il colore a volte sgranato di questi ultimi è ben compensato dal valore di testimonianza e dall’essere stati in gran parte assai poco visti. A tutto ciò si alternano le testimonianze di moltissimi che hanno accompagnato la vita di Bob con la vistosa eccezione di Lee ‘Scratch’ Perry (per lui solo poche immagini) che con il musicista ebbe uno scontro lasciato in secondo piano: per il resto ci sono la famiglia, la moglie, le altre donne (Bob ebbe undici rampolli da sette compagne diverse, compresa una miss Giamaica, bianca, alla quale impediva di truccarsi), i figli, i musicisti (spettacolare l’abbigliamento di Bunny Livingston) e tutti coloro che potevano fornire un ricordo che aiutasse a inquadrare e a spiegare Marley. Che, come tutti quanti, aveva i suoi pregi e i suoi difetti – diciamo che, almeno da un certo punto in avanti, ebbe una notevole considerazione di se stesso – ma era autore di una musica che, oltre a essere un ‘documentario sociale’, portò il reggae a una dimensione mondiale grazie a una freschezza e a un’immediatezza senza pari che il film riesce a farci percepire una volta di più nelle parti dove i suoni sono protagonisti (la colonna sonora è sontuosa, ma era anche la parte più facile). Un’affermazione al dilà delle barriere che fa sembrare un po’ stonato il ricordo di Chris Blackwell di volerne fare il ‘rock nero’, anche se l’importanza del produttore britannico per il genere non è certo in discussione, come non lo è neppure quella di Hailé Selassié, il Messia del rastafiarenismo di cui Marley si sentiva profeta: un curioso incrocio della storia che allo spettatore italiano non può fare che una strana impressione. Si tratta comunque di una nota a margine di una vicenda che finisce in un triste inverno in Baviera per cercare di evitare una morte precoce e per alcuni versi assurda: a trentasei anni Marley entrò nel club dei giovani per sempre e queste oltre due ore di spettacolo riescono a farlo rivivere con grande efficacia.
[-]