linus2k
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venerdì 26 aprile 2013
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una catastrofe di bottega
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Lo dico subito: "La bottega dei suicidi" è uno dei peggiori film d'animazione che abbia visto in tutta la mia vita!
L'attesa era di una animazione per adulti, una storia noir che avrebbe potuto guadagnare dal disegno quel tono di poesia che solo il disegno sa aggiungere, e dalla Francia mi attendo ormai un cinema d'animazione di grandissima qualità.
Gli ingredienti c'erano tutti: un storia che partiva da una situazione fortemente d'attualità, la depressione e la crisi, condita con humor nero di una bottega che vende metodi per suicidarsi dove lavora una famiglia scura e triste stravolta dall'arrivo di un bambino felice di vivere.
Diciamo che Burton avrebbe fatto carte false per una trama così, ma Leconte non è Burton, e si vede in maniera eclatante!
La trama è sconnessa, sconclusionata, manca di passaggi chiave e risolve tutto con una superficialità che ha dell'irritante, condita da musichette di musical di quint'ordine che avrebbero fatto chiudere a Broadway già alla seconda serata (brutte, cantate male, sciatte e praticamente prive di musica).
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Lo dico subito: "La bottega dei suicidi" è uno dei peggiori film d'animazione che abbia visto in tutta la mia vita!
L'attesa era di una animazione per adulti, una storia noir che avrebbe potuto guadagnare dal disegno quel tono di poesia che solo il disegno sa aggiungere, e dalla Francia mi attendo ormai un cinema d'animazione di grandissima qualità.
Gli ingredienti c'erano tutti: un storia che partiva da una situazione fortemente d'attualità, la depressione e la crisi, condita con humor nero di una bottega che vende metodi per suicidarsi dove lavora una famiglia scura e triste stravolta dall'arrivo di un bambino felice di vivere.
Diciamo che Burton avrebbe fatto carte false per una trama così, ma Leconte non è Burton, e si vede in maniera eclatante!
La trama è sconnessa, sconclusionata, manca di passaggi chiave e risolve tutto con una superficialità che ha dell'irritante, condita da musichette di musical di quint'ordine che avrebbero fatto chiudere a Broadway già alla seconda serata (brutte, cantate male, sciatte e praticamente prive di musica).
La depressione, la mancanza di speranza nella società attuale, si risolve in niente, fondamentalmente non c'è un vero sbocco, una strada, se non nel giochino poco chiaro di alcuni bambini. Non c'è una vera evoluzione, piuttosto un cambio di registo che si traduce in uno sciatto e sommario finale che non spiega, non risolve.
Di sicuro anche il disegno non aiuta: Leconte non è Chomet, o meglio, è lampante che gli piacerebbe esserlo, ma non lo è e si vede chiaramente! Quella poesia, quella vena di malinconica ironia che distingue Chomet ed il suo poetico tratto, qui viene scimmiottato (anche in maniera irritante) senza ottenere alcun altro effetto se non quello di disegnare personaggi grotteschi fini a se stessi e francamente brutti, di quella bruttezza che non sottende nient'altro che il fastidio alla visione.
La bottega dei suicidi è una vera catastrofe. Un film da dimenticare presto, pregando Leconte di tornare al più presto al cinema tradizionale.
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bia27
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mercoledì 2 gennaio 2013
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il nerissimo rimedio anticrisi di patrice leconte
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Patrice Leconte ha abituato il pubblico alla stravaganza delle sue pellicole, sempre caratterizzate da un tocco estroso, certamente unico, d'altra parte è stato "l'uomo dietro la macchina da presa" di film come "Il marito della parrucchiera" e l'indimenticabile "La ragazza sul ponte", l'esordio nell'animazione non poteva dunque essere da meno. "La bottega dei suicidi" si presenta quindi con le carte giuste: una trama originale, una grafica accattivante, dei personaggi costruiti con stile e perfino degli inserti canterini. La storia è quella di una cittadina cupa e fumosa, dove dominano i toni del grigio e del nero, tanto fra le facciate dei palazzi, quanto fra i cuori abbattuti degli abitanti, per le cui anime afflitte il negozio più in voga è la bottega di Monsieur Touvache e consorte, un pittoresco e coloratissimo negozietto dove la stramba coppia vende assieme ai due pargoli "materiale per suicidi": cordame per cappi, veleni, pallottole, katane, gas, benzina e quanto la creatività umana in fatto di trapassi abbia potuto partorire.
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Patrice Leconte ha abituato il pubblico alla stravaganza delle sue pellicole, sempre caratterizzate da un tocco estroso, certamente unico, d'altra parte è stato "l'uomo dietro la macchina da presa" di film come "Il marito della parrucchiera" e l'indimenticabile "La ragazza sul ponte", l'esordio nell'animazione non poteva dunque essere da meno. "La bottega dei suicidi" si presenta quindi con le carte giuste: una trama originale, una grafica accattivante, dei personaggi costruiti con stile e perfino degli inserti canterini. La storia è quella di una cittadina cupa e fumosa, dove dominano i toni del grigio e del nero, tanto fra le facciate dei palazzi, quanto fra i cuori abbattuti degli abitanti, per le cui anime afflitte il negozio più in voga è la bottega di Monsieur Touvache e consorte, un pittoresco e coloratissimo negozietto dove la stramba coppia vende assieme ai due pargoli "materiale per suicidi": cordame per cappi, veleni, pallottole, katane, gas, benzina e quanto la creatività umana in fatto di trapassi abbia potuto partorire. Gli affari vanno a gonfie vele e gli aspiranti moribondi non tornano indietro a lamentarsi, ma ecco l'imprevisto che scombina tutto, Madame Touvache mette al mondo il terzo erede, il tenero e sorridente Alain, un bimbo che a dispetto di fratelli e genitori, ha un amore sincero per la vita e crescendo, arriva perfino a sabotare con un gruppo d'amichetti l'intero assunto sul quale si regge l'avviata attività famigliare: l'elogio della morte. Bella l'animazione con un tocco che ricorda la mano di Sylvain Chomet (“Appuntamento a Belleville”, “L'illusionista”) ma con innesti di timburtiana memoria, ben scritti anche i personaggi con una Madame Touvache che sembra un ibrido fra l'armadio de La Bella e la Bestia, Fantasy di Pagemaster e Katy Bates, moglie perfetta del cinico Mishima, stranamente rassomigliante a Gomez Addams, forse anche troppo, senza contare che uno dei primissimi caratteri in scena: il vecchino che indirizza un aspirante suicida nell'accogliente botteguccia, pare il clone di Tonino Guerra (un caso?)... L'ottimismo è il profumo della vita... ah, caro caro Tonino. Cosa c'è dunque che non va in questo piccolo film francese? Sorvolando sulla polemica che ha inalberato il buon Patrice alla notizia del divieto ai minori di 18 anni in Italia per la sua favola nera, (anche un bambino di 6 anni ne avrebbe colto il messaggio positivo), ci resta un po' d'amaro in bocca per un racconto che tutto sommato poteva darci qualcosina in più. Saranno state certe forzature e lungaggini (ma ci servivano tutti gli inserti da musical?) Sarà stato il buonismo esageratamente mieloso che strappa giusto un sorrisetto tirato con la genialata della crepe al cianuro, sarà stato il finale rivisto dal romanzo di Jean Teulè che pure si è lasciato "tradire" forse in cambio della veste di produttore, o forse solo la banalità che qui e lì ha un po' offuscato la leggera ironia, fatto sta che "Le magasin de suicides" accolto caldamente in anteprima a Cannes, non ci convince, non del tutto almeno. Tre stellette "sanza infamia e sanza lode" come avrebbe detto il mitico Manfredi, mentre in testa rimane ormai scolpito il jingle di benvenuto della maison Touvache: "contro questa crisi infinita e il caro vitaaa, scegli la dolce dipartitaaa...
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sisma
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mercoledì 3 aprile 2013
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soggetto interessante, ma realizzato male...
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A volte sembra difficile poter giustificare le idee, le motivazioni e soprattutto i propositi che spingono a produrre un’opera artistica, di qualsiasi genere sia. Si può dire che la bottega dei suicidi avesse un soggetto interessantissimo con il quale si sarebbe potuto girare un buon film, ma in pratica l’idea è stata sviluppata in modo imbarazzante. Personalmente, quando guardo un film ho sempre il desiderio di capire cosa mi voglia dire, che messaggio mi voglia inviare, di cercare elementi che nel caso esso sia poco interessante me lo possano salvare da una valutazione negativa. Purtroppo, pur cercando dei lati positivi che potessero riabilitarmelo, mi sono ritrovato di fronte ad un brutto film, termine che uso rarissimamente, che notavo come non sapesse dove andare a parare, realizzato in modo inconcludente senza giustificare i diversi passaggi, fracassone e spigoloso.
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A volte sembra difficile poter giustificare le idee, le motivazioni e soprattutto i propositi che spingono a produrre un’opera artistica, di qualsiasi genere sia. Si può dire che la bottega dei suicidi avesse un soggetto interessantissimo con il quale si sarebbe potuto girare un buon film, ma in pratica l’idea è stata sviluppata in modo imbarazzante. Personalmente, quando guardo un film ho sempre il desiderio di capire cosa mi voglia dire, che messaggio mi voglia inviare, di cercare elementi che nel caso esso sia poco interessante me lo possano salvare da una valutazione negativa. Purtroppo, pur cercando dei lati positivi che potessero riabilitarmelo, mi sono ritrovato di fronte ad un brutto film, termine che uso rarissimamente, che notavo come non sapesse dove andare a parare, realizzato in modo inconcludente senza giustificare i diversi passaggi, fracassone e spigoloso. Ammetto magari di non averlo compreso io stesso, ma mi sembrava che questo film non seguisse un filo logico, accatastando una congerie di idee senza un costrutto, proprio ammonticchiate alla rinfusa. Non si scorgeva un filo conduttore che trasportasse la morale che il regista si era imposto, ovvero un inno alla vita. Demonizzare la morte, renderla assurda per legittimare la vita. Un obiettivo che a mio onestissimo parere non è stato raggiunto. È come se l’autore, non sapendo come riempire uno spazio di un’oretta e mezza, avesse accatastato spunti senza svolgerli, dandone un’idea parziale, facendo apparire la sua opera come insulsa.
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storyteller
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mercoledì 5 giugno 2013
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vivere felici o andarsene con stile
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Nell'insieme mi è piaciuto. È un film che conta non tanto per quel che dice apertamente, ma per quello che lascia trapelare. Roboante e squinternato, non va analizzato secondo criteri di logica o profondità intellettuale, ma nell'ottica di un'allegoria provocatoria, contraddittoria (vedi il finale catartico) e quantomai attuale.
Qui non si parla di giovani outsiders in conflitto con il mondo, ma di un gruppo di ragazzi "normali" che hanno il coraggio di guardare alla vita con un po' di positività; il buonumore può essere contagioso, proprio come la depressione, e non avrebbe senso spiegarne le "origini", non in una storia come questa dove lo svolgimento è lasciato in secondo piano e i personaggi prevaricano la (comunque buonissima) idea di partenza.
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Nell'insieme mi è piaciuto. È un film che conta non tanto per quel che dice apertamente, ma per quello che lascia trapelare. Roboante e squinternato, non va analizzato secondo criteri di logica o profondità intellettuale, ma nell'ottica di un'allegoria provocatoria, contraddittoria (vedi il finale catartico) e quantomai attuale.
Qui non si parla di giovani outsiders in conflitto con il mondo, ma di un gruppo di ragazzi "normali" che hanno il coraggio di guardare alla vita con un po' di positività; il buonumore può essere contagioso, proprio come la depressione, e non avrebbe senso spiegarne le "origini", non in una storia come questa dove lo svolgimento è lasciato in secondo piano e i personaggi prevaricano la (comunque buonissima) idea di partenza.
Humour nero e cinismo non mancano, e ce n'è a sufficienza per correggere il leggero sbarramento di melassa che caratterizza l'ultima parte, anch'essa in contrappunto ad una gag risolutiva che non tradisce le iniziali note anticonformiste del film.
Ciò che resta sono una veste grafica riuscita, un discreto numero di sequenze memorabili e una colonna sonora funzionale, appena un po' troppo invadente.
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lynette
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giovedì 18 luglio 2013
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guardabile grazie alle piccole cose...
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La storia è ambientata in una cittadina francese, ai giorni nostri, dove la vita di tutti è deprimente e senza speranza a causa della crisi. Non c'è più nulla da fare, nessuna possibilità di un futuro migliore, alla gente non rimane altro da fare che ricorrere al suicidio. Per questo motivo, solo una famiglia se la cava bene: i Tuvache, propietari della "Bottega dei Suicidi", dove tutti possono trovare l'occorrente per trapassare comodamente in casa propria (uccidersi in ambiente pubblico è vietatissimo). Gli affari del negozio sono alti, ma tutto viene messo a rischio quando la signora Tuvache dà alla luce il suo terzogenito: Alen, un bambino che non condivide la visione triste e cupa della sua vita come la sua famiglia.
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La storia è ambientata in una cittadina francese, ai giorni nostri, dove la vita di tutti è deprimente e senza speranza a causa della crisi. Non c'è più nulla da fare, nessuna possibilità di un futuro migliore, alla gente non rimane altro da fare che ricorrere al suicidio. Per questo motivo, solo una famiglia se la cava bene: i Tuvache, propietari della "Bottega dei Suicidi", dove tutti possono trovare l'occorrente per trapassare comodamente in casa propria (uccidersi in ambiente pubblico è vietatissimo). Gli affari del negozio sono alti, ma tutto viene messo a rischio quando la signora Tuvache dà alla luce il suo terzogenito: Alen, un bambino che non condivide la visione triste e cupa della sua vita come la sua famiglia.
Dopo aver finito di vedere questo film, sono rimasta decisamente perplessa. Ho avuto la sensazione che Leconte avesse in mente un progetto originale e geniale, ma non sapesse come svilupparlo. Di questo ne hanno risentito molto sia la sceneggiatura e che i personaggi: la prima è abbastanza banale, e riempita eccessivamente di canzoni lunghe e prive di ritmo. Spero solo sia colpa del doppiaggio italiano. Un vero peccato per i personaggi. Avevano davvero un grande potenziale (come l'idea iniziale del film) ma sono stati resi blandi e vuoti da un povero dialogo e una personalità appena accentuata. Non sono mostrati molto i rapporti tra i membri della famiglia, e non è stato neanche esplorato il motivo per cui Alen è felice mentre i suoi famigliari no. Si percepisce che tra il bambino e gli altri c'è una certa distanza, ma a questo i produttori non danno molta importanza, concentrandosi invece sulle canzoncine o sulla fila di gente che va a suicidarsi. Inoltre in alcuni punti, le azioni dei personaggi sono o inutili o prive di senso (perchè alla fine il padre vende la crêpe al cianuro, se per metà film mostrava rimorso per aver condotto degli innocenti al suicidio?).
Nonostante tutto questo, il messaggio finale ci insegna che i momenti più bui si possono affrontare grazie alle piccole gioie che la vita ci regala. Lo stesso, si possono apprezzare le piccole cose che rendono guardabile questo film, non solo l'idea di partenza; ma anche lo stile grafico, la critica alla società odierna e la morale 'la vita è preziosa, non bisogna buttarla'.
VOTO: 6,25
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giorg99
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martedì 23 luglio 2013
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humor nero in un cartoon.
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. Leconte ambienta la storia in una città sinistra e triste - una sorta di incrocio tra il 13° distretto di Parigi e una città qualsiasi della Corea del Nord - in cui l'unica oasi di colore è rappresentata dal negozio per aspiranti suicidi. Le facciate dei palazzi sono minacciose e alte e, di conseguenza, il sole non risplende mai nelle strade, rendendo inquietante anche l'esterno del negozio. L'interno, invece, è un'attrazione multicolorata e piena di oggetti dal forte appeal.
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. Leconte ambienta la storia in una città sinistra e triste - una sorta di incrocio tra il 13° distretto di Parigi e una città qualsiasi della Corea del Nord - in cui l'unica oasi di colore è rappresentata dal negozio per aspiranti suicidi. Le facciate dei palazzi sono minacciose e alte e, di conseguenza, il sole non risplende mai nelle strade, rendendo inquietante anche l'esterno del negozio. L'interno, invece, è un'attrazione multicolorata e piena di oggetti dal forte appeal. I clienti, simbolo di un dolore reale, sono rappresentati con dei tratti talmente sopra le righe da divenire divertenti. La famiglia Tuvache, proprietaria del negozio situato su Bérégovoy Boulevard, è composta da papà Mishima (come lo scrittore giapponese Yukio Mishima, morto suicida il 25 novembre 1970) e da mamma Lucrezia (come Lucrezia Borgia, esperta preparatrice di pozioni e veleni). I figli hanno il nome di personaggi suicidi famosi: Marilyn (come l'attrice Marilyn Monroe), Vincent (come il pittore Vincent Van Gogh ) e Alan (come l'inventore informatico Alan Turing, morto dopo aver mangiato una mela che aveva precedentemente immerso nel cianuro).
mettono al mondo un figlio per loro "degenere". Alan e la sua gioia di vivere sono infatti una disgrazia per gli affari: con la sua visione ottimistica della vita e il sorriso costantemente stampato sul viso, consola i clienti e fa loro cambiare idea, rovinando gli affari di famiglia. Lavorare ad un film di animazione ha permesso a Leconte di ritornare indietro negli anni. Questo cartoon che stava per sfuttare il divieto ai minori di 18 anni rappresenta uno speciale e stravagante inno alla vita.Pultroppo in questi tempi c'è la crisi e molte persone finiscono col suicidarsi "La bottega dei suicidi" non è altro che un quadro della nostra era, il messaggio è positivo LA VITA E' BELLA E VA GODUTA!
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flyanto
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sabato 29 dicembre 2012
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quando finalmente ritorna la gioia di vivere
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Film d'animazione dove si narra dello stato di depressione e di crisi esistenziale in cui è caduta la maggior parte degli esseri umani che, per risollevarsi e liberarsi dalle loro quotidiane angosce e malesseri, decidono di terminare la propria vita, recandosi nel negozio della famiglia Touvache e cercare qui un modo a loro più confacente di togliersi la vita. Ma nel clima così cupo e senza speranza generale, alla famiglia proprietaria del negozio nasce un bambino, Alan, che, al contrario di tutti gli altri componenti è allegro e pieno di gioia di vivere. Sarà lui che alla fine, pian piano, riuscirà a fare apprezzare nuovamente la vita a tutta la popolazione, facendole riscoprire le gioie ed i begli aspetti che si possono trovare lungo un'intera esistenza.
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Film d'animazione dove si narra dello stato di depressione e di crisi esistenziale in cui è caduta la maggior parte degli esseri umani che, per risollevarsi e liberarsi dalle loro quotidiane angosce e malesseri, decidono di terminare la propria vita, recandosi nel negozio della famiglia Touvache e cercare qui un modo a loro più confacente di togliersi la vita. Ma nel clima così cupo e senza speranza generale, alla famiglia proprietaria del negozio nasce un bambino, Alan, che, al contrario di tutti gli altri componenti è allegro e pieno di gioia di vivere. Sarà lui che alla fine, pian piano, riuscirà a fare apprezzare nuovamente la vita a tutta la popolazione, facendole riscoprire le gioie ed i begli aspetti che si possono trovare lungo un'intera esistenza. Primo film d'animazine di Patrice Leconte che a sua volta lo ha tratto dal romanzo di Jean Teulé (ma modificandone, pare, il finale), esso risulta molto ben riuscito nonostante il tema macabro (ma con il finale positivo di speranza), ben disegnato e soprattutto, a mio parere, molto originale nell'argomento. Insomma, un'opera piacevole nel suo complesso e divertente nello stesso tempo nonostante, ripeto, il tema delicato della ricerca della morte a tutti i costi.
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luca salvetti
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sabato 5 gennaio 2013
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una bottega da dimenticare in fretta
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Ieri sera Leconte ed i suoi produttori hanno letteralmente "scippato" a me ed ai miei tre compagni di sventura - che mi pare concordano con la mia seguente stroncatura totale - la speranza di vedere un film d'animazione quantomeno decente. Purtroppo non è stato così: il film delude pesantemente su tutti i fronti. A partire dalla trattazione del soggetto che, in linea teorica, potrebbe essere anche spunto di interessanti trovate narrative. Trovate che nell'ultima opera di Leconte mancano totalmente restituendoci una narrazione confusa, contraddittoria, senza capo ne coda. A gravare pesantemente sullo sfortunato spettatore arrivano anche i testi ed il doppiaggio in italiano.
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Ieri sera Leconte ed i suoi produttori hanno letteralmente "scippato" a me ed ai miei tre compagni di sventura - che mi pare concordano con la mia seguente stroncatura totale - la speranza di vedere un film d'animazione quantomeno decente. Purtroppo non è stato così: il film delude pesantemente su tutti i fronti. A partire dalla trattazione del soggetto che, in linea teorica, potrebbe essere anche spunto di interessanti trovate narrative. Trovate che nell'ultima opera di Leconte mancano totalmente restituendoci una narrazione confusa, contraddittoria, senza capo ne coda. A gravare pesantemente sullo sfortunato spettatore arrivano anche i testi ed il doppiaggio in italiano. Mi domando se non si sarebbe potuta mantenere la lingua originale con relativi sottotitoli almeno nelle molte - haimè melodicamente fastidiose e trasandate - parti cantate! Infine si deve sottolineare la completa assenza di una qualsivoglia minima caratterizzazione psicologica dei personaggi, emotivamente molto piatti. Psicologia che in un film come questo, dove ci si propone di trattare la tematica così scivolosa dei suicidi al tempo della crisi economica, dovrebbe essere oggetto di attenta elaborazione. A cinque minuti dall'inizio del film l'arrivo del bebè, immotivatamente felice e sorridente a prescindire, decreta la fine di qualsiasi possibilità di sviluppi interessanti per la pellicola che procede in una noiosa parata di disperati alla ricerca del modo migliore per farla finita. Si salva solo per brevi tratti - si veda la scoperta della gioia di vivire e della propria corporeità da parte della sorella del citato protagonista bambino - la grafica d'animazione. Che dire: film fortemente sconsigliato, che cercherò di dimenticare quantoprima. Magari con un film "vero", del tipo "L'uomo del treno"...Caro Patrice te lo ricodi ancora quel film splendido?
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