L'ex-enfant prodige del cinema danese alla Dogma 95 (che ha diretto un film, Festen, che è molto più apprezzabile di tanti polpettoni sfornati dal più famoso Lars Von Trier), dirige questo Il sospetto (La caccia, in originale) che è probabilmente il suo film più riuscito da quel lontano 1998.
Come quel film, anche questa sua ultima fatica ha a che fare con gli abusi sui minori, ma in maniera differente. Qui, infatti, non si tratta di un uomo che denuncia le violenza subite da bambino (senza essere particolarmente creduto), ma di una bambina che allude a degli abusi nei suoi confronti (a cui tutti credono, sulla base del presupposto che "i bambini non mentono mai").
Inoltre, lo spettatore è messo sin da subito nella condizione di sapere che Lucas, il protagonista, è del tutto innocente. Ma questo non toglie assolutamente forza ad un film, diretto con stile preciso e rigoroso da Vinterberg, fondamentalmente inquietante e capace di far riflettere (merce sempre più rara negli ultimi tempi). In barba al concetto di "presunzione d'innocenza", tutta la comunità (salvo poche eccezioni) finisce ben presto per credere Lucas colpevole, a dispetto dell'evidenza, ed è rapida a crescere una sorta di isteria e paranoia collettiva che porta anche tanti altri genitori, sull'onda della suggestione, a denunciare presunti maltrattamenti nei confronti dei propri figli. E questo concorre (insieme alla descrizione delle reazioni via via sempre più violente dei concittadini) a disegnare un quadro agghiacciante e terribile della debolezza umana, della fragilità dei valori borghesi e dell'idea di unione, comunità e fratellanza, che viene rapidamente spazzata via più che dall'insinuarsi del sospetto, dal formarsi dell’idea collettiva che considera certamente colpevole un uomo che da amico e benvoluto da tutti diventa improvvisamente un mostro a cui è lecito riservare i trattamenti più disumani (di cui fanno le spese anche il figlio e la cagnetta).
Il sospetto è un film amaro e desolante, non particolarmente originale, ma potente e coinvolgente, che riserva una conclusione da vero pungo nello stomaco, nonostante la breve (ed illusoria) parentesi di riconciliazione quasi idilliaca. Eccellente prova di Mikkelsen (premiato a Cannes). Presentato al suddetto festival francese e candidato all’Oscar per il miglior film straniero, gli viene preferito l’italico La grande bellezza di Paolo Sorrentino (ingiustamente).
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