In Another Country

L'insostenibile leggerezza di Isabelle Huppert

Isabelle Huppert, che ha tutta la nostra ammirazione, si aggira un po' spaesata-un po' più di quanto richieda il suo compito di straniera in "un altro paese" - nelle tre variazioni dello stesso personaggio che il coreano Hong Sang-soo le affida nel suo In another country, il film arriva sui nostri schermi mentre il prolifico autore (esponente di punta della nouvelle vague di Seul al pari dei più celebrati Kim Ki-duk e Park Chan-wook) ha già presentato un altro film a Berlino e con un altro ancora ha appena vinto un premio a Locarno, grazie alla giovane e combattiva Tucker film nella quale sono confluite le forze di uno dei maggiori poli cinefili italiani, i friulani di Cinemazero di Pordenone e quelli del Centro Espressioni Cinematografiche di Udine, a sua volta artefice del Far East Film Festival che si è distinto nell'esplorazione delle cinematografie dell'estremo oriente. Tucker ha già distribuito il giapponese Confessions e prima ancora Departures e A Simple Life. Situazioni e ruoli si rincorrono tra l'uno e l'altro dei film di Hong Sang-soo, dove è molto spesso presente il cinema dentro al cinema. Così come all'interno dello stesso film - ed è così in In anorher country- il regista si diverte a confondere a mischiare le carte riproponendo le stesse figure secondo diverse angolazioni. Qui, dallo spunto di una giovane aspirante sceneggiatrice che fantastica di tre variazioni sulla stessa storia, nascono le altrettante e sovrapposte incarnazioni del personaggio interpretato dall'attrice francese: straniera in visita, spersa e curiosa, in un paese lontano. Alle prese con diversi incontri tra i quali si ripete con lievi variazioni quello particolarmente stravagante (siamo in un piccolo centro balneare) con un bagnino aitante e un po' scemo. Per il gusto minimalista da una parte e per il tono lievemente moraleggiante e canzonatorio sono stati chiamati in causa, rispettivamente, il riferimento a Rohmer e quello a Woody Allen, più plausibile e calzante il primo. La rohmeriana leggerezza di tocco, in un film nel quale accade molto poco ma piuttosto si osserva con malizia e ironia l'infinita gamma di sfumature dei comportamenti, si combina con una certa ossessione per il cinema (nel senso che qui come in altri suoi film, come già detto, il cinema è un argomento e un contenuto) e per l'esibizione di stile, che porta con sé qualche minaccia di monotonia, sterilità, autoreferenzialità. Un danno alla sensibilità arguta e lieve di una giostra dell'irrilevanza umana che varrebbe in sé.
Da La Repubblica, 25 agosto 2013


di Paolo D'Agostini, 25 agosto 2013