m.barenghi
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lunedì 18 marzo 2013
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raro gioiello!
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Il film racconta la storia di due famiglie il cui figlio, ormai quasi ventenne, è stato scambiato per errore il giorno dopo la nascita. Solo che le due famiglie APPARTENGONO ai due schieramenti nemici per antonomasia: israeliano e palestinese. Sono quindi stati cresciuti con un'identità culturale fortissima e molto radicata, che prevede per lo meno l'odio nei confronti di tutti gli appartenenti alla controparte. La scoperta dell'errore genera disagio e getta costernazione fra i membri di ciascuna famiglia, con reazioni però molto diverse da caso a caso: mentre i padri rifiutano ogni tipo di apertura saranno -come al solito!!- le madri a creare quella reciproca complicità conciliatrice che nasce dall'impellenza di conoscere da vicino e toccare (stupenda la sequenza in cui Yacine raccoglie la spesa alla vera madre!) la creatura che si è portata in grembo per 9 mesi.
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Il film racconta la storia di due famiglie il cui figlio, ormai quasi ventenne, è stato scambiato per errore il giorno dopo la nascita. Solo che le due famiglie APPARTENGONO ai due schieramenti nemici per antonomasia: israeliano e palestinese. Sono quindi stati cresciuti con un'identità culturale fortissima e molto radicata, che prevede per lo meno l'odio nei confronti di tutti gli appartenenti alla controparte. La scoperta dell'errore genera disagio e getta costernazione fra i membri di ciascuna famiglia, con reazioni però molto diverse da caso a caso: mentre i padri rifiutano ogni tipo di apertura saranno -come al solito!!- le madri a creare quella reciproca complicità conciliatrice che nasce dall'impellenza di conoscere da vicino e toccare (stupenda la sequenza in cui Yacine raccoglie la spesa alla vera madre!) la creatura che si è portata in grembo per 9 mesi. Senza nulla togliere peraltro a quella che si è cresciuta nella convinzione che fosse tale.
La storia si dipana con la più assoluta semplicità, raccontando segmento per segmento e con infinita dolcezza la trasformazione cui SARANNO COSTRETTI i singoli protagonisti dall'impellenza con cui va formandosi questa novella "famiglia allargata" (perchè di questo, alla fine realmente si tratta!!") che vive a cavallo di un muro di odio e separazione, dimostrando una volta per tutte che ogni conciliazione è possibile SE SI CERCANO LE AFFINITA' ANZICHE' LE DISCRIMINANTI (che sono poi i connotanto della stessa appartenenza!!). Uno dei dettagli più commoventi (ma il film ne è talmente ricco che va rivisto almeno un'altra volta) è la stretta di mano dapprima titubante, poi spontanea e bellissima fra Bilal, il fratello palestinese carico di risentimento antisemita, ed il padre israeliano, militare di carriera. Senza tener conto della storia di amicizia profonda che nasce, a dispetto di tutte le premesse, fra i due regazzi oggetti dello scambio: due attori, fra l'altro, capaci di una gamma espressiva molto ricca e commovente.
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sergio dal maso
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giovedì 18 giugno 2015
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la forza delle donne
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Due ragazzi diciottenni, Joseph e Yacine, e due famiglie, una israeliana e l’altra palestinese.
Vivono a pochi chilometri di distanza ma, probabilmente, non si incontreranno mai perché tra di loro c’è un muro. O meglio, ce ne sono molti. Muri e barriere materiali, come quello imponente che divide Israele dai territori occupati della Cisgiordiania o i numerosi checkpoint presidiati dall’esercito e dal filo spinato.
Ci sono poi i muri psicologici, quelli innalzati dai pregiudizi e dall’odio ancestrale, fossilizzati da decenni di guerra e violenza, soprusi e vendette. La vita dell’israeliano Joseph, con le sue velleità artistiche, il benessere economico e le giornate in spiaggia con gli amici, è antitetica rispetto a quella di Yacine, che pur cresciuto nella precarietà e nella povertà del villaggio palestinese ha avuto la forza e il coraggio di andare a studiare medicina a Parigi, preservando il sogno d’infanzia di aprire un ospedale nella sua terra.
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Due ragazzi diciottenni, Joseph e Yacine, e due famiglie, una israeliana e l’altra palestinese.
Vivono a pochi chilometri di distanza ma, probabilmente, non si incontreranno mai perché tra di loro c’è un muro. O meglio, ce ne sono molti. Muri e barriere materiali, come quello imponente che divide Israele dai territori occupati della Cisgiordiania o i numerosi checkpoint presidiati dall’esercito e dal filo spinato.
Ci sono poi i muri psicologici, quelli innalzati dai pregiudizi e dall’odio ancestrale, fossilizzati da decenni di guerra e violenza, soprusi e vendette. La vita dell’israeliano Joseph, con le sue velleità artistiche, il benessere economico e le giornate in spiaggia con gli amici, è antitetica rispetto a quella di Yacine, che pur cresciuto nella precarietà e nella povertà del villaggio palestinese ha avuto la forza e il coraggio di andare a studiare medicina a Parigi, preservando il sogno d’infanzia di aprire un ospedale nella sua terra. La loro vita e quella delle rispettive famiglie, i loro mondi, così diversi e incompatibili, apparentemente destinati a non incrociarsi, si trovano invece all’improvviso l’uno di fronte all’altro. Un evento tanto incredibile quanto dirompente sconvolge la serenità delle loro esistenze: la scoperta che nel 1991 durante l’evacuazione dell’ospedale di Haifa per un bombardamento aereo le culle dei due neonati sono state scambiate per errore. Joseph non è ebreo ma figlio di un ingegnere palestinese costretto a lavorare come meccanico dal blocco della mobilità nei territori occupati.
L’arabo Yacine è invece ebreo, il vero padre è un alto ufficiale dell’aeronautica e la madre un affermato medico. La drammaticità della situazione non investe solo i ragazzi ma anche i genitori e i fratelli; la capacità di reagire, però, è differente e varia secondo la sensibilità e i valori di ciascuno. La reazione immediata dei padri è di aperta ostilità, si rifiutano di accettare la nuova situazione, temendo di “perdere” il proprio figlio.
Nell’incontro tra le due coppie si rinfacciano responsabilità politiche, dialogando con astio e pregiudizi in modo conflittuale. Le madri, invece, si fanno guidare dal cuore, anche quando restano in silenzio parlano con gli occhi, l’umanità del sentimento materno non teme di “perdere” un figlio ma spera di ritrovarne un altro. E’ grazie all’amore e all’aiuto delle madri che Joseph e Yacine sapranno incontrarsi senza paura e confrontarsi sulle loro vite, diventando amici e accettando la nuova identità di ebreo-palestinese.
Il messaggio forte e toccante dell’incredibile storia dei due neonati scambiati per errore, ispirata tra l’altro a un fatto realmente accaduto durante la guerra israelo-palestinese, è che l’affermazione della propria identità non può prescindere dall’accettazione e dalla comprensione dell’altro, dal confronto con ciò che è diverso da noi. Perché il figlio dell’altra non deve essere inteso solo come il figlio di un’altra madre, ma anche come il figlio di un’altra cultura o di un’altra generazione. Partendo dal coraggio e dalla sensibilità delle madri, Leila e Ourith, lo splendido film di Lorraine Levy ci invita a guardare “l’altro” con occhi diversi, cercando di capirne le ragioni e le motivazioni, anteponendo l’umanità degli individui all’appartenenza sociale e religiosa. E ancora una volta una voce di speranza e di pace per la martoriata terra palestinese arriva proprio dalle donne, ricordo per esempio lo sguardo femminile di Rula Jebreal e Nadine Labaki in “Miral” o “E ora dove andiamo?”, presentati nelle rassegne degli anni scorsi.
E’ un cinema che non ha bisogno di eclatanti scene di violenza o di improvvisi e drammatici colpi di scena, tanto meno vuole affrontare e spiegare le ragioni del conflitto. Il figlio dell’altra commuove e fa pensare raccontando con delicatezza e sensibilità storie di persone, la loro umanità e le loro sofferenze. Ci riesce innanzitutto per la grande bravura e l’abilità registica della Levy, capace di girare scene cinematograficamente stupende, si pensi ai silenzi e agli sguardi delle due coppie di genitori riunite per la prima volta, o la camminata notturna dell’ufficiale lungo il muro in cerca del figlio. Ma anche per aver saputo riunire un cast multietnico straordinario, nel film si parlano 4 lingue, che si è dimostrato molto affiatato e solidale durante la difficile lavorazione.
“La speranza” afferma la regista francese “non può che passare dalle donne e dalle nuove generazioni, resistendo con la perseveranza dell’amore di una madre”.
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angelo umana
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lunedì 18 marzo 2013
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è del mondo che sono i figli
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Dev’essere raggelante scoprire che il figlio allevato per oltre 20 anni non è il proprio figlio biologico ma “Il figlio di un’altra” e per il ragazzo apprendere che quei genitori non sono i suoi naturali, perché se quella notte del 23/1/1991, in piena guerra del Golfo, i neonati non fossero stati scambiati per errore nell’ospedale di Haifa, “per te sarei un perfetto sconosciuto”. E’ destabilizzante, sconvolgente, scoprire di aver vissuto in una casa e con dei genitori che non ti appartenevano, quasi una vita di altri (“le vite degli altri” che sono poi simili alle nostre). Così avviene a Joseph e a Yacine, e ai rispettivi genitori: si tratta per giunta di una famiglia ebrea quella del primo e di una famiglia palestinese nel caso del secondo.
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Dev’essere raggelante scoprire che il figlio allevato per oltre 20 anni non è il proprio figlio biologico ma “Il figlio di un’altra” e per il ragazzo apprendere che quei genitori non sono i suoi naturali, perché se quella notte del 23/1/1991, in piena guerra del Golfo, i neonati non fossero stati scambiati per errore nell’ospedale di Haifa, “per te sarei un perfetto sconosciuto”. E’ destabilizzante, sconvolgente, scoprire di aver vissuto in una casa e con dei genitori che non ti appartenevano, quasi una vita di altri (“le vite degli altri” che sono poi simili alle nostre). Così avviene a Joseph e a Yacine, e ai rispettivi genitori: si tratta per giunta di una famiglia ebrea quella del primo e di una famiglia palestinese nel caso del secondo. Il rabbino dice a Joseph che “l’ebraismo è uno stato spirituale connesso alla tua stessa natura”, non ci può essere bugia più pietosa: la natura non fa nascere le persone con l’appartenenza codificata a uno stato o a una religione; i bambini nascono ed è del tutto casuale che nascano ad un antìpode oppure in quello opposto. Le distanze e le appartenenze si creano dopo, sono sovrastrutture mentali create dalle regole che gli uomini si danno, confini disegnati sulla carta da leader che spesso “distruggono un popolo”. E’ solo per effetto di un muro eretto per dividere le due popolazioni che il papà “adottivo” di Yacine svolge il mestiere di meccanico d’auto e non quello che gli appartiene di ingegnere meccanico, perché gli è vietato uscire dai suoi confini palestinesi.
Nel film vediamo il filo spinato dei confini tra palestinesi e israeliani eppure le famiglie dei due ragazzi e loro stessi si mescolano, non hanno alcuna reciproca avversità naturale e Joseph e Yacine per puro caso sono finiti al di qua o aldilà del confine. In fondo è perfettamente identico dire “Che Dio ci aiuti” o “Che Allah ci aiuti”.
Alla scoperta dello scambio di bambini le madri sono quelle che piangono e per prime rielaborano l’avvenimento, i padri invece sono annichiliti, si resistono ad accettare la realtà ma poi le vite vanno avanti, “è del mondo che sono i figli e non sono figli tuoi” scriveva Gilbran. In fondo le due famiglie scoprono una dimensione nuova, i figli diventano quasi in coabitazione per le due coppie e le differenze non sono poi così proibitive. Grandi verità al riguardo, che spazzano il campo da eventuali crisi d’identità, sono quelle pronunciate da Yacine, frasi molto mature per la sua età: “Non è solo questione di un certificato di nascita”, “Sono sempre stato chi volevo e quello che volevo” e “Per te che vivi la mia vita, non la sprecare”. Cita pure Isacco e Ismaele, un padre, Abramo, e due popoli.
Il film è ottimamente interpretato, un magnifico film che non indulge a isterie o melodrammi. La regista – e più ancora la sceneggiatura – hanno celebrato la mancanza di confini, la insussistenza dei motivi che rendono nemiche una popolazione all’altra, un film "ecumenico", nel senso di universale. Piccola citazione attinente: Mario Rigoni Stern scriveva in “Storia di Tonle” che le frontiere sono innaturali, i fiumi e gli uccelli ad esempio si muovono senza tenerne conto.
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renato volpone
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sabato 16 marzo 2013
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isacco e ismaele
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Israele e Palestina, due mondi separati che si odiano, una notte di bombardamenti nel 1991, due bambini nascono e, per errore nell'agitazione del momento, vengono scambiati nella culla. A quasi 18 anni d'età. a causa di una visita medica e delle analisi del sangue, ormai ragazzi, scoprono prima l'imponderabile e poi la verità. Inizia così una storia che ci ricorda i Capuleti e i Montecchi, che ci riporta alla memoria quello splendido e originale film "miracolo napoletano" e, ancora, come gli stessi ragazzi citano, i figli di Abramo, Isacco e Ismaele. Il racconto ci parla della diversità che colpisce nel profondo delle convinzioni, quella diversità che volevi vedere morta, uccidere, ma che ora ti viene attribuita, ti appartiene con violenza.
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Israele e Palestina, due mondi separati che si odiano, una notte di bombardamenti nel 1991, due bambini nascono e, per errore nell'agitazione del momento, vengono scambiati nella culla. A quasi 18 anni d'età. a causa di una visita medica e delle analisi del sangue, ormai ragazzi, scoprono prima l'imponderabile e poi la verità. Inizia così una storia che ci ricorda i Capuleti e i Montecchi, che ci riporta alla memoria quello splendido e originale film "miracolo napoletano" e, ancora, come gli stessi ragazzi citano, i figli di Abramo, Isacco e Ismaele. Il racconto ci parla della diversità che colpisce nel profondo delle convinzioni, quella diversità che volevi vedere morta, uccidere, ma che ora ti viene attribuita, ti appartiene con violenza. Quella diversità che tenti di nascondere, ma che non puoi perché ti cresce dentro il desiderio di conoscere, di esplorare. Quella diversità così uguale se la guardiamo con occhi diversi. Divisioni che vengono da lontano, che quasi non ne capisci più le motivazioni. Divisioni che ti entrano dentro, inculcate, inglobate, socializzate: la religione stessa non riconosce più i propri figli. Lorraine Levy per la Teodora Film ci pone la questione, solleva il dibattito, propone la "possibilità", con un "canto" che unisce, con una mano che si stringe, con i figli che saranno per sempre figli, qualunque cosa accada. Una storia delicata, forse impossibile, ma che ci colpisce nel profondo del cuore, anche per la simpatia e bravura degli attori, tutti protagonisti, figli, genitori, fratelli. Una storia che è il segno di una divisione sociale, della ricchezza e della povertà, della libertà e della prigione. Con la musica che avvolge e la nitidezza delle immagini che riportano al calore di una casa e di una famiglia si azzarda ciò che sembra impossibile, dove, per iniziare il cambiamento, basterebbe solo un po' d'amore e uomini buona volontà. Un film da vedere in lingua originale perché girato in quattro lingue diverse.
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donni romani
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venerdì 22 marzo 2013
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i pregiudizi sconfitti dall'amore
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Joseph ha diciotto anni, vive in Israele, ama suonare la chitarra, portare i capelli come il giovane Dylan ed è in procinto di partire per fare il militare, orgoglioso figlio di un colonnello dell'esercito. Ma durante i controlli medici un'irregolarità sul gruppo sanguigno insospettisce la famiglia, quel ragazzo che hanno cresciuto con amore non è il loro figlio, è stato scambiato all'Ospedale di Haifa la notte in cui è nato, nella confusione seguita ad un bombardamento. Lo sconcerto iniziale si trasforma in orrore per la famiglia di Joseph quando apprendono che il loro vero figlio è stato affidato ad una famiglia di palestinesi che vive nei territori occupati, si chiama Yacine e studia a Parigi per diventare medico.
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Joseph ha diciotto anni, vive in Israele, ama suonare la chitarra, portare i capelli come il giovane Dylan ed è in procinto di partire per fare il militare, orgoglioso figlio di un colonnello dell'esercito. Ma durante i controlli medici un'irregolarità sul gruppo sanguigno insospettisce la famiglia, quel ragazzo che hanno cresciuto con amore non è il loro figlio, è stato scambiato all'Ospedale di Haifa la notte in cui è nato, nella confusione seguita ad un bombardamento. Lo sconcerto iniziale si trasforma in orrore per la famiglia di Joseph quando apprendono che il loro vero figlio è stato affidato ad una famiglia di palestinesi che vive nei territori occupati, si chiama Yacine e studia a Parigi per diventare medico. La stessa reazione la avranno i membri della famiglia di Yacine, sconvolti all'idea che il loro figlio sia stato cresciuto da una famiglia ebrea. L'odio atavico fra i due popoli è l'ostacolo principale che i due ragazzi dovranno affrontare, ma non meno devastante è l'impatto emotivo che una notizia del genere porta con sè. I primi impacciati incontri fra le due famiglie - cui non partecipa il fratello maggiore di Yacine che odia visceralmente gli ebrei- sono impacciate, piene di sospetti e pregiudizi, specie da parte dei padri dei due ragazzi, ma Joseph e Yacine con il passare dei mesi scoprono il desiderio di conoscersi, di superare la barriera dell'ostilità e del rancore per sostituirla con la curiosità, con il dialogo, con l'inizio di un percorso che durerà tutta la vita, perchè dovranno imparare a conoscere le loro origini, la loro cultura, i contesti familiari, e con quelli imparare a convivere, compatibilmente con l'educazione ricevuta. Le figure materne sono dolenti, eppure colme di amore per il nuovo figli, un amore però trattenuto per paura di ferire i sentimenti del ragazzo che hanno cresciuto, un amore senza confini, senza barrire, fisiche e mentali. Barriere fisiche che la regista Levy ci mostra chiaramente nelle scene al check-point, dove quasi quotidianamente a Joseph e Yacine viene chiesto perchè vogliono passare di qua o di là e dove la loro storia diventa una sorta di barzelletta per i militari. Il confronto fra i vari protagonisti brilla di semplicità, di emozione sincera, di smagliante verità, e alza la posta in gioco: non c'è solo Israele e la Palestina, non c'è solo il dramma personale di due famiglie, c'è il confronto eterno fra noi e gli altri, e fra noi e l'immagine di noi stessi all'interno dei confini in cui siamo cresciuti - magnifico il risentimento di Joseph verso l'ottuso rabbino che considera Yacine più ebreo di lui solo perchè "lo è nel sangue" vanificando anni di studi e di impegno - e di incredibile potenza il percorso più ostico di tutti, quello che compie Bilal, il fratello di Yacine, che partendo da un odio sordo e millenario si apre alla conoscenza di chi credeva diverso e lo scopre uguale, con la stessa passione per la musica, per le ragazze, per la vita. Grande metafora questa famiglia allargatissima e imperfetta , grande messaggio di speranza e di apertura, sempre che ci sia il cuore colmo d'amore per comprenderlo e la mente libera da pregiudizi, meta che si può raggiungere solo andando verso l'altro, proprio come fanno Joseph e Yacine, che a piedi, sotto il sole di una spiaggia, o arrampicandosi su una collina, sanno prendere in mano la propria vita e sanno farla diventare un dono prezioso per sè e per coloro che amano.
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flyanto
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mercoledì 20 marzo 2013
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l'importanza e le conseguenze a cui porta uno scam
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Film in cui si racconta della sconvolgente scoperta da parte di due famiglie della non appartenenza di quello che esse reputavano a tutti gli effetti essere il proprio figlio naturale e delle conseguenti ed ovvie problematiche che sorgeranno da questa critica situazione. Lo scambio dei due bambini, avvenuto in ospedale dopo un improvviso bombardamento nella giornata subito dopo quella del parto delle madri, ha determinato per i due bimbi, ormai divenuti maggiorenni, la loro esistenza, facendoli vivere presso famiglie diverse dalla loro naturale e facendoli crescere anche in due paesi differenti con principi morali ed etici opposti. Infatti uno crescerà in Israele reputandosi ebreo a tutti gli effetti, mentre l'altro si reputerà totalmente arabo presso i territori Palestinesi.
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Film in cui si racconta della sconvolgente scoperta da parte di due famiglie della non appartenenza di quello che esse reputavano a tutti gli effetti essere il proprio figlio naturale e delle conseguenti ed ovvie problematiche che sorgeranno da questa critica situazione. Lo scambio dei due bambini, avvenuto in ospedale dopo un improvviso bombardamento nella giornata subito dopo quella del parto delle madri, ha determinato per i due bimbi, ormai divenuti maggiorenni, la loro esistenza, facendoli vivere presso famiglie diverse dalla loro naturale e facendoli crescere anche in due paesi differenti con principi morali ed etici opposti. Infatti uno crescerà in Israele reputandosi ebreo a tutti gli effetti, mentre l'altro si reputerà totalmente arabo presso i territori Palestinesi. Dopo il naturale sconvolgimento nonchè repulsione/attrazione e, dunque, intima confusione, sulle proprie origini e soprattutto sull'accettazione o meno di esse (ma non solo da parte dei ragazzi bensì anche di alcuni loro singoli familiari) con molta intelligenza e buon senso essi riusciranno a superare la situazione ed accettarla, convivendo con la propria "doppia" natura e formazione ma creando un rapporto tra loro basato su un affetto realmente sincero e sulla reciproca comprensione. Questo film è estremamente interessante come tematica, sebbene lo scambio in culla di due bambini sia stato più volte rappresentato al cinema precedentemente, ma qui vi è un elemento nuovo che lo rende più originale di altri e che ne amplia la discussione e la problematica. Infatti, non solo c'è il problema o meno di essere cresciuti ed educati in famiglie non proprie dal punto di vista biologico, ma anche quello più vasto e, forse, più difficile da accettare per i diretti interessati, di appartenere o meno a due paesi differenti e per di più in conflitto tra loro come lo sono oggi Israele e la Palestina. Vengono così rivoluzionati o messi in discussione i concetti, i principi e tutti i valori morali o meno, insomma tutta l' intera formazione di un singolo individuo, implicando la difficile decisione se rifiutarli completamente od accettarli in pieno o solo in parte. In conclusione, la pellicola è girata con rigore e con uno stile garbato che ben si addice al tema ed all'atmosfera familiare e privata in generale, senza alcuna esasperazione. Forse, gli unici suoi limiti possono risultare il troppo buonismo e la maniera un pò troppo semplicistica con cui le situazioni si risolvono alla fine della vicenda ma in ogni caso mi sento vivamente di consigliare questo film come ottimo spunto di riflessione.
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nanni
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giovedì 23 aprile 2015
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il figlio dell'altra
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L’appartenere ad una comunità, la maggior parte delle volte, è deciso dalla casualità.
La condivisione delle scelte della comunità di appartenenza dovrebbe rispondere a criteri politici, mentre , invece, sembra che risponda più ad un bisogno, diciamo così, antropologico.
E’ il mero, rassicurante ed anestetizzante appartenere al la comunità la ragione stessa dell’appartenere.
E’ a partire dalla riflessione intorno a questo vincolo predeterminato che il bel film Lorrain Lévy mostra tutta la debolezza che sottintende scelte di campo che, invece di trovare la propria ragione nell’antropologia, dovrebbero attenere alla politica, nell’accezione più nobile del termine.
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L’appartenere ad una comunità, la maggior parte delle volte, è deciso dalla casualità.
La condivisione delle scelte della comunità di appartenenza dovrebbe rispondere a criteri politici, mentre , invece, sembra che risponda più ad un bisogno, diciamo così, antropologico.
E’ il mero, rassicurante ed anestetizzante appartenere al la comunità la ragione stessa dell’appartenere.
E’ a partire dalla riflessione intorno a questo vincolo predeterminato che il bel film Lorrain Lévy mostra tutta la debolezza che sottintende scelte di campo che, invece di trovare la propria ragione nell’antropologia, dovrebbero attenere alla politica, nell’accezione più nobile del termine.
I due giovani protagonisti, per un bizzarro gioco del destino, saranno costretti a scambiarsi vite e punti di vista in ogni senso.
Nell’inevitabile e drammatico confronto che ne deriverà, e nel quale saranno coinvolte le rispettive famiglie, i protagonisti scopriranno la parzialità e la fragilità della loro precedente contrapposizione.
Per Joseph e Racine sarà un punto di partenza per capire che l'unica comunità alla quale vale la pena appartenere è quella umana.
Il film è bello e necessario.
Ciao Nanni
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filippo catani
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martedì 27 gennaio 2015
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il dramma di due famiglie
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Durante dei bombardamenti presso l'ospedale di Haifa, il figlio di una coppia israeliana viene scambiato con quello di una famiglia palestinese. Una volta svolte le analisi per entrare a fare il militare, il ragazzo israeliano scoprirà che i suoi non sono i genitori biologici. Le due famiglie decideranno allora di provare a conoscersi.
Questo dramma familiare osserva da vicino quanto sta succedendo in Medio Oriente tra palestinesi e israeliani. Due famiglie restano letteralmente impietrite quando scoprono il tragico scambio. Cosa fare allora? Il padre israeliano è un colonnello dell'esercito che non vede affatto di buon occhio i palestinesi così come il padre palestinese vede negli israeliani gli usurpatori e oppressori della propria terra e del proprio popolo.
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Durante dei bombardamenti presso l'ospedale di Haifa, il figlio di una coppia israeliana viene scambiato con quello di una famiglia palestinese. Una volta svolte le analisi per entrare a fare il militare, il ragazzo israeliano scoprirà che i suoi non sono i genitori biologici. Le due famiglie decideranno allora di provare a conoscersi.
Questo dramma familiare osserva da vicino quanto sta succedendo in Medio Oriente tra palestinesi e israeliani. Due famiglie restano letteralmente impietrite quando scoprono il tragico scambio. Cosa fare allora? Il padre israeliano è un colonnello dell'esercito che non vede affatto di buon occhio i palestinesi così come il padre palestinese vede negli israeliani gli usurpatori e oppressori della propria terra e del proprio popolo. In mezzo insieme ai due ragazzi ci sono le due madri che cercano di raggiungere una mediazione e soprattutto hanno il cuore lacerato; infatti da una parte amano ovviamente il figlio che hanno rispettivamente cresciuto ma d'altra parte non resistono al desiderio di abbracciare il loro "vero" figlio. Ancora una volta il cinema mette in scena con realismo e crudezza un conflitto a cui nessuno sembra cercare soluzione e quì si mette pienamente a confronto lo stile di vita di due popoli completamente diversi a causa della guerra e dei muri divisori. Da una parte si vive in belle case, si hanno bei vestiti e una vita abbastanza tranquilla, dall'altra parte è tutto il contrario. Forse la pecca del film è un po' quella di perdersi nella seconda parte per arrivare a un finale un po' banale e scontato se vogliamo e che toglie qualche punto a un film comunque assolutamente valido e molto ben recitato dal cast al completo.
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rampante
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venerdì 1 novembre 2013
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uno strano destino
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Joseph Silberg è un ragazzo israeliano, vive spensierato i suoi 18 anni in attesa del servizio di leva obbligatorio, ama suonare e da grande vuole fare il cantante.
Per entrare in Aviazione fa gli esami del sangue, qualcosa non quadra e presto scopre la verità.
Quando è nato nel 1991, in piena guerra del Golfo, l'ospedale di Haifa venne evacuato perchè rischiava di essere bombardato e nel caos due neonati vennerò scambiati e cresciuti nella famiglia sbagliata.
E' difficile ora, rimettere in discussione l'intera vita per un terribile errore, per essere stati frettolosamente scambiati con un altro neonato.
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Joseph Silberg è un ragazzo israeliano, vive spensierato i suoi 18 anni in attesa del servizio di leva obbligatorio, ama suonare e da grande vuole fare il cantante.
Per entrare in Aviazione fa gli esami del sangue, qualcosa non quadra e presto scopre la verità.
Quando è nato nel 1991, in piena guerra del Golfo, l'ospedale di Haifa venne evacuato perchè rischiava di essere bombardato e nel caos due neonati vennerò scambiati e cresciuti nella famiglia sbagliata.
E' difficile ora, rimettere in discussione l'intera vita per un terribile errore, per essere stati frettolosamente scambiati con un altro neonato.
Entrambi sono i figli "dell'altra". Uno è ebreo e l'altro musulmano.
I genitori di Joseph sono israeliani e vivono a Tel Aviv mentre i genitori di Yacine sono palestinese e vivono in Cisgiordania. Due mondi.
Le due famiglie sono sconvolte dall'irruzione nel loro quotidiano del diverso che improvvisamente non possono più ritenere tale.
Siamo in Israele e l'altro è il nemico, viene da un mondo che ha distrutto la tua terra, che ha rotto i tuoi legami più cari, appartiene ad un popolo che ti insegnano
ad odiare e a temere fin da bambino.
Le due famiglie si trovano nella conflittualità arabo-sraeliana e sono costretti a vivere tra dissidi ed indispensabile riconciliazione, tentano di avvicinarsi ma i padri finiscono per lo scontrarsi, per rinfacciarsi il dolore dei loro popoli.
Come può accettare una tale situazione un reduce dalla guerra in Iraq, alto ufficiale dell'aeronautica israeliana o un ingegnere musulmano costretto a fare il meccanico perchè non può liberamente muoversi nella sua terra e piange un figlio ucciso dall'occupante.
I due ragazzi Joseph e Yacine provano ad interrogarsi e decidono di entrare l'uno nella famiglia dell'altro frequentando la vita che avrebbero dovuto vivere e rientrando in quella che gli è capitato di vivere, trasformando così la loro famiglia in un nucleo imperfetto allargato anzi allargatissimo.
E' una storia tragica sull'identità
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kondor17
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lunedì 23 dicembre 2013
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la pace è nello scambio?
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Sullo sfondo dell'eterno conflitto israelo-palestinese, due famiglie delle sponde opposte si trovano catapultate in un problema apparentemente irrisolvibile. Durante la visita di leva, infatti, i medici notano che Joseph ha un gruppo sanguigno incompatibile con quello dei genitori; le autorità devono pertanto prescrivere la prova del dna, per stabilirne le origini. Dall'altra parte, una famiglia palestinese, il cui figlio Yacine studia a Parigi, viene pure chiamata a fare la stessa prova. Invitati tutti dal direttore sanitario, l'atroce dubbio diventa cruda realtà: in piena guerra del golfo, nel gennaio 1991, un'infermiera nel panico scambia i due neonati.
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Sullo sfondo dell'eterno conflitto israelo-palestinese, due famiglie delle sponde opposte si trovano catapultate in un problema apparentemente irrisolvibile. Durante la visita di leva, infatti, i medici notano che Joseph ha un gruppo sanguigno incompatibile con quello dei genitori; le autorità devono pertanto prescrivere la prova del dna, per stabilirne le origini. Dall'altra parte, una famiglia palestinese, il cui figlio Yacine studia a Parigi, viene pure chiamata a fare la stessa prova. Invitati tutti dal direttore sanitario, l'atroce dubbio diventa cruda realtà: in piena guerra del golfo, nel gennaio 1991, un'infermiera nel panico scambia i due neonati. Dopo le dovute scuse, il direttore dà inizio alla procedura burocratica; le famiglie ne escono distrutte, soprattutto gli uomini, nemici sputati; uno, l'israeliano, colonnello dell'esercito, l'altro, Said, ingegnere costretto a fare il meccanico perchè relegato entro mura. Ma, nonostante tutto, i due si parlano, discutendo entrambi le proprie ragioni, litigando anche, ma si parlano. Le madri da subito mostrano affetto e comprensione reciproca. Il vero problema è Bigal, il figlio maggiore della famiglia araba, che disconosce il fratello Yacine non appena torna diplomato da Parigi, mentre Il conflitto interiore maggiore è quello di Joseph. Ebreo circonciso, rifiutato dal rabbino ed estremamente sensibile, egli trova invece conforto proprio nel fratello di sangue, Bigal, e amicizia in Yacine, il più emancipato e sciolto dei tre. La loro amicizia e l'amore delle madri per tutti i loro figli, giusti o sbagliati che siano, sarà la chiave di volta della storia e del futuro di una sola famiglia "allargata".
Il film è un quasi capolavoro. Interpretazioni, storia, ambientazione veramente sopra la media, come la musica e la splendida fotografia. E il messaggio è chiaro e positivo: solo la gente, con i suoi valori fondamentali, può interrompere un conflitto politico, voluto solo dai potenti della guerra, che alimentano ad hoc, con armi ed informazioni, sia il terrorismo arabo che il terrorismo di stato israeliano.
Solo la scena finale sulla spiaggia mi è sembrata inutile e pure fuori luogo: non si accoltella uno sconosciuto per una sigaretta e mi domando: era proprio necessario il sangue anche qui? E poi che ci fanno gli skin in spiaggia a Tel Aviv? Il film andava già in una chiara direzione e lo si capiva-auspicava sin dall'inizio. Peccato, senza di questo era da cinque stelle; comunque grande, grandissimo film.
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