Un'oretta e mezza al cinema in completo relax, cos’altro desiderare di più? Ecco allora che Hollywood ci viene incontro con l’ennesimo remake questa volta incentrato sul mondo della truffe d’arte dall’evocativo titolo: Gambit con l'affermata coppia Firth e Diaz rifacimento dell'oramai classica pellicola di metà anni '60 di Caine.
La pellicola descrive la solita truffa orchestrata da un curatore d'asta Dean (Firth) vessato dal suo capo, Lionel Shaband presidente di una famosa società e appassionato d'arte. Per vendicarsi dello spocchioso, Dean si fa aiutare da un imbrattatele che gli realizza un finto Monet e da una pepata cow-girl (Diaz) che vive in una roulotte con madre alcolizzata ai margini del Texas al cui interno fotografare la copia del dipinto. Successivamente, il compito piu' difficile: convincere Shaband che quel dipinto è un originale e strappargli 12 milioni di sterline. Ma attenzione: niente è ciò che sembra. La vicenda va avanti tra tradimenti, imbrogli, alberghi di lusso e inviti a presentazioni di gala "particolari" con personaggi stereotipati e privi di smalto senza particolari faville.
Chi conosce il precedente film di Michael Caine praticamente sa già tutto ma il Gambit di Hoffman aggiunge quel livello di farsa e di grottesco di cui l'originale ne era sprovvisto. Diametralmente spaccato in due con la fastidiosa voce fuori campo di De Ambrosis (l'imbrattetele), Gambit ha il pregio di far sorridere in alcune scene azzeccate che hanno cuore nel lussuoso albergo dove si svolge la seconda parte: particolare quella di Firth che tenta di evadere dalla finestra dello sgabuzzino dove è stato accidentalmente chiuso dentro e a cui cadono i pantaloni dinanzi all'albergo rimanendo in mutande a venti metri di altezza su un cornicione .. per poi introdursi dalla finestra nella suite di una "vedova" nel momento in cui il receptionist bussa alla porta per consegnarle un invito a teatro oppure la scena del leone di guardia al dipinto che sembra tratta da "Hangover".
Generalmente allegro ma strutturalmente labile e privo di incisività, Gambit propone una coppia di stelle holloywoodiane dalle indubbie capacità (Firth nel "Discorso del re" era superbo, la Diaz, bè non credo abbia particolari capacità se non l'avvenenza cosa che nel film è ovviamente sottolineata con una scena in bikini), siano stati messi in una commedia anni ‘80 peggio di quelle che si recitavano sulla "febbre da cavallo" (che era un capolavoro nel suo genere), una farsa che non sembra neanche sceneggiata dai fratelli Cohen (che negli ultimi tempi hanno dimostrato di aver perso quello sprint difficilmente conquistato con "Non è un paese per vecchi").
I cliché ahimè abbondano e finiscono alla lunga per essere noiosi. Gambit si riduce a un calderone di nazionalità messe alla berlina nei loro "lati meno brillanti" , incapace di esprimersi con forza e capacità per essere pienamente convincente. La trama praticamente inconsistente e i dialoghi pieni di doppi sensi o eccessivamente verbosi (Firth ricorda l'Hanks di Ladykillers) non aiutano certo.
L'unico aspetto positivo è la leggerezza, la fluidità della seconda parte con un'accozzaglia di situazioni nonsense e la possibilità di fare un bel reset appena usciti di sala, operazione non difficile visto che le scene "interessanti" si contano sulle dita di una mano.
[+] lascia un commento a eugenio »
[ - ] lascia un commento a eugenio »
|