Dimmi che destino avrò

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Alina viene dalla Francia Valutazione 3 stelle su cinque

di gianleo67


Feedback: 61377 | altri commenti e recensioni di gianleo67
mercoledì 26 dicembre 2012

Un mite commissario di mezza età indaga sul presunto rapimento di una ragazza Rom da parte di un suo giovane compagno di campo, a Cagliari. Alina, la maggiore delle sorelle del ragazzo rientra da Parigi, dove lavora presso un'associazione per i diritti umani, per assistere i genitori e confrontarsi con le istituzioni. L'incontro tra i due sarà l'occasione per il poliziotto di conoscere meglio la realtà dei campi Rom e la variegata e ricca umanità che vive ai margini della civiltà urbana. Piccolo grande film del talentuoso Peter Marcias che, con sguardo attento e sensibile, indaga la realtà umana che vive ai bordi del tessuto cittadino e lo fa attraverso un insolito linguaggio a metà strada tra il documento sociale e la fiction di genere, cercando di evitare con l'abilità di un autore consumato le secche perigliose della retorica e di un facile ideologismo. Il suo personale apologo sulla tolleranza è in realtà uno sguardo in presa diretta su di un mondo sconosciuto ai più e che spesso i media ci presentano come un indistinto germinaio di brutture e malaffare; lo fa soprattutto indugiando su volti delle persone, sulle loro riconoscibili fisionomie e cercando di cogliere l'umanità di una cultura che vive scontando il peso di uno stigma sociale frutto dell'ignoranza e del pregiudizio. Il suo non è tuttavia uno sguardo lineare, ma offre la cifra bipolare di un obiettivo che sfalsa le prospettive e ci restituisce sia il punto di vista dei personaggi che quello sui personaggi, coinvolgendo lo spettatore in un pregiudizio interpretativo per cui l'irreprensibile commissario di giorno, potrebbe essere (e non è) un equivoco frequentatore di locali per incontri omosex la notte, mettendo così a nudo la perversa logica del meccanismo psicologico su cui si fonda un giudizio avventato o il prevalere di una cultura di rifiuto della diversità (razzista, omofobica, xenofoba). I protagonisti della vicenda poi sono figure tratteggiate con realismo ed umanità, le cui recirpoche diffidenze sono piu' il frutto di un malinteso rispetto del reciproco ruolo sociale e professionale che di una preconcetta ostilità ideologica (l'appuntamento disdettato dal commissario è dovuto alla paura di innamorarsi di nuovo e non invece al venir meno del rispetto per la bella e colta rom poliglotta); sono figure che cercano il confronto puntando sulla comprensione dell'altro e su valori comuni (la famiglia, lo sport, la formazione) e laddove la rigidità e l'ottusità dei codici (o delle assurde restrizioni governative) farebbero pensare ad un reato, c'è in realtà una pacifica e assodata prassi culturale (il matrimonio riparatore in seguito alla 'fuitina' che consente di bypassare le insormontabili difficoltà economiche). Particolarmente apprezzabile è poi la ricostruzione ambientale, dove più spesso la protagonista ritorna al campo che si staglia come un pulviscolo di luci lontane ai bordi per perimetro cittadino come una galassia lontana cui far ritorno dopo un lungo e faticoso viaggio interstellare o dove si può gustare un ottimo caffè alla turca preparato con una ricetta speciale che con sorpresa si apprende nulla ha a che fare con la Turchia. Piccolo esperimento filmico (potremmo definirlo mediometraggio) che rappresenta in realtà un laboratorio in presa diretta sugli effetti del sincretismo nel confronto fra culture diverse ma che condividono una comune base antropologica (dice Alina: 'noi siamo nomadi perchè ci cacciano sempre via'). Sempre all'interno di un registro misurato e accorto anche quando affronta un tema scottante e attuale come le politiche di repressione del governo Leghista, gode di momenti di toccante intensità nel presentare i volti candidi e teneri di bambini rom che a torto non consideriamo italiani o nel dono speciale che Alina riserva all'amico poliziotto invitandolo (lui inconsapevole) al matrimonio del fratello 'rapitore di minori'. Splendida e affascinante la giovane Luli Bitrì e parte appropriata per un misurato e intenso Salvatore Cantalupo. Nutrita presenza di attori non professionisti. Sorprendente.

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