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La figlia del grande David Lynch, versata per il genere horror, realizza un film alquanto anonimo dal plot prevedibile sul solito serial killer, traumatizzato come da clichè dagli abusi subiti da ragazzo dal padre, che rapisce tortura e uccide le sue vittime in un casale blindato in mezzo al nulla. Una sorta di velleità ad emulare lo stile del più famoso genitore Jennifer la rivela nel finale, che continua anche dopo i titoli di coda con il sonoro senza immagini, ambiguamente lasciato alla libera interpretazione dello spettatore, ma il paragone con David sarebbe impietoso ed un parricidio seppur metaforicamente desiderato come risolutivo dell’angoscia di non sentirsi all’altezza serpeggia inconsapevole tra le pagine dello script. Il dramma claustrofobicamente ambientato nel tinelllo salotto dello psicopatico si regge esclusivamente sulla performance attoriale di Vincent D’Onofrio nella parte del mostro dall’animo straziato dagli incubi del passato che vuole allevare il bambino, sottratto all’orrore di una apparente normalità, facendone il degno erede delle sue macabre imprese.
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