a. di iorio
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sabato 21 aprile 2012
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l'italia: il paese che accoglie peggio allen
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Dopo l'Inghilterra, la Spagna e la Francia l'Italia è stato il paese che l'ha accolto peggio. Per un malcontento celato dal nostro orgoglio, dalla nostra convinzione di essere gli unici in grado di poter parlare di noi stessi. Se lo "straniero" arriva non può capirci, può solo descriverci come spaghetti e mandolino. Eppure, Allen nel film si sforza dalla prima all'ultima inquadratura di non girare niente di gratuito. Il bel Midnight in Paris di cartoline ne mostrava molte di più. Il personaggio di Alec Baldwin dice a tal proposito: "Non mi diverto a fare il turista, preferisco vagare tra i vicoletti" (ma i critici, troppo occupati a trovare i loghi dei product placement qua e là, non lo hanno sentito).
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Dopo l'Inghilterra, la Spagna e la Francia l'Italia è stato il paese che l'ha accolto peggio. Per un malcontento celato dal nostro orgoglio, dalla nostra convinzione di essere gli unici in grado di poter parlare di noi stessi. Se lo "straniero" arriva non può capirci, può solo descriverci come spaghetti e mandolino. Eppure, Allen nel film si sforza dalla prima all'ultima inquadratura di non girare niente di gratuito. Il bel Midnight in Paris di cartoline ne mostrava molte di più. Il personaggio di Alec Baldwin dice a tal proposito: "Non mi diverto a fare il turista, preferisco vagare tra i vicoletti" (ma i critici, troppo occupati a trovare i loghi dei product placement qua e là, non lo hanno sentito). E sono infatti i vicoli a predominare in To Rome with Love, e con loro il senso di caos e di smarrimento che la grande metropoli comporta. Tra i vicoli ci si perde e si fanno incontri casuali, possono nascere storie, e ogni storia non ha la pretesa di essere esemplare ma viaggia su un filo di leggerezza, dovuto alla consapevolezza che questi racconti sono solo quattro tra centinaia e centinaia che il vigile di Piazza Venezia, narratore del prologo, ci può enunciare. Sono la spensieratezza e la casualità le basi di un film che doveva chiamarsi The Bop Decameron, un insieme di racconti briosi, frizzanti, che però possono nel loro piccolo farci riflettere. Non a caso abbiamo un uomo comune e senza doti (Benigni) che diventa improvvisamente famoso senza merito, e dall'altra parte un tenore di grande talento (Armiliato, un'immensa voce) che non è conosciuto da nessuno e riesce a farsi sentire solo nel momento più intimo della giornata. Ma forse delle quattro la storia che ha smosso di più il subconscio degli italiani, per dirla insieme ad Allen-Freud, è quella dei due sposini che commettono "adulterio" (che ricorda Baciami Stupido di Wylder). Forse non vogliamo ammettere che una parte della nostra cultura, anche se nel 2012, veste ancora con abiti anni '50. Ma l'amore del titolo c'è, ed è in ogni inquadratura, in ogni canzone nostalgica (ma è stato deciso che le belle canzoni non possono essere più utilizzate), nel grande omaggio concesso alla nostra lirica e all'archietettura, antica e moderna (vedere la contrapposizione tra le rovine romane e l'auditorium di Renzo Piano). La Roma di Allen non è la vera Roma, ma è filtrata da un immaginario cinematografico, quello dei nostri grandi registi, amati prodondamente dal regista newyorkese. Quella di Allen è una Roma sospesa nel tempo, nei suoi costumi, nei suoi luoghi e nelle sue luci, splendidamente realizzate dal Darius Khondji di Midnight in Paris, che mette a punto una fotografia di sapore "italiano" nel miglior senso del termine. Perché To Rome with Love è un film italiano, almeno per la sua metà: pensate, Woody è venuto da noi a girare un film per parlato al cinquanta per cento con la nostra lingua. E pensate ancora, ha scelto di girate nel quartiere popolare e tutt'altro che turistico Garbatella e nel rione Monti, e nelle semisconosciute Villa Gregoriana a Tivoli e Villa dei Quintili sull'Appia. Ce l'ha messa tutta per fotografare luoghi cinematograficamente quasi inesplorati, eppure il risultato è questo: "Tornatene a New York, noi non siamo più così come ci racconti". A questo punto si spera davvero che a New York ci torni, per il bene suo. Io, dal canto mio, gli dico solo: grazie. Perché, come recita la "stereotipata" canzone di Modugno, "Penso che un sogno così non ritorni mai più".
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[+] un film sciatto con nessuna romanità
(di viperanera)
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[+] vi attaccate ai dettagli
(di a. di iorio)
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[+] woody per sempre
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carlona
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giovedì 19 aprile 2012
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una cartolina assolutamente da ridere
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Nonostante l’enorme successo di Midnight in Paris – con Oscar al seguito – Woody Allen torna al cinema con To Rome with love col quale è riuscito a ricreare una storia completamente diversa, sia per tono che per impostazione da quella che aveva raccontato nella capitale francese. Una storia riuscitissima e per niente scontata che prende in giro le manie degli italiani, icone quasi “esotiche” – a detta dello stesso Allen – che il regista reinterpreta e mai svilisce ma piuttosto utilizza in maniera sottile per celebrare quello che il Bel Paese notoriamente sa far meglio: far ridere.
Quattro storie completamente diverse che non si incontrano mai e s’intrecciano solo tramite un equilibrato montaggio.
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Nonostante l’enorme successo di Midnight in Paris – con Oscar al seguito – Woody Allen torna al cinema con To Rome with love col quale è riuscito a ricreare una storia completamente diversa, sia per tono che per impostazione da quella che aveva raccontato nella capitale francese. Una storia riuscitissima e per niente scontata che prende in giro le manie degli italiani, icone quasi “esotiche” – a detta dello stesso Allen – che il regista reinterpreta e mai svilisce ma piuttosto utilizza in maniera sottile per celebrare quello che il Bel Paese notoriamente sa far meglio: far ridere.
Quattro storie completamente diverse che non si incontrano mai e s’intrecciano solo tramite un equilibrato montaggio. Quattro storie come tante, come quelle che si potrebbero scrivere su una cartolina da spedire a un amico. Un po’ forzata la parte iniziale, con la presentazione dei personaggi che subito dopo si trasformano in esecutori straordinari di alcune delle battute più divertenti mai sentite al cinema. Sarebbe troppo semplice dire che To Rome with Love è un film sugli stereotipi dell’Italia e degli italiani. Troppo semplice dire che i personaggi della filmografia alleniana son quasi sempre gli stessi: l’intellettuale nevrotico e incompreso, la prostituta, l’attrice che non riesce a consolidare i suoi rapporti amorosi, il consigliere immaginario, lo strizzacervelli e così via. Di fatto, però, Woody Allen riesce a non scadere nella classica macchietta che piace tanto agli americani usando proprio i suoi personaggi più riusciti contaminandoli con la sua verve sottile e con questa comicità tutta all’italiana che lui non ha mai nascosto di amare da sempre. Ispirato inconsciamente da Fellini, tutt’e quattro gli episodi giocano tantissimo con lo stile del regista di Rimini che soleva inserire elementi quotidiani sul palcoscenico ed elementi tipicamente finti, da pantomina nella realtà: la maestria sta proprio nel dare credibilità a elementi surreali convincendo lo spettatore a non chiedersi “perché” ma semplicemente a farsi travolgere da alcuni dei momenti più esilaranti e geniali di tutto il film – se non proprio di tutta la storia del cinema. Ed è per questo che To Rome with Love non è solo “un film sull’Italia” ma una commedia spensierata che maschera i grandi problemi della società di oggi. Poi c’è Roma che, oltre a essere cornice di questo ‘Decamerone’, diventa icona estetizzata, non solo sfondo ma soprattutto protagonista tramite i suoi attori che danno vita a una delle metropoli più carismatiche e monumentali esistenti: pochi i luoghi noti, tantissimi invece i vicoli esplorati e ricercati così come le musiche che rispecchiano appieno quelle che sono le corde di Allen.
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grazias88
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giovedì 19 aprile 2012
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allen brillante, critica italiana prevenuta
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La critica italiana è entrata in sala già col pregiudizio, con in bocca parole come "cliché" o "stereotipo" da pronunciare a tutti i costi. E invece To Rome with Love è una sorpresa, una pellicola che brilla di luci differenti ma sempre brillanti. Da una parte c'è Leopoldo/Benigni (un’ottima recitazione la sua, capace di trasmettere la disperazione di questa figura tragicomica) che di punto in bianco sperimenta i privilegi della celebrità senza alcun merito: lui è “famoso per essere famoso”, come gli verrà spiegato in una sosta della sua interminabile fuga dai paparazzi. Forte è la critica nei confronti della futilità delle domande che è solita fare buona parte dei giornalisti.
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La critica italiana è entrata in sala già col pregiudizio, con in bocca parole come "cliché" o "stereotipo" da pronunciare a tutti i costi. E invece To Rome with Love è una sorpresa, una pellicola che brilla di luci differenti ma sempre brillanti. Da una parte c'è Leopoldo/Benigni (un’ottima recitazione la sua, capace di trasmettere la disperazione di questa figura tragicomica) che di punto in bianco sperimenta i privilegi della celebrità senza alcun merito: lui è “famoso per essere famoso”, come gli verrà spiegato in una sosta della sua interminabile fuga dai paparazzi. Forte è la critica nei confronti della futilità delle domande che è solita fare buona parte dei giornalisti. Contrapposto all’insensato successo di Leopoldo c’è invece Armiliato/Giancarlo con la sua magnifica voce, il quale però riesce a cantare da dio solamente in una situazione piuttosto “privata” (questione che darà adito ad alcuni tra i momenti più esilaranti e comici del film). Il talento dunque c’è, ma spesso è invisibile e lontanissimo da una meritata celebrità. Gli attori internazionali si dimostrano, come era prevedibile, eccellenti. L’incredibile invece è quanto gli attori italiani, persino quelli che in altri contesti risultano meno capaci, in questo film siano ottimamente diretti: dai protagonisti ai cameo dei più o meno famosi fanno tutti la loro figura. Per quanto riguarda lo stile, la regia di Allen è come al solito di grande eleganza: anche delle tanto criticate “cartoline turistiche” c’è davvero poco o nulla e quel poco che c’è, quando c’è, è giustificato dalla narrazione (es. la Mastronardi che si perde, Eisenberg che fa da Cicerone alla Page appena arrivata). La fotografia è capace di alternare i magnifici toni ambrati delle storie “americane” a quelli più freddi di Leopoldo/Benigni. I dialoghi sono frizzanti, la scrittura è densissima di idee e di spunti originali. Anche le musiche non risultano né smaccatamente tipiche né clichetiche: predomina il buffo "Amada mia, amore mio". L’unica vera pecca di questa brillante commedia è che tutta la scoppiettante galleria di situazioni e personaggi ogni tanto sembra quasi starci stretta in quei 110 minuti: vorresti che il film continuasse ancora!
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pepito1948
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lunedì 23 aprile 2012
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luci ed ombre ma anche grasse risate
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Un ospite norvegese viene a trovarci e si offre di cucinare per noi un’amatriciana. Forse non è all’altezza dei nostri cuochi, il piatto potrebbe essere più saporito ma lui l’ha preparato con amore ed è così che ce ne fa dono. E’ questo in sintesi il probabile approccio di noi italiani, e in particolare di noi romani, alla cornice iconografica in cui Woody Allen ha ambientato il suo ultimo film interamente girato al centro di Roma, e, volendo estendere, può essere questo in metafora il giudizio globale sul film stesso. Quattro storie si snodano, alternandosi, in vari siti della Capitale, i cui temi sono altrettanti apologhi legati alla visione esistenziale del regista: l’uomo di talento che non accetta di esprimere –se non rimanendo se stesso- le sue mirabili doti attraverso il successo di massa, al contrario l’uomo senza talento che, travolto da un successo improvviso quanto immeritato, non accetta di farne a meno e quando fatalmente ne viene privato, esce di senno (come dire: il successo è un mostro tentacolare che bisogna saper gestire); la coppia di sposini che, separati per qualche ora da equivoci ed eventi casuali, si ritrovano più uniti di prima dopo imprevedibili divagazioni adulterine di entrambi, il giovane che cerca di resistere all’amica mangia uomini della sua compagna dialogando con il suo alter ego che tenta di metterlo in guardia (come dire: il sesso è una variabile capricciosa e indipendente che può distruggere o consolidare un rapporto di coppia).
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Un ospite norvegese viene a trovarci e si offre di cucinare per noi un’amatriciana. Forse non è all’altezza dei nostri cuochi, il piatto potrebbe essere più saporito ma lui l’ha preparato con amore ed è così che ce ne fa dono. E’ questo in sintesi il probabile approccio di noi italiani, e in particolare di noi romani, alla cornice iconografica in cui Woody Allen ha ambientato il suo ultimo film interamente girato al centro di Roma, e, volendo estendere, può essere questo in metafora il giudizio globale sul film stesso. Quattro storie si snodano, alternandosi, in vari siti della Capitale, i cui temi sono altrettanti apologhi legati alla visione esistenziale del regista: l’uomo di talento che non accetta di esprimere –se non rimanendo se stesso- le sue mirabili doti attraverso il successo di massa, al contrario l’uomo senza talento che, travolto da un successo improvviso quanto immeritato, non accetta di farne a meno e quando fatalmente ne viene privato, esce di senno (come dire: il successo è un mostro tentacolare che bisogna saper gestire); la coppia di sposini che, separati per qualche ora da equivoci ed eventi casuali, si ritrovano più uniti di prima dopo imprevedibili divagazioni adulterine di entrambi, il giovane che cerca di resistere all’amica mangia uomini della sua compagna dialogando con il suo alter ego che tenta di metterlo in guardia (come dire: il sesso è una variabile capricciosa e indipendente che può distruggere o consolidare un rapporto di coppia). Allen, come già aveva cominciato a fare nella recente cavalcata europea, rinuncia qui a profondere il solito pulviscolo di pessimismo, ai toni forti, alla sua ossessione psicanalitica (ma non del tutto, quando dice alla moglie “se incontri Freud chiedigli indietro i soldi” o quando affianca al ragazzo in dinamica con la nuova pericolosa ospite un attempato grillo parlante che sa tanto di strizzacervelli), allenta i suoi messaggi filosofici per inondarci di umorismo puro che in taluni momenti sfocia nella comicità più sfrenata. Non si sorride, ma si ride a crepapelle nei due episodi più riusciti, quelli sui differenti effetti del successo, nati da spunti geniali, in cui si rivede l’Allen dei primi tempi dalle intuizioni e dalle battute irresistibili. Forse nel personaggio di Benigni, signor nessuno nella vita che, trovatosi sulla ribalta senza meriti, resta accecato dai lampi della notorietà, c’è un pizzico di malignità contro il mondo dello spettacolo di cui Allen fa parte da mezzo secolo, e forse nell’esilarante spogliarello finale del grande Roberto nazionale in mezzo a Via Veneto traspare un velato omaggio a Fellini. In ogni caso le due storie sul successo riscattano in buona parte i limiti che pure il film evidenzia, con qualche debole riferimento a miti del passato –lo Sceicco bianco ancora di Fellini, in cui l’attore di fama seduce la sprovveduta e trasognata fan- e una certa stanchezza narrativa e qualche carenza di ispirazione che affiorano in alcuni episodi. L’uso di figure narranti tipicamente locali che aprono e chiudono il film per comunicare la ricchezza di spunti narrativi su Roma (il vigile in mezzo a piazza Venezia ed il trasteverino in canottiera) è piuttosto maldestro e ricorda, a chi ha i capelli bianchi, la frase di chiusura di un telefilm seriale americano degli anni ‘60: “New York, otto milioni di abitanti, otto milioni di storie da raccontare”. Insomma un’opera non perfetta e discontinua, dove l’estro artistico cede spesso il passo all’affettuoso omaggio ad una città gloriosa ed al cinema di Cinecittà, ma dove non mancano il tocco ironico, la gag intelligente e l’umorismo graffiante tipici del regista americano. E soprattutto un’opera che suscita grasse risate mai connesse a volgarità e scempiaggine, qualità oggi difficilmente riscontrabile nel cinema di casa nostra e non solo.
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[+] solidale con pepito
(di stini76)
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mimesis
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mercoledì 25 aprile 2012
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una roma che non esiste
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Woody Allen mette in scena una commedia con qualche tratto decisamente esilarante, e un incrocio di storie che però ricorda soprattutto il blockbuster comico-sentimentale di hollywood. Infatti, mi pare che - salvo qualche rara battuta interessante, come quella su Freud - il film rimanga una storiella senza pretese, ambientata casualmente a Roma, ma che sarebbe risultata identica se fosse stata ambientata a Parigi, o a New York, o chissà. Roma, poi, mi è sembrata svuotata. Dove sono i romani? Trastevere è solo una gabbietta per turisti e suonatori di fisarmonica? In quale città sono stati? Ho un'idea di Roma in estate decisamente più caotica, ma più vera. Allen scatta una fotografia da cartolina che è credibile solo per un turista che ci ha passato qualche giorno, trent'anni fa.
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Woody Allen mette in scena una commedia con qualche tratto decisamente esilarante, e un incrocio di storie che però ricorda soprattutto il blockbuster comico-sentimentale di hollywood. Infatti, mi pare che - salvo qualche rara battuta interessante, come quella su Freud - il film rimanga una storiella senza pretese, ambientata casualmente a Roma, ma che sarebbe risultata identica se fosse stata ambientata a Parigi, o a New York, o chissà. Roma, poi, mi è sembrata svuotata. Dove sono i romani? Trastevere è solo una gabbietta per turisti e suonatori di fisarmonica? In quale città sono stati? Ho un'idea di Roma in estate decisamente più caotica, ma più vera. Allen scatta una fotografia da cartolina che è credibile solo per un turista che ci ha passato qualche giorno, trent'anni fa. "Volare" apre il film, accompagnando i titoli di testa, e piano, piano, tra fisarmoniche sovrabbondanti e arie d'opera tagliate per compiacere un pubblico che non conosce la lirica, alla fine torna nuovamente la musica di Modugno, suonata da una banda in piazza. Penso a "Manhattan", che mi aveva commosso, perché "New York era la sua città, e lo sarebbe sempre stata". Roma no.
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scorzadimellone
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sabato 21 aprile 2012
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la città eterna vista da woody allen
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Continua l'omaggio di Woody Allen alle capitali del Vecchio Continente. Questa è la volta di Roma, la città eterna, nella quale si sviluppano 4 vicende parallele: quella di Leopoldo Pisanello, interpretato da un ottimo Benigni, un mediocre impiegato che diventa inspiegabilemente una celebrità; quella di una giovane coppia di provincia che nella Capitale sperimenta un giorno di separazione e di trasgressione; quella di una turista americana che si innamora di un giovane romano di sinistra e che invita i genitori (Woody Allen e Judy Davis) in Italia per conoscere i futuri consuoceri; quella di un giovane architetto che si innamora della migliore amica della sua ragazza nonostante gli avvertimenti del "fantasma" interpretato da Alec Baldwin.
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Continua l'omaggio di Woody Allen alle capitali del Vecchio Continente. Questa è la volta di Roma, la città eterna, nella quale si sviluppano 4 vicende parallele: quella di Leopoldo Pisanello, interpretato da un ottimo Benigni, un mediocre impiegato che diventa inspiegabilemente una celebrità; quella di una giovane coppia di provincia che nella Capitale sperimenta un giorno di separazione e di trasgressione; quella di una turista americana che si innamora di un giovane romano di sinistra e che invita i genitori (Woody Allen e Judy Davis) in Italia per conoscere i futuri consuoceri; quella di un giovane architetto che si innamora della migliore amica della sua ragazza nonostante gli avvertimenti del "fantasma" interpretato da Alec Baldwin. Allen ripropone i suoi temi classici, cita se stesso (il personaggio di Alec Baldwin rimanda alle apparizioni di Humphrey Bogat in "Provaci ancora, Sam!") e offre una sintesi di alcuni degli stereotopi sugli italiani con ironia, senza mai sarcasmo né dileggio (a iniziare dal vigile urbano di Piazza Venezia, che gesticola in maniera eccessiva, fino a un incidente...). La fotografia è eccellente, Roma sembra ancora più bella di quanto già non sia, vista con tocco delicato attraverso una luce calda e a tratti crepuscolare. Le inquadrature danno un'ulteriore conferma (se mai ce ne fosse bisogno) della mano esperta di Allen, ad iniziare dal piano-sequenza iniziale con cui allo spettatore sembra di essere davvero un turista che si guarda affascinato dalla città. L'episodio più originale è sicuramente quello di Benigni, con la riflessione sulla fugacità, l'inconsistenza e spesso l'immeritatezza della notorietà. Geniale l'idea del cantante lirico che riesce a cantare solo sotto la doccia.
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vales.
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venerdì 27 aprile 2012
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un pò confuso...
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Ultrapubblicizzato e seguito praticamente fin dal primo ciak, quest'ultimo film di Allen, è sempre rivolto al suo ormai ampio pubblico. Nonostante sia ambientato e girato nel bel paese, tornano tutti gli ingredienti tipici del suo stile. Il suo personaggio ,ad esempio, è il solito paranoico sempre pronto alle battute taglienti. Ma insieme a pochi altri personaggi, quello del regista, garantisce le risate. Il cast in generale funziona, ma nessuno spicca, neppure Benigni l'ho trovato eccellente. La trama a tratti è convenzionale, ma riserva comunque qualche sorpresa. Nella sceneggiatura ci sono trovate interessanti, ma in certi punti ci si perde un pò, per incongruenze temporali.
Poi non si comprende bene l'esperimento di metacinema non portato a termine: sin dalle prime scene compare fastidiosamente il microfono e dapprima si pensa ad un errore grossolano.
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Ultrapubblicizzato e seguito praticamente fin dal primo ciak, quest'ultimo film di Allen, è sempre rivolto al suo ormai ampio pubblico. Nonostante sia ambientato e girato nel bel paese, tornano tutti gli ingredienti tipici del suo stile. Il suo personaggio ,ad esempio, è il solito paranoico sempre pronto alle battute taglienti. Ma insieme a pochi altri personaggi, quello del regista, garantisce le risate. Il cast in generale funziona, ma nessuno spicca, neppure Benigni l'ho trovato eccellente. La trama a tratti è convenzionale, ma riserva comunque qualche sorpresa. Nella sceneggiatura ci sono trovate interessanti, ma in certi punti ci si perde un pò, per incongruenze temporali.
Poi non si comprende bene l'esperimento di metacinema non portato a termine: sin dalle prime scene compare fastidiosamente il microfono e dapprima si pensa ad un errore grossolano. Ma dopo si capisce che non può essere sfuggito un errore del genere sia alla regia che al montaggio e allora si comincia a pensare ad un intervento voluto di metacinema. Ma ci si aspetterebbe dunque che nel finale venga svelato ad esempio che tutto sia un film dentro un altro film...invece non succede. Per questo lascia un pò perplessi...
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linus2k
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lunedì 23 aprile 2012
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"de hominis et de sua fragilitate"
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Allen va visto, sempre, e possibilmente andrebbe visto senza preconcetti, senza luoghi comuni, prendendo ogni suo film come una nuova occasione del suo viaggio attraverso l'umanità...
Non tutti sono riusciti perfettamente e colpa è da dare anche all'eccessiva produzione.
Nuova tappa del tour europeo, "To Rome with love" è un film complesso, articolato, ricco. Un film che omaggia la città eterna, omaggia il Cinema italiano e le sue maestranze ed è uno dei film più affascinanti a mio avviso di Woody Allen.
4 episodi, 4 piccole storie che si intrecciano in una Roma da cartolina ma meravigliosa, calda in una fotografia affascinante, 4 storie che parlano italiano più di quanto i film precendenti parlassero spagnolo e francese.
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Allen va visto, sempre, e possibilmente andrebbe visto senza preconcetti, senza luoghi comuni, prendendo ogni suo film come una nuova occasione del suo viaggio attraverso l'umanità...
Non tutti sono riusciti perfettamente e colpa è da dare anche all'eccessiva produzione.
Nuova tappa del tour europeo, "To Rome with love" è un film complesso, articolato, ricco. Un film che omaggia la città eterna, omaggia il Cinema italiano e le sue maestranze ed è uno dei film più affascinanti a mio avviso di Woody Allen.
4 episodi, 4 piccole storie che si intrecciano in una Roma da cartolina ma meravigliosa, calda in una fotografia affascinante, 4 storie che parlano italiano più di quanto i film precendenti parlassero spagnolo e francese.
Con uno stile onirico, spesso surreale, giocando su nonsense ed eccessi, Allen ci regala uno dei suoi film più visionari e ricchi, quasi felliniano in alcuni momenti... forse anche troppo ricchi.
Punti deboli del film risiedono in primis sul doppiaggio: in un film che gioca sul bilinguismo italiano e inglese, l'appiattimento del doppiaggio indebolisce molte scene.
Altro punto debole è forse una ridondanza eccessiva nella narrazione, come nell'episodio di Benigni, un po' troppo lungo rispetto alla storia...
Con un cast importante persino nelle comparse, ricco di maestranze italiane, ci racconta un film sulla coppia, sulla psicologia dell'uomo, ci regala nuove riflessioni sulla vita e sulla morte (che bello rivedere Woody attore ed un applauso a Leo Gullotta, nuovo doppiatore eccezionale), sul potere, sul successo, sull'apparire e sul mondo dello spettacolo.
"To Rome with love" è essenzialmente un racconto sulla fragilità dell'uomo davanti al successo, davanti al potere...
E così ci racconta della fragilità dell'uomo comune davanti al successo, attraverso un Benigni formidabile, uomo comune improvvisamente e inspiegabilmente diventato famoso con i telegiornali interessati alla sua colazione o al suo modo di farsi la barba (meravigliosa la scena finale dell'episodio in via Veneto), ci racconta le semplici ed impreparate vite travolte dal profumo del successo e deboli davanti alle tentazioni(con una Penelope Cruz intensa ed affascinante), della sprovvedutezza sentimentale di giovani davanti al fascino di una star... fino all'episodio in cui Allen è protagonista, il più assurdo e metaforico: un produttore teatrale in pensione scopre un cantante lirico che riesce a cantare solo sotto la doccia... e lo convince a realizzare una versione de "I Pagliacci" tutta cantata sotto una doccia. Episodio surreale, quasi nonsense, assurdo ma quantomai esilarante specie nelle battute di Woody e che contiene riferimenti ironici ed autoironici del regista sul suo rapporto con la critica.
...ed è sulla critica che voglio terminare anche io...
"To Rome with love" è un bel film, ben realizzato, con una buona dose di onirismo, un film che va visto nonostante la spocchia, solita e prevenuta della critica che entra in sala con il giudizio già scritto!
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[+] la santa verita' è nell'ultima frase...
(di pas 86)
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tiamaster
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venerdì 20 aprile 2012
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spassosissimo!!!
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Il genio della comicità colpisce ancora,con 111 minuti di divertimento intelligente,e si sà che woody allen è un umorista straordinario dotato di una comicità straordinaria (sia come sceneggiatore,come regista e come attore),e questa è l'ennesima conferma del fatto che è un genio.Subito salta al occhio il cast,ricco di grandi nomi (benigni,baldwin cruz ecc.).Ogni attore riesce a dare una comicità diversa a ogni personaggio e anche lo stesso allen è estremamente a suo agio nel ruolo che si è ritagliato.La sceneggiatura è perfetta e si ride di gusto ogni due minuti (cosa sempre più rara) e alla fine della visione lo spettatore resta inevitabilmente contagiato dal buon umore di questa pellicola.
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Il genio della comicità colpisce ancora,con 111 minuti di divertimento intelligente,e si sà che woody allen è un umorista straordinario dotato di una comicità straordinaria (sia come sceneggiatore,come regista e come attore),e questa è l'ennesima conferma del fatto che è un genio.Subito salta al occhio il cast,ricco di grandi nomi (benigni,baldwin cruz ecc.).Ogni attore riesce a dare una comicità diversa a ogni personaggio e anche lo stesso allen è estremamente a suo agio nel ruolo che si è ritagliato.La sceneggiatura è perfetta e si ride di gusto ogni due minuti (cosa sempre più rara) e alla fine della visione lo spettatore resta inevitabilmente contagiato dal buon umore di questa pellicola.Colorato,divertente e spassoso "to rome with love"è un altra perla di Allen.
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[+] noiosissimo!!!
(di fiorita)
[ - ] noiosissimo!!!
[+] "111 minuti di divertimento intelligente"
(di brainspew)
[ - ] "111 minuti di divertimento intelligente"
[+] non tutte le ciambelle escono con il buco
(di dylandog84_1)
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donni romani
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mercoledì 16 maggio 2012
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le vacanze romane di allen
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Le vacanze romane di Woody Allen lasciano decisamente l'amaro in bocca a chi ama e apprezza il grande cineasta newyorkese da tanti anni. La selta di dividere i film in quattro episodi si rivela fin da subito debole, forse perchè le sceneggiature sono fiacche, forse perchè i personaggi non hanno tempo di svilupparsi, resta il fatto che le storie scontate e banali di questi personaggi in cerca di autore - e regista - restano fragili e stereotipate, echi lontani di ben altri caratteri di Allen, residui stanchi di un talento che avevamo appena ritrovato in "Midnight in Paris" e già perduto.
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Le vacanze romane di Woody Allen lasciano decisamente l'amaro in bocca a chi ama e apprezza il grande cineasta newyorkese da tanti anni. La selta di dividere i film in quattro episodi si rivela fin da subito debole, forse perchè le sceneggiature sono fiacche, forse perchè i personaggi non hanno tempo di svilupparsi, resta il fatto che le storie scontate e banali di questi personaggi in cerca di autore - e regista - restano fragili e stereotipate, echi lontani di ben altri caratteri di Allen, residui stanchi di un talento che avevamo appena ritrovato in "Midnight in Paris" e già perduto. Le battute latitano, solo alcuni scambi al vetriolo Allen-Davis reggono lo standard alleniano - "Il mio quoziente d'intelligenza è 150" dice lui, "Lo stai valutando in Euro, in dollari vale molto meno" replica lei - la sprezzante critica al furore giornalistico che perseguita l'uomo qualunque Benigni appena diventato famoso (un Benigni che fa il Benigni, ancora, davvero?) poteva anche essere intrigante ma è davvero troppo scolastica e priva di originalità - nei telegiornali ascoltiamo domande ben più surreali del "Lei indossa boxer o slip?" che la reporter d'assalto rivolge al povero piccolo diavolo assurto ai fasti del nulla mediatico, mentre la presa in giro di certo teatro sperimentale capace di mettere in scena un Rigoletto sotto la doccia strappa qualche sorriso, ma nulla più. Le tante partecipazioni di attori italiani sono totalmente trascurabili, una Muti di plastica, un Gemma che a malapena si intravede, uno Scamarcio appena divertente, presenze inutili, buone forse a soddisfare l'orgoglio del cinema italiano ma niente più. Una spanna sopra gli altri il malinconico Baldwin sulle tracce del proprio passato e una divertente Cruz prostituta molto amata negli ambienti della Roma bene, ma la sensazione generale resta quella di un film stanco, svogliato, messo insieme senza ispirazione. Gli stereotipi si sprecano, la scena in cui si vede una processione religiosa fa letteralmente cadere le braccia, come se a Roma ancora si svolgessero processioni per il Santo Patrono - ma che Italia conosce Allen? - il personaggio che chiude il film gesticolando in canottiera è un omaggio ai coatti dei film Anni Sessanta o un ennesimo equivoco sui gesti, e i gusti, dei romani? e la musica tutta mandolini - da Volare ad Arrivederci Roma a Ciribiribin - è davvero tutto ciò che possiamo ascoltare come sottofondo di Roma 2012? E' con vera amarezza che si lascia la sala, non tanto per il ritratto macchiettistico di Roma e dei romani che Allen propone, nè per la esilità dello script e dei dialoghi, ma per la consapevolezza che anche uno scrittore raffinato e profondo come Woody Allen, pur di fare il suo canonico film annuo, più puntuale delle tasse, gira svogliatamente uno delle sue pellicole più pigre e sciatte. Salta una stagione Woody, e magari torna a Manhattan, che sicuramente conosci meglio di Roma.
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