“Cedete a tutti i vostri desideri !” (slogan pubblicitario dei prestiti al consumo)
Cosa desideriamo realmente? Quali sono i nostri più intimi desideri? Nascono dall’anima o rispondono solamente a bisogni materiali?
Difficile uscire dalla sala dopo la visione dello splendido e toccante film di Philippe Lioret senza porsi domande di questo tipo, senza interrogarsi sulle scelte che quotidianamente ci troviamo di fronte.
Difficile non uscire commossi e turbati.
Tutti i nostri desideri punta dritto al cuore, ma lo fa con sincerità e discrezione, senza moralismi né retorica. Con un sobrio realismo e senza mai ricorrere a facili sentimentalismi riesce a far vibrare le corde dell’anima più nascoste, emozionare su temi delicatissimi come la malattia incurabile o socialmente complessi come l’aumento dell’impoverimento dei ceti popolari a causa della spirale dei prestiti al consumo. Attorno ai drammi della malattia improvvisa e dei debiti familiari ruotano, infatti, le storie dei protagonisti del film. Storie di incontri apparentemente casuali che finiscono col cambiare la vita delle persone, i cui destini si incrociano e si sfiorano, uniti da un sentimento di vera amicizia e da forti idealità di giustizia. Dal senso di giustizia che anima Claire, bella e promettente giudice del Tribunale di Lione, nasce dapprima la volontà di aiutare a tutti i costi Celine, giovane madre di due bambini rovinata dagli interessi da usura sui prestiti contratti, poi il legame con il collega più anziano Stephane. Proprio il profondo e struggente rapporto di amicizia con l’esperto giudice diverrà un sostegno fondamentale per le due drammatiche battaglie che Claire si trova a combattere : quella contro lo strozzinaggio delle finanziarie e delle multinazionali del credito e quella, che purtroppo non si può vincere, contro la malattia incurabile, tragica e inaspettata. Malgrado la crudele scoperta del cancro che la condanna senza appello Claire decide di lottare fino in fondo contro entrambi i “mali”. Per le vicende giudiziarie si affida al collega Stephane, che riscopre gli ideali dimenticati e il coraggio di affrontare battaglie giuste anche se sembrano perse in partenza. Nell’affrontare la malattia, invece, Claire confida soprattutto in Celine: non lotta per se stessa ma per dare una speranza al futuro dei suoi bambini e alla sua famiglia. La cosa più bella del film è il complesso rapporto che nasce tra i due giudici Claire e Stephane. I loro sentimenti sono espressi con tatto e delicatezza, quasi con pudore.
L’umanità dei loro sguardi, la dolcezza delle mani che si accarezzano sul letto dell’ospedale, hanno davvero una intensità e una forza poetica che difficilmente si incontrano al cinema. Nel loro rapporto non c’è spazio per l’amore, probabilmente Claire riconosce in Stephane la figura paterna che non ha mai avuto. Tra loro c’è un’empatia fortissima, un sentimento tanto profondo e sincero che associarlo alla semplice amicizia appare riduttivo. Merito dei due straordinari interpreti: Marie Gillain (Claire), commovente e credibile in un ruolo molto difficile, e Vincent Lindon (Stephane), già ammirato nel precedente e altrettanto bello, Welcome, sempre di Philippe Lioret. Partendo dalle vicende individuali dei protagonisti, dalle loro storie intime e drammatiche, il regista francese riesce a dar vita a un cinema di denuncia coinvolgente e realistico, affronta temi sociali scottanti come l’immigrazione clandestina (nel precedente Welcome) o l’usura bancaria senza retorica né toni eccessivi, ma proprio per questo capace di lasciare il segno. Alcune scene, come per esempio la nuotata liberatoria nell’acqua gelida del lago, danno il senso della bravura registica di Lioret, a cui non servono virtuosismi e tecniche roboanti per emozionare e coinvolgere lo spettatore.
Se alla fine viene naturale interrogarsi sulla propria vita e sui propri desideri, il punto di partenza non può che essere l’umanità e il senso di giustizia di Claire e Stephane, con la consapevolezza che non potendo realizzare tutti i nostri desideri occorre scegliere per quali vivere e lottare, dando il giusto valore a ciò che conta veramente.
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