boyracer
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giovedì 19 maggio 2011
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il trionfo dell'estetica (e della noia).
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Premettiamo che assegnare delle stelle a questo film è veramente difficile.
Se le stelle rappresentano il valore puramente artistico del film, sono 5. Se rappresentano un consiglio ad andarlo a vedere, la stella è una (non fatelo!)
Da questa visione abbiamo infatti ricevuto 2 sensazioni molto forti e molto distanti tra loro, quasi antitetiche.
La prima è certamente una sensazione di altissimo valore artistico, che esalta il Cinema nel pieno delle sue componenti visive e che va oltre il cinema con i contributi letterari, musicali, filosofici, anch'essi innalzati ai massimi livelli.
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Premettiamo che assegnare delle stelle a questo film è veramente difficile.
Se le stelle rappresentano il valore puramente artistico del film, sono 5. Se rappresentano un consiglio ad andarlo a vedere, la stella è una (non fatelo!)
Da questa visione abbiamo infatti ricevuto 2 sensazioni molto forti e molto distanti tra loro, quasi antitetiche.
La prima è certamente una sensazione di altissimo valore artistico, che esalta il Cinema nel pieno delle sue componenti visive e che va oltre il cinema con i contributi letterari, musicali, filosofici, anch'essi innalzati ai massimi livelli.
Tutti gli aspetti tecnici, quindi, sono pressoché eccezionali: riprese, inquadrature, fotografia, luci, scenografia, sonoro, ecc. E pure le interpretazioni degli attori sono di altissimo livello, partendo dalle star (Pitt, Penn e la rivelazione Chastain) per arrivare ai ragazzi non professionisti per la prima volta sullo schermo. Anche il "tema" trattato, quello profondo in cui viene ambientato il tema più superficiale, è il massimo trattabile: non solo la storia dell'Uomo e della Natura, ma addirittura la Creazione dell'Universo, avvenuta in maniera miracolosa per volere di un Dio che, per il regista "guru" Terrence Malick, è sicuramente cristiano, ma che potrebbe essere quello di qualsiasi altra religione, di tutte le religioni.
Ma tutto questo viene "incrociato" con la storia in primo piano (più piccola, più immediata, più vicina a noi) di una famiglia americana classica degli anni cinquanta, con le caratteristiche positive e negative di una qualsiasi famiglia media non solo americana ma anche, generalizzando, occidentale.
L'utilizzo estremo e l'enorme padronanza dello strumento "cinema" da parte di Malick, danno vita ad un linguaggio cinematografico inedito e molto originale, in cui la narrazione è scarna ed essenziale ma allo stesso tempo intensa e visionaria, nel complesso immensamente poetica. Sia le scene strabilianti dell'evoluzione della Natura che quelle domestiche, che ritraggono il quadro familiare americano, sono dotate di una purezza stilistica e poetica veramente fuori dal comune.
E qui però emerge l'altra sensazione, radicalmente opposta a quella iniziale di "capolavoro senza precedenti".
Purtroppo (ed è un rammarico vero) questo linguaggio, così puro, rigoroso, perfetto, bellissimo, è anche difficilissimo da seguire, e fatalmente carica il film di una pesantezza davvero impossibile da metabolizzare.
L'aurea filosofica e religiosa è opprimente, continuamente e costantemente richiamata all'attenzione tramite le voci sussurrate dei protagonisti (a turno alternano frasi della bibbia a domande esistenziali, a "definitivi" consigli di vita, slegati dalla scena rappresentata in quel momento, e spesso, francamente, ridotti a banalità un po' sconcertanti).
I dialoghi molto scarni, a volte ridotti a frasi solo suggerite e non sviluppate quasi fossero soltanto frammenti di ricordi lontani, gli avvenimenti più che comuni che vivono i
personaggi e le caratteristiche non troppo originali dei personaggi stessi (padre autoritario ma con animo artistico, madre esemplare ma sottomessa, fratelli più o meno
affezionati, amici più o meno esuberanti, ecc.), le musiche sacre, le uniche della colonna sonora, alternate a lunghe scene di silenzio assoluto o ai rumori della natura, le visioni "bibliche" e l'eccessiva, esagerata presenza di simboli spesso indecifrabili e addirittura difficilmente collegabili alla storia, tutte queste cose ne fanno un'opera veramente alta dal punto di vista artistico, ma clamorosamente impossibile da godere, non solo per lo spettatore medio ma nemmeno per quello medio/alto che anela al Cinema con la "C" maiuscola.
Forse soltanto i veri esperti e i critici professionisti potranno trarre un reale piacere da questa visione, gli altri, quando resisteranno all'istinto di andarsene già dopo un
quarto d'ora e rimarranno stoici per riuscire a vedere dove si vuole andare a parare, se resteranno anche svegli, giureranno tremenda vendetta a chi li ha convinti a vedere
questo film (quindi non io). Bello ma impossibile!
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zapping
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domenica 22 maggio 2011
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un "capolavoro" che nasconde un grande vuoto
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Preceduto dalla nomea di essere un capolavoro e di essere uno dei migliori film dell'anno, il film di Malick delude pienamente.
Certamente vi è un deciso e ricco di personalità tocco di regia, ma è un film che colpisce per la bellezza di numerose scene, (il volo degli uccelli intorno ai grattacieli, le onde marine, i canyon americani ed una fugace apparizione degli italici giardini di Bomarzo) che mostrano una fotografia a dir poco splendida. Ma queste scene non sono per nula una novità, basta vedere koyaanisqatsi di Reggio per vedere una chiara fonte di ispirazione.
Il film si muove, dietro le splendide immagini, con una vacua retorica dietro al quale si cela un vuoto che ognuno di noi riempe con ciò che vogliamo credere, dandogli significati metafisici che chissà come pensava il regista.
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Preceduto dalla nomea di essere un capolavoro e di essere uno dei migliori film dell'anno, il film di Malick delude pienamente.
Certamente vi è un deciso e ricco di personalità tocco di regia, ma è un film che colpisce per la bellezza di numerose scene, (il volo degli uccelli intorno ai grattacieli, le onde marine, i canyon americani ed una fugace apparizione degli italici giardini di Bomarzo) che mostrano una fotografia a dir poco splendida. Ma queste scene non sono per nula una novità, basta vedere koyaanisqatsi di Reggio per vedere una chiara fonte di ispirazione.
Il film si muove, dietro le splendide immagini, con una vacua retorica dietro al quale si cela un vuoto che ognuno di noi riempe con ciò che vogliamo credere, dandogli significati metafisici che chissà come pensava il regista. Un po come i responsi divinatori "I Ching", dove ognuno può dare il significato che vuole in funzione del proprio stato d'animo.
un film lunghissimo che poteva essere abbreviato di almeno 15-20 minuti senza sofferenza. Da tagliare del tutto le scene preistoriche totalmente ininfluenti sul significato del film.
Definirlo capolavoro è un esercizio veramente arduo.
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julien_225
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mercoledì 18 maggio 2011
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quando la narrazione è un optional
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Se la direzione della fotografia di The Tree of Life ci fa capire di cosa è capace il cinema nel 2011, Mallick usa delle immagini spettacolari dell'universo per nascondere il fatto che non c'è storia. Le disavventure della famiglia texana non bastano a salvare questo film dal documentario. Questa pellicola non sembra neanche sapere dove lei stessa vuole arrivare, e per un film che dovrebbe parlare solo attraverso le immagini, sono presenti troppi voice over che invece di guidarci ci espongono l'ovvio. Una vera e propria delusione, poteva essere un capolavoro, e invece non è altro che un national geographic di altissimo livello affondato da un racconto di poco spessore.
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Se la direzione della fotografia di The Tree of Life ci fa capire di cosa è capace il cinema nel 2011, Mallick usa delle immagini spettacolari dell'universo per nascondere il fatto che non c'è storia. Le disavventure della famiglia texana non bastano a salvare questo film dal documentario. Questa pellicola non sembra neanche sapere dove lei stessa vuole arrivare, e per un film che dovrebbe parlare solo attraverso le immagini, sono presenti troppi voice over che invece di guidarci ci espongono l'ovvio. Una vera e propria delusione, poteva essere un capolavoro, e invece non è altro che un national geographic di altissimo livello affondato da un racconto di poco spessore. Non c'è dubbio, a rovinare il film non è stata la regia, la fotografia o la recitazione, ma una sceneggiatura poco convincente.
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writer58
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sabato 11 giugno 2011
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un albero da bruciare...
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Ho letto che in una sala cinematografica hanno per errore proiettato il secondo tempo di "The tree of life" all'inizio e il primo tempo alla fine. Nessuno sembra essersene accorto, si sprecavano commenti che definivano il film un capolavoro, un' "opera che ha fondato un nuovo linguaggio cinematografico". Non voglio neanche entrare nel merito dei significati che l'autore ha cercato di veicolare con la sua opera. Alcuni critici hanno scritto che l'autore ha voluto rappresentare niente meno che la cosmogenesi del pianeta e temi essenziali come la grazia, la condizione umana, il senso della vita e della morte. Ma sul piano della veicolazione dei significati, del rapporto che l'autore deve stabilire con i fruitori del suo lavoro, il film mi pare un fallimento quasi completo.
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Ho letto che in una sala cinematografica hanno per errore proiettato il secondo tempo di "The tree of life" all'inizio e il primo tempo alla fine. Nessuno sembra essersene accorto, si sprecavano commenti che definivano il film un capolavoro, un' "opera che ha fondato un nuovo linguaggio cinematografico". Non voglio neanche entrare nel merito dei significati che l'autore ha cercato di veicolare con la sua opera. Alcuni critici hanno scritto che l'autore ha voluto rappresentare niente meno che la cosmogenesi del pianeta e temi essenziali come la grazia, la condizione umana, il senso della vita e della morte. Ma sul piano della veicolazione dei significati, del rapporto che l'autore deve stabilire con i fruitori del suo lavoro, il film mi pare un fallimento quasi completo. Un film in cui la smisurata ambizione delle intenzioni è direttamente proporzionale al senso di vuoto che genera nello spettatore (almeno nel mio caso), un film in cui la narrazione appare frantumata e rimescolata in un modo random, zeppo di riferimenti ermetici che si perdono come in un labirinto costruito per confondere la persona che ci si trova dentro. Lo spunto centrale del film appare persino banale: una famiglia del Texas degli anni '50, tre fratelli con un padre autoritario e bigotto e una madre tenera e complice. Uno dei fratelli muore e l'intera famiglia deve affrontare il senso di perdita che li colpisce. Ma tutto ciò è intervallato da digressioni sul passato preistorico del pianeta, voci fuori campo che discettano della via della grazia e di quella della natura e un profluvio di immagini estetizzanti che sembrano tratte dal "National Geographic". Malick è un autore di talento e sembra aver voluto comprimere nel film una ricerca personale e professionale durata 40 anni; purtroppo l'effetto che ha generato è simile a quello di un pittore che continua a dipingere sulla sua tela fino a trasformare il disegno del suo quadro in una massa informe di pennellate che annulla ogni riferimento riconoscibile.
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[+] finalmente
(di gabrielpiazza)
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(di kyuss)
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[+] pienamente d'accordo
(di marione)
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la druga
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lunedì 23 maggio 2011
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questo non è un film...
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Per comprendere l'essenza di questa eccezionale opera è necessario allontanarsi dalla definizione di "film" in senso stretto: chiamarla esperienza mi sembra forse più giusto. Non ha una trama, molti diranno, ma una trama in questo caso avrebbe reso tutto paradossalmente più banale. Quella di Malick è una riflessione sui temi fondamentali e più arcani della nostra esistenza. E questo attraverso la forza delle immagini e dei gesti; riduce al minimo le battute, lascia che sia lo spettatore stesso a scoprire il grande messaggio. Niente è lasciato al caso, anche l'inquadratura più breve è essenziale per la comprensione di questo viaggio universale e allo stesso tempo introspettivo alla scoperta del senso della vita, della verità.
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Per comprendere l'essenza di questa eccezionale opera è necessario allontanarsi dalla definizione di "film" in senso stretto: chiamarla esperienza mi sembra forse più giusto. Non ha una trama, molti diranno, ma una trama in questo caso avrebbe reso tutto paradossalmente più banale. Quella di Malick è una riflessione sui temi fondamentali e più arcani della nostra esistenza. E questo attraverso la forza delle immagini e dei gesti; riduce al minimo le battute, lascia che sia lo spettatore stesso a scoprire il grande messaggio. Niente è lasciato al caso, anche l'inquadratura più breve è essenziale per la comprensione di questo viaggio universale e allo stesso tempo introspettivo alla scoperta del senso della vita, della verità. Ci rendiamo conto di quanto l'universo sia indifferente alle nostre gioie e dolori, alla nostra storia, inevitabilmente così fragile e caduca rispetto all'infinito. E così ricerchiamo Dio, l'unica entità familiare in grado di confortarci mentre ci stiamo disperdendo, alla ricerca di una giustificazione, di un piano celeste che ci sovrasti. Ma che cosa siamo se non punti di materia immersi nella potenza della natura? Amare. Solo l'amore è in grado di dar senso alla vita. Perché in fondo in questa nostra vita, finita e piccola, è tutto ciò che rimane da fare. Malick, con questo film, ci ha detto tutto.
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[+] questo sì che è un film!!!
(di lovingarts)
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[+] il piu bel film mai fatto che in realtà film non è
(di teixos)
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[+] ...e' una palla!!
(di scrat)
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[+] inguardabile
(di gapapini)
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(di silvano vergoli)
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sergio dal maso
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domenica 28 giugno 2015
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the tree of life
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“Le opere d’arte, come nei pozzi artesiani, salgono tanto più alte quanto più a fondo la sofferenza ha scavato il cuore” M. Proust
Occorre dirlo subito: The Tree of Life, capolavoro assoluto di Terrence Malick, è un film difficile, complesso, ambizioso oltre misura, che disorienta e frastorna per la sua visionarietà e per la struttura anti-narrativa, per nulla convenzionale. Ma è anche un film di una bellezza strepitosa e inebriante, una preghiera laica sul senso della vita che ci ammalia con immagini di poesia pura che rimarranno inevitabilmente dentro di noi.
Un film che non finisce dopo la visione.
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“Le opere d’arte, come nei pozzi artesiani, salgono tanto più alte quanto più a fondo la sofferenza ha scavato il cuore” M. Proust
Occorre dirlo subito: The Tree of Life, capolavoro assoluto di Terrence Malick, è un film difficile, complesso, ambizioso oltre misura, che disorienta e frastorna per la sua visionarietà e per la struttura anti-narrativa, per nulla convenzionale. Ma è anche un film di una bellezza strepitosa e inebriante, una preghiera laica sul senso della vita che ci ammalia con immagini di poesia pura che rimarranno inevitabilmente dentro di noi.
Un film che non finisce dopo la visione. Ci scuote perché pone domande esistenziali sulla morte, sulla natura dell’uomo e sul male utilizzando la potenza contemplativa e la grazia estatica delle immagini. Perché l’albero della vita di Malick ha radici profonde e rami che salgono molto in alto, scava in profondità nel dolore dell’uomo ed esplora le complesse ramificazioni della natura dell’essere umano.
Quello che Malick ci chiede è di toglierci le lenti della razionalità e l’aspettativa di una narrazione strutturata. Bisogna abbandonarsi alle immagini ed immergersi in un viaggio visionario, ognuno guidato dalle proprie emozioni e dalla propria sensibilità. E’ un viaggio intimo sul senso ultimo della vita partendo da se stessi e dal proprio passato. E’ il viaggio nella memoria che compie Jack (Sean Pean), un professionista affermato ma inquieto per alcuni ricordi della sua infanzia che lo tormentano. La giovinezza di Jack è quella di un ragazzino cresciuto in una tipica famiglia texana degli anni ’50, segnata dal conflitto tra la durezza e il rigore autoritario del padre (un Brad Pitt superlativo, forse nella sua migliore interpretazione) e la dolcezza e l’amore innocente della madre (una bravissima esordiente, Jessica Chastain). Il microcosmo della famiglia O’Brien, diviso tra l’approccio alla vita del padre, basato sulla competizione e sull’affermazione sociale come unico criterio di valutazione delle persone, e quello della madre che pone l’amore e la serenità come fondamento delle regole con cui educare i figli, ripropone il dualismo e la dicotomia del mondo, del macrocosmo. Come la forza e l’idea di dominio del padre di Jack sono contrapposte alla grazia ed alla bellezza interiore della madre, il macrocosmo oppone la forza della potenza distruttrice della natura e la sua ineluttabile continua trasformazione alla grazia della bellezza del creato. La coesistenza e la conflittualità tra natura e grazia (o tra caos e fede, o tra distruzione e armonia, comunque tra due forze contrapposte) sono connaturate tanto alla metafisica dell’universo tanto all’intima coscienza dell’essere umano. Se il padre è per Jack natura travolgente e potenza opprimente, la madre è grazia e amore, ma entrambi convivono in lui come in tutto il macrocosmo ( “madre, padre, siete in lotta dentro di me” ).
La sofferenza di Jack deriva dalla necessità di un percorso di comprensione che lo porti all’accettazione di questa conflittualità e a riconciliarsi con il padre. Questo percorso introspettivo lo porterà anche ad accettare la morte del fratello, altro episodio che ha segnato la sua infanzia e ossessionato la sua crescita con le domande sul perché del dolore. Nelle scene finali, quando i protagonisti si ritrovano sulla spiaggia, Jack ha già oltrepassato la “porta della vita” e può riconciliarsi con la sua famiglia chiudendo il cerchio del suo viaggio. The Tree of Life offre innumerevoli spunti di riflessione e tematiche che meriterebbero di essere approfondite. La religiosità è molto marcata, evidenziata dall’utilizzo di numerosi passi della Bibbia, come le citazioni di Giobbe all’inizio del film, ma anche dall’ossessiva educazione religiosa della famiglia texana. Pur con una sceneggiatura scarnificata e con dialoghi quasi inesistenti, la forza evocativa delle immagini è stupefacente. Difficile restare indifferenti di fronte alla potenza visiva ed alla meraviglia delle sequenze sulla natura, come la formazione del cosmo e l’evoluzione delle diverse forme di vita. Straordinarie per delicatezza e innocenza sono molte sequenze sull’infanzia dei tre fratelli, su tutte la scena della nascita del bambino. La cinepresa di Malick, senza essere mai invadente, circonda i personaggi, li avvicina e li contempla, riuscendo a cogliere sentimenti, stati d’animo e frustrazioni con primissimi piani e dettagli su particolari inconsueti. Ci vorrebbe molto più spazio per altri approfondimenti ma The Tree of Life è un viaggio che ognuno deve fare da solo.
L’albero della vita ci sfida, chiede di abbandonarsi alla ricerca di se stessi, in un viaggio dentro di noi. Solo così ognuno può trovare un senso e contestualizzarlo, altrimenti qualsiasi domanda esistenziale e qualsiasi risposta alla fine diventano sterili banalità.
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linus2k
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venerdì 3 giugno 2011
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più che un film, una sinfonia
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Descrivere "The tree of life" di Malick è quanto di più arduo si possa fare: un racconto dell'anima, con l'aspirazione di raccontare l'eterno, un film da amare o da odiare, comunque emotivamente forte.
Lo stile metafisico di Malick è conosciuto: chi ha avuto modo di vedere i (pochi) film precedenti, sa che un suo film va oltre la tradizionale narrazione, con ampi approfondimenti introspettivi dei vari io narranti.
In “The tree of life” credo che si sia raggiunto il culmine di questo percorso introspettivo, è il rapporto con l’Eterno, con il destino, con il ciclo della vita, con Dio.
Una piccola, dolorosa storia, entra in stretto rapporto con l’Immenso che la racchiude. Così il dolore per la perdita di un figlio, la necessità di dover elaborare un grande lutto, si trasforma in un dialogo introspettivo più ampio e profondo, che va a scavare fino al rapporto che hanno le nostre miserie e i nostri dolori nel ciclo della vita dai suoi esordi… Ed ecco, che, attraverso l’uso di immagini mozzafiato, Malick, con il suo riconoscibilissimo stile, riparte dalla Creazione, dall’Universo, in una sorta di focalizzazione sempre più stretta, uno zoom imponente, fino ad arrivare alla vita di una famiglia normalissima, con le fragilità che potremmo avere tutti.
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Descrivere "The tree of life" di Malick è quanto di più arduo si possa fare: un racconto dell'anima, con l'aspirazione di raccontare l'eterno, un film da amare o da odiare, comunque emotivamente forte.
Lo stile metafisico di Malick è conosciuto: chi ha avuto modo di vedere i (pochi) film precedenti, sa che un suo film va oltre la tradizionale narrazione, con ampi approfondimenti introspettivi dei vari io narranti.
In “The tree of life” credo che si sia raggiunto il culmine di questo percorso introspettivo, è il rapporto con l’Eterno, con il destino, con il ciclo della vita, con Dio.
Una piccola, dolorosa storia, entra in stretto rapporto con l’Immenso che la racchiude. Così il dolore per la perdita di un figlio, la necessità di dover elaborare un grande lutto, si trasforma in un dialogo introspettivo più ampio e profondo, che va a scavare fino al rapporto che hanno le nostre miserie e i nostri dolori nel ciclo della vita dai suoi esordi… Ed ecco, che, attraverso l’uso di immagini mozzafiato, Malick, con il suo riconoscibilissimo stile, riparte dalla Creazione, dall’Universo, in una sorta di focalizzazione sempre più stretta, uno zoom imponente, fino ad arrivare alla vita di una famiglia normalissima, con le fragilità che potremmo avere tutti..
The tree of life è proprio il tentativo di narrare l’Assoluto, una Storia universale, la vita umana, il miracolo della nascita, il dolore della morte, attraverso una visione profondamente religiosa ed intimista. Detto così sembra prima di tutto altamente presuntuoso, e sicuramente la presunzione c’è; ma, nonostante alcuni punti forse un po’ lunghi, il film commuove, scuote, affascina, atterrisce, emoziona, stupisce.
Colonna sonora, fotografia, attori, tutto funziona perfettamente in un opera che più che un film, è una sinfonia.
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davlak
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mercoledì 18 maggio 2011
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capolavoro
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la condizione umana innestata nello scenario universale della storia del cosmo. una vicenda umana inquadrata come parte minuscola eppure indispensabile nel palcoscenico dell'infinito.
un film che lascia tracce indelebili, a livello di subconsio e nella struttura stessa della materia che ci compone.
solo Malick poteva azzardare un'impresa simile.
non ha eguali.
capolavoro immenso.
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(di carioca8)
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(di giancarlo di grigoli)
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a17540
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giovedì 9 giugno 2011
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malick non è per tutti!
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E’ certamente un film non convenzionale. Malick è un regista che suscita sensazioni opposte, lo si esalta o lo si rifiuta, è stato così anche con "La sottile linea rossa", la sua pellicola più celebre. Pensando ad “Amabili resti” di Peter Jackson e “Hereafter” di Clint Eastwood è evidente che il tema del trapasso goda in questo periodo di una notevole attenzione. “The tree of life” apre una finestra di riflessione sul significato dell’esistenza, sul rapporto con la divinità, sull’accettazione del dolore. I due riferimenti a Giobbe, nel prologo e nel sermone in chiesa, sono la chiave per tentare di interpretare lo sviluppo dell’azione: la morte del bambino colpisce improvvisa e la madre chiede a Dio un aiuto, una giustificazione.
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E’ certamente un film non convenzionale. Malick è un regista che suscita sensazioni opposte, lo si esalta o lo si rifiuta, è stato così anche con "La sottile linea rossa", la sua pellicola più celebre. Pensando ad “Amabili resti” di Peter Jackson e “Hereafter” di Clint Eastwood è evidente che il tema del trapasso goda in questo periodo di una notevole attenzione. “The tree of life” apre una finestra di riflessione sul significato dell’esistenza, sul rapporto con la divinità, sull’accettazione del dolore. I due riferimenti a Giobbe, nel prologo e nel sermone in chiesa, sono la chiave per tentare di interpretare lo sviluppo dell’azione: la morte del bambino colpisce improvvisa e la madre chiede a Dio un aiuto, una giustificazione. La bontà non esenta dal dolore, dalla creazione la vita si trasforma ed evolve in maniera imperscrutabile. C’è una via della natura e una via della grazia: ognuno può scegliere. L’affidarsi a Dio non può essere condizionato. La parte centrale del film descrive i rapporti famigliari. Le dinamiche del gruppo sono ben costruite. Il padre è convinto che i buoni finiscano sempre per essere prevaricati e per questo educa i figli in modo rigido e severo, li vorrebbe forti, in realtà in questo modo crea tensioni e litigi. Alla fine capirà il proprio errore. Giobbe trova Dio alla fine delle sue tribolazioni. La remissione incondizionata al divino ricomprende ogni azione, ogni dolore. L’abbandono all’amore, al perdono può consolare la madre vittima incolpevole. La palma d’oro a Cannes, la presenza di attori come Brad Pitt e Sean Penn ha avvicinato al film un pubblico molto ampio che spesso rimane spiazzato: durante la visione e alla fine della pellicola in sala si sentivano molte risatine e evidenti segni di insofferenza. Decisamente non è per tutti.
di a17540
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steelybread
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martedì 14 febbraio 2012
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cresce lento l'albero della vita.
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Il microcosmo di una famiglia media americana degli anni 50, padre, madre e 3 figli, come proiezione del macrocosmo che ci governa. O viceversa. Padre autoritario (Brad Pitt) e madre amorosa (jessica Chastain), duri e puri come la natura stessa, attraversano la loro "piccola" esistenza crescendo i propri figli con amore e fermezza, piantando alberi e tirando pure, a volte con i ragazzi ci vuole, qualche cinghiata, mentre intanto il regista ci mostra quanto sia grande il tutto che ci ha generato. Onde marine, vortici di magma, coreografie di uccelli in volo, dinosauri, geometrie casuali e perfette come il volto di un neonato. Sarà la morte improvvisa del figlio mediano a sparigliare le certezze e ad innescare una girandola di quesiti esistenziali, ai quali solo una visione religiosa come quella del regista, se non ci si fida della casualità, può in parte dare una risposta.
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Il microcosmo di una famiglia media americana degli anni 50, padre, madre e 3 figli, come proiezione del macrocosmo che ci governa. O viceversa. Padre autoritario (Brad Pitt) e madre amorosa (jessica Chastain), duri e puri come la natura stessa, attraversano la loro "piccola" esistenza crescendo i propri figli con amore e fermezza, piantando alberi e tirando pure, a volte con i ragazzi ci vuole, qualche cinghiata, mentre intanto il regista ci mostra quanto sia grande il tutto che ci ha generato. Onde marine, vortici di magma, coreografie di uccelli in volo, dinosauri, geometrie casuali e perfette come il volto di un neonato. Sarà la morte improvvisa del figlio mediano a sparigliare le certezze e ad innescare una girandola di quesiti esistenziali, ai quali solo una visione religiosa come quella del regista, se non ci si fida della casualità, può in parte dare una risposta. Che non è certo l'helzapoppin finale che Malick ci propone. Ad un bravo regista, che ha girato 5 film in 40 anni bisogna necessariamente credere e dare fiducia. Purtroppo, in questo caso, non sempre Malick riesce a colmare i vuoti narrativi suscitando le giuste emozioni per riempirli, ma palesando invece troppo spesso la vocazione a rifugiarsi in una visione quasi documentaristica. Un montaggio più coraggioso, di cui si è lamentato anche Sean Penn, il quale sta ancora cercando di capire quale sia il suo ruolo, ne avrebbe sicuramente ridotto la lunghezza eccessiva, riducendo così quel leggero strato di noia di cui e permeato.
Palma d'oro a Cannes, ma il capolavoro era un altro. Senza le scellerate interviste di Von Trier, l'ex-aequo con Melancholia era d'obbligo.
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