Millennium - Uomini che odiano le donne

Non posso impostare paragoni con i libri (che non ho letto) nè con la versione svedese (che non ho visto) ma mi sento comunque legittimato ad esprimere tutto l'entusiamso nei confronti di questo bellissimo film, frutto del lavoro eccezionale di più persone estremamente ispirate. Innanzitutto Fincher, che partendo dai suoi due lavori precedenti "sull'argomento" (Zodiac e Seven) ne unisce i punti di forza. Crea un thriller con la capacità di proiettarti all'interno di una storia (potenzialmente) reale come Zodiac, ma capace anche di una tematica più forte e di tempi meglio impostati. Ho apprezzato molto la contrapposizione fra la ritrosia a mostrare gli omicidi, ormai simbolo distintivo di Fincher, e l'abbondanza di scene che coinvolgono il corpo nella sua nudità, scene positive o negative come lo stupro, che quasi suggerisce come il problema stesso del male morboso che permea il film stia più a monte, in una sostanziale incomprensione nei confronti del nostro corpo e di quello altrui. Oltretutto è particolare la struttura simmetrica del film, con il trascinante climax che non conduce immediatamente al finale ma ad un graduale allentarsi della tensione, come una pausa di depressurizzazione per far tornare i personaggi (e noi) alla vita normale. Ah e poi naturalmente la tensione, vera protagonista del film, che si incunea silenziosamente ma con decisione in ogni minuto che passa, aiutata da una colonna sonora perfettamente devota allo scopo del film (eccezzionale lavoro di un Trent Reznor sempre più in sintonia con Fincher). Dopo i giusti meriti al regista quelli agli attori. Craig sa caratterizzare molto bene questo protagonista/non-protagonista, dandogli il carisma necessario ma anche un'aria da persona normale, da anti-eroe che ben si sposa con il ruolo del suo personaggio nella storia. Rooney Mara, forse aiutata da un ruolo borderline che ovviamente ne accentua la bravura, è eccezionale. Sufficentemente fredda e robotica da giustificare la capacità di Lisbeth di resistere di fronte a quell'orrore silenzioso che è stata la sua vita, ma abbastanza vitale da disegnare un personaggio che pur chiuso nel suo guscio sembra costantemente pronto a balzare fuori, evitando il rischio di una caratterizzazione eccessivamente apatica. Da voce al dolore ed alla solitudine senza uscire mai dal binario della realtà, dando sempre l'impressione che quella Lisbeth la potrebbe realmente incontrare per strada. Ultima nota sulla fotografia, freddissima ma capace di guizzi di colore inaspettati, anche lei si piega alle necessità del racconto, accompagnandolo efficacemente. In conclusione The Girl With The Dragon Tatoo è un film duro, che chiede tantissimo allo spettatore in termini di violenza e angoscia, ma da cui non si può distogliere lo sguardo, ammaliati dall'armonia con cui scorre e convinti della necessità di guardare dall'importanza dei temi trattati. E che alla fine scioglie con grazia quella cortina di ghiaccio che attanaglia il cuore dello spettatore per fargli vedere che non è una favola dark ma una storia sul male nel nuovo millennio.