Paradiso amaro |
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Un film di Alexander Payne.
Con George Clooney, Shailene Woodley, Beau Bridges, Robert Forster, Judy Greer.
continua»
Titolo originale The Descendants.
Commedia,
durata 110 min.
- USA 2011.
- 20th Century Fox Italia
uscita venerdì 17 febbraio 2012.
MYMONETRO
Paradiso amaro
valutazione media:
3,66
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Clloney, l'uomo qualunquedi pepito1948Feedback: 125 | altri commenti e recensioni di pepito1948 |
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martedì 21 febbraio 2012 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Non è proprio un “paradiso” quello in cui vive Matt King, avvocato, amministratore fiduciario di un patrimonio immobiliare immenso condiviso con i cugini, tutti di origini hawaiane. Matt è un uomo normale, non fa surfing, non fruisce delle bellezze delle isole, non organizza feste in riva al mare. Al contrario si dibatte in un ginepraio di guai: moglie malata terminale, due figlie che sfuggono all’autorità paterna (“La mia famiglia è come quest’arcipelago, tutti separati e soli”), parenti un po’ compiacenti un po’serpenti, finchè ci si mette anche la rivelazione-shock di un segreto che riguarda la moglie e che, per ovvi motivi, non può affrontare con l’interessata. Proprio quest’ultimo evento, anziché dare il colpo di grazia, lo spinge ad agire ed a sciogliere pazientemente i singoli nodi, fino a ritrovare l’identità di uomo tenacemente deciso ad affrontare le prove più dure, rivedere in senso evolutivo i rapporti che contano, e quindi ricompattare l’”arcipelago”. Dulcis in fundo, farà in modo che le terre del trust parentale rimarranno in famiglia e non saranno invase da resort, grandi alberghi e sale giochi. Alexander Payne riprende lo schema di Sideways, cioè del viaggio che, attraverso esperienze che mettono in movimento la sfera dei sentimenti, porta ad uno stadio di compiuta autoconsapevolezza del proprio io; ma mentre il viaggio di Giamatti si svolge on the road, tra le piantagioni vinicole californiane sottendendo significati metaforici (il vino maturo è come la vita, solo in quel momento assume un gusto fantastico), qui il viaggio è tutto interiore, attraverso i meandri di un percorso irto di rovi e crepacci alla fine del quale, grazie all’attivazione della parte migliore di sé, Matt riuscirà a sbloccare la propria vita (e quella di chi gli sta vicino). C’è molta carne al fuoco nel film di Payne: la malattia come evento estremo e come banco di prova, il difficile rapporto tra padre e figli, la turbolenta riottosità degli adolescenti, le trasgressioni coniugali, il faticoso rapporto etica/affari e quant’altro. Ma gli autori –Payne è anche cosceneggiatore- hanno saputo amalgamare in modo lodevolmente armonico l’intera matassa, grazie anche ad una regia sempre discreta, attenta a non provocare cesure nei momenti altamente drammatici (e il film ne è pieno) ed ad alleggerire la tensione, quando opportuno, con parentesi di contenuto umorismo. Payne non dà un giudizio sui suoi personaggi, né sembra invitare gli spettatori a farlo, anche perché segue la linea della rivelazione degli opposti: alla fine nessuno dei personaggi è come appare all’inizio. Protagonista assoluto è (vivaddio) il pathos; il grado di immedesimazione emotiva cresce con l’acuirsi delle problematiche, fino ad esplodere quando la vicenda che ne condiziona il corso si conclude tragicamente. Ed è solo allora, paradossalmente, che tutte le tessere del puzzle vanno al loro posto, e Matt e le sue figlie possono ritrovarsi insieme sul divano con lo sguardo rilassato verso il televisore (che coincide con l’occhio dello spettatore; l’apparente rottura della quarta parete ha ovviamente diverse valenze simboliche). Quanto a Clooney, attore che non esalta ma non delude, è comunque apprezzabile lo sforzo di usare al massimo la sua non enorme gamma espressiva, in una prova in cui il fascino dell’aitante cinquantenne non è d’aiuto ad un personaggio che corre come un pinguino, gira scalzo in pantaloncini e non nasconde le sue debolezze di uomo qualunque.
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