Applausi con polemiche per il lavoro di Emanuele Crialese, primo film italiano in concorso.
di Ilaria Ravarino
Terraferma, primo film italiano in concorso, oggi si è presentato al Lido con una conferenza affollata, attesa, puntuale ma inquinata da un leggero e palpabile nervosismo. Con un regista sul piede di guerra, Emanuele Crialese, ostinatamente deciso ad evitare il binomio "film e immigrazione", un produttore, Riccardo Tozzi, unico a tenere lucidamente il timone della situazione, e una platea che, pur avendo applaudito il film in sala, non ha saputo nascondere qualche piccola perplessità sulla (eccessiva?) correttezza politica del soggetto – che con il "problema" immigrazione, con buona pace di Crialese, ha davvero molto a che fare. La stampa straniera, all'angolo, non ha rivolto al regista nessuna domanda. Quasi muto anche il cast di attori, con la timida eccezione di Donatella Finocchiaro e Beppe Fiorello, che pure del progetto sono stati tra i più grandi sostenitori: «Crialese mi ha fatto un regalo – ha detto Fiorello più tardi, in un incontro più disteso a margine della conferenza stampa – mi ha ridato fiducia in me stesso scardinando la convenzione che vorrebbe gli attori televisivi legati per sempre al piccolo schermo. Come attore, per me è stata una seconda rinascita».
Vi siete ispirati ai fatti di cronaca sull'immigrazione e gli sbarchi o avete lavorato di fantasia?
Crialese: La cronaca è stata d'ispirazione, un bagaglio che abbiamo rielaborato nel film, ma ci sono tante cose che abbiamo scartato. Nel periodo degli sbarchi mi colpì la storia di una barca rimasta alla deriva per tre settimane, con a bordo 79 persone: 76 morirono, tre sopravvissero, e quando vidi sul giornale il volto di Timnit, la donna che era fra i sopravvissuti rimasi profondamente turbato. Aveva la faccia di chi aveva attraversato l'inferno ed era arrivata in paradiso. L'ho voluta subito incontrare, ero ancora in una fase germinale della sceneggiatura, indeciso se affidarmi ad attori o a persone che davvero avevano vissuto quell'esperienza. Lei però non aveva voglia di raccontarmi cosa le era successo, aveva come costruito una barriera tra la sua vita prima e dopo lo sbarco. E allora le ho chiesto di partecipare al film, e di correggere la sceneggiatura là dove pensava che avevo sbagliato.
Pensa che il nostro paese non sia in grado di gestire l'immimgrazione?
Crialese: La risposta che l'Italia ha dato a queste ondate migratorie è stata inadeguata. Anzi: è andata contro le più elementari regole di civiltà. Abbiamo lasciato morire la gente in mezzo al mare, viviamo in un paese che ha perso la rotta. E il bombardamento mediatico non aiuta, con l'ossessiva ripetizione di parole negative come "clandestino"...
Un problema dello Stato? Dei politici? O degli italiani?
Crialese:E chi sono gli italiani? Non so, ci sono italiani e italiani. Molti hanno paura dello straniero perché temono di perdere la protezione che gli dà l'identità nazionale. Ma l'Italia bisogno di contaminazione, tanti paesi si sono sviluppati grazie alla contaminazione. Il nostro è un paese vecchio che ha bisogno di capire che i migranti non sono tutti ladri, assassini o parassiti.
Quanto vi siete documentati sulla legislazione in materia d'immigrazione? Potrebbe sembrare che abbiate esagerato...
Crialese: Esagerato? La verità è che ci sono stati pescherecci sequestrati solo perché hanno salvato i migranti e li hanno trasportati a riva, puniti con l'accusa di favoreggiamento all'immigrazione clandestina. Abbiamo studiato molto, ci siamo informati, noi.
Quanto ha pesato l'esigenza di mantenersi nel politicamente corretto?
Crialese: Adesso spiegatemi cosa vuol dire politicamente corretto? Cos'è, non criticare abbastanza? O criticare troppo? Io credo di aver fatto un film che non giudica nessuno, è una storia, un'analisi aperta. Io giro e mi pongo delle domande, non devo fornire risposte. Che un film così susciti dibattito è un bene, ma insomma... non riesco a fare film per temi o tesi. Il mio pubblico ideale è un bambino di 7 anni.
Tozzi: Terraferma è un film e non un saggio di politica dell'immigrazione legato a fatti di cronaca. Con uno stile favolistico e magico, che è la cifra di Emanuele, tratta due temi: quello dell'accoglienza e quello del respingimento, che sono spinte che esistono in ognuno di noi. Non ci sono buoni e cattivi, poliziotti malvagi e pescatori santi.
Finocchiaro: Il mio personaggio, Giulietta, rappresenta bene questa lotta fra accoglienza e ostilità. È una madre che vorrebbe portar via il figlio dalla ristrettezza dell'isola ma il suo progetto si scontra con l'arrivo della donna migrante. Tra loro si crea uno scambio emotivo forte, simile a quello che ho provato lavorando al fianco di Timnit, la donna che ha vissuto in prima persona la storia. Le sue battute risuonavano di una verità agghiacciante.