donni romani
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venerdì 18 maggio 2012
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emozioni e guerra in afghanistan
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Film atipico per la cinematografia francese "Special Forces - Liberate l'ostaggio" è un film fondamentalmente d'azione e di guerra ma venato di approfondimenti psicologici e di coloriture sociali che lo differenziano dai tanti film di genere. Elsa, giornalista francese in Afghanistan per intervistare le coraggiose donne che lottano contro i pregiudizi e l'arretratezza culturale dei talebani, viene sequestrata con il suo assistente afghano da un capo talebano. Le autorità francesi inviano quindi le forze speciali per liberare gli ostaggi, ma l'operazione si complica quando i militari perdono il contatto radio con gli elicotteri e insieme agli ostaggi dovranno affrontare una marcia di più di dieci giorni sulle montagne afghane inseguiti dai talebani.
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Film atipico per la cinematografia francese "Special Forces - Liberate l'ostaggio" è un film fondamentalmente d'azione e di guerra ma venato di approfondimenti psicologici e di coloriture sociali che lo differenziano dai tanti film di genere. Elsa, giornalista francese in Afghanistan per intervistare le coraggiose donne che lottano contro i pregiudizi e l'arretratezza culturale dei talebani, viene sequestrata con il suo assistente afghano da un capo talebano. Le autorità francesi inviano quindi le forze speciali per liberare gli ostaggi, ma l'operazione si complica quando i militari perdono il contatto radio con gli elicotteri e insieme agli ostaggi dovranno affrontare una marcia di più di dieci giorni sulle montagne afghane inseguiti dai talebani. La natura spettacolare del film è dichiarata e infatti le scene di incursione, di scontri e di appostamenti sono girati con la giusta tensione, ma le velleità di Rybojad, in origine regista di documentari, sono ben altre e lo dimostra fin dalle prime scene, quando sceglie di presentarci i protagonisti nelle loro case, con mogli e figli, per dar loro dei profili caratteriali al di là del ruolo. Ce li presenta un po' guasconi - non sono forse gli eredi degli spericolati moschettieri? - che mentre rispondono al fuoco nemico non mancano di gridare "amo questo lavoro" ma anche capaci di legami profondi e sinceri nei confronti dei compagni, e capaci di rischiare la propria vita per salvare una giornalista che nei suoi articoli era stata decisamente critica verso l'impegno militare francese in Afghanistan. Il rapporto fra Elsa e i vari componenti della Squadra Speciale è decisamente la parte più riuscita del film, il confronto prima imbarazzato, poi man mano sempre più viscerale e sincero fra esseri umani che escono dai propri ruoli per calarsi nella scomoda posizione di uomini e donne in lotta per la sopravvivenza sa dare spessore ad una pellicola che facilmente rischiava di scadere nel genere sparatorie senza sosta. Detto questo i difetti ci sono, soprattutto nella rappresentazione dei talebani, appiattiti nella loro crudeltà concentrata nello sguardo truce di Raz Degan (paradossale che un israeliano cresciuto nei kibbutz sia il simbolo dell'islamismo più estremo), ma il respiro cinematografico del film c'è tutto, i tempi scenici sono quelli di tanto cinema americano di genere, ma senza esagerazioni machiste o posizioni estreme. Sicuramente certi eccessi di enfasi e di retorica potevano essere maggiormente sfumati ma l'obiettivo di far riflettere sull'insensatezza di ogni guerra, sul coraggio di uomini che guardano la morte in faccia ogni giorno e su un popolo, quello afghano, che solo grazie a donne coraggiose come Elsa ritrova voce e dignità. Due scene su tutte: la prima si svolge dopo la morte di uno dei componenti della squadra, quando un suo compagno chiede all'assistente afghano di Elsa di recitare una preghiera nella sua lingua, accomunando le fedi nel dolore. L'altra si svolge durante la sepoltura di un altro militare francese, e di svolge in silenzio, con due contadini afghani che si avvicinano e partecipano alla cerimonia deponendo una pietra sulla tomba improvvisata. Ecco, in questa capacità di guardare oltre gli spari e le ideologie, sta il valore principale della pellicola di Rybojad che tra pallottole e ferite mortali riesce anche a trovare lo spazio stretto per un bacio, un fiore nel deserto arido di una guerra infinita.
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bergamo73
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domenica 6 gennaio 2013
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la prossima volta elsa, dagli retta!!
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Prodotto complessivamente dignitoso, questo Special Forces vive di luci ed ombre. Degni di nota sono senz'altro il fatto che un film francese di guerra sia discretamente confezionato tanto da risultare credibile, una buona fotografia che riempie gli occhi ed alcune scene particolarmente toccanti. Un film meno di azione ed un pochino più profondo di alcuni sparatutto d'oltreoceano. I rapporti tra stampa, politica, religione e forze armate strisciano sottofondo durante tutto il film, non uscendo quasi mai allo scoperto ma lasciando spazio ad una discussione dopo aver visto la pellicola. Anche questo è un pregio. D'altra parte però un regista quasi esordiente, che è riuscito a dare anche un qualche spessore alla storia, si perde in alcune banalità.
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Prodotto complessivamente dignitoso, questo Special Forces vive di luci ed ombre. Degni di nota sono senz'altro il fatto che un film francese di guerra sia discretamente confezionato tanto da risultare credibile, una buona fotografia che riempie gli occhi ed alcune scene particolarmente toccanti. Un film meno di azione ed un pochino più profondo di alcuni sparatutto d'oltreoceano. I rapporti tra stampa, politica, religione e forze armate strisciano sottofondo durante tutto il film, non uscendo quasi mai allo scoperto ma lasciando spazio ad una discussione dopo aver visto la pellicola. Anche questo è un pregio. D'altra parte però un regista quasi esordiente, che è riuscito a dare anche un qualche spessore alla storia, si perde in alcune banalità. Gli scontri a fuoco sono ripetitivi e di scarso effetto durante tutto il film, nonostante il budget elevato non ne sia la causa; l'uso della musica è quanto meno discutibile nonostante la colonna sonora sia ben curata. Insomma non sono i mezzi a difettare ma l'esperienza nel loro uso. Tra le prestazioni degli attori, buone, resta il dubbio se la scelta di Raz Degan come capo talebano, lui israeliano cresciuto in un kibbutz, sia un segno distensivo o una sottile provocazione. Resta un'ultima considerazione da fare: quando allinizio del film Amin avverte Elsa che è meglio lasciare perdere, evitando lo sterminio di 200 talebani, un intero villaggio di montagna pakistano ed una squadra dell'esercito francese, oltre ad autisti e contadini vari, beh credetemi...aveva ragione. La prossima volta Elsa, dagli retta!!
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