“ Volevo riflettere sul fatto che tutta la libertà di oggi talvolta si trasforma in una vera e propria prigione”. McQueen riassume così l’idea di fondo del film: la nostra libertà di azione spesso ci spinge a rinchiuderci dentro un recinto da cui resta difficile uscire, si chiami anaffettività o disperato bisogno di calore umano. Ogni dipendenza è una prigione, anche se tentiamo di venirne fuori sbattendo freneticamente contro le pareti come una mosca contro il vetro di una finestra. Il film si snoda su un doppio binario tematico, la sessomania di Brandon e la disperata carenza affettiva di Sissi. Naturalmente si tratta di “convergenze parallele” perché i due temi interagiscono in un contesto familiare. Brandon e Sissi sono fratelli, ed il loro incontro improvviso si trasforma in un lacerante conflitto. La domanda di sentimenti, di attenzioni, di interesse per la propria vita (con annessi ricatti) dell’una non trova riscontro nell’offerta pressoché inesistente dell’altro. Brandon è malato di sesso,e in quanto tale è privo di sensibilità emotiva, non “vede” le donne pur compiacenti se non come oggetto di sfogo dei sensi, e pertanto anche la sorella, in quanto donna, è più un elemento di disturbo che di arricchimento interiore. I movimenti dei due contendenti sono però inversi: se Brandon tende a lasciarsi cadere verso l’inferno del più totale degrado, Sissi cerca di elevarsi dal deserto emotivo del suo io nello spasmodico tentativo di aggrapparsi ad un rapporto che non promette sviluppi evolutivi. Solo un evento estremo ridarà un’identità rigenerativa ad entrambi. Bisogna riconoscere a Steve McQeen il merito di aver costruito una confezione raffinata, che si esprime in immagini impeccabili nella descrizione sia degli interni sia di una città fredda e vitrea come il protagonista. Ma questo non basta a compensare i limiti di un prodotto largamente imperfetto che non emoziona e non trascina. Il tema della dipendenza di Brandon è sviluppato attraverso un armamentario scontato di rapporti fugaci, masturbazioni, pornografia via internet, agganci in metropolitana e quant’altro, senza un approfondimento psicologico adeguato che la gravità della malattia, ormai quasi una piaga sociale, meriterebbe. Né aiutano i dialoghi, spesso poveri e banali, come nel rapporto con la ragazza di colore, così come è prevedibile il finale fin dalla prima scena (l’uomo che, ravvedendosi, rifiuta l’ultima tentazione). Qualche briciolo di pathos (per il resto grande assente) regala invece lo scontro tra i due fratelli, la cui dinamica a tinte forti attira più che le performance di sesso a perdere; ma il cinema è pieno di storie di scontri familiari tra richieste e rifiuti di amore o affetti, anche se per lo più confinati nei rapporti tra genitori e figli. Quindi anche qui niente di nuovo sotto il sole. Restano alcuni frammenti apprezzabili, come la struggente interpretazione di New York,new York da parte di Sissi, ma sono isolate palline di vetro colorato tra tante biglie opache di plastica. Riguardo infine alla coppa Volpi di Fassbender, belloccio assai ma attore appena discreto, viene da chiedersi: quale riconoscimento per confronto avrebbero dovuto assegnare ai vari Hopkins, De Niro, Penn, Streep per le loro migliori interpretazioni se non una torre Eiffel d’oro massiccio? Insomma un film deludente di un regista emergente e certamente interessante, da cui è lecito tuttavia aspettarsi ben altre prove all’altezza del suo talento.
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