Morituris

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Un film di Raffaele Picchio. Con Valentina D'Andrea, Andrea De Bruyn, Désirée Giorgetti, Francesco Malcom, Giuseppe Nitti, Simone Ripanti Horror, durata 83 min. - Italia 2011. Acquista »
   
   
   

I Gladiatori assassini lasciano il segno Valutazione 4 stelle su cinque

di MONFARDINI ILARIA


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venerdì 31 maggio 2024

 Morituris, opera prima del regista Raffaele Picchio, anno 2011, su una sceneggiatura di Gianluigi Perrone, si apre implacabilmente con un brano tratto dalle Epistole a Lucilio di Seneca, che ci fa soffermare sul concetto che niente è mai abbastanza per coloro che stanno per morire, e che ogni giorno della nostra vita ci avvicina sempre più all’ultimo, alla morte “Non ci basta niente: eppure siamo destinati a morire, anzi, stiamo morendo; ogni giorno ci avviciniamo all’ultimo giorno ed ogni ora ci spinge a quell’istante da cui dovremo precipitare nella morte”. Questo alone di morte imperante pervade dall’inizio alla fine il film d’esordio di Picchio, un’opera brutale e spietata che fin dalla sua uscita ha fatto parlare molto di sé, nel male, ma soprattutto nel bene. Il concetto che sta alla base del film è semplice e chiaro nella sua devastante disumanità: il Male porta sempre un Male maggiore. Diretto, crudo, esplicito: questo è Morituris, film che ha un forte legame con le nostre tradizioni antiche e col nostro territorio, ma è anche un omaggio ad un cinema d’exploitation anni Settanta/Ottanta di respiro internazionale, che nasce come uno slasher e prosegue fino a sfiorare i confini del drama per poi sfociare, nella parte finale, nel vero e proprio horror. L’episodio portante si ispira al caso di cronaca nera italiana del 1975 noto come il Massacro del Circeo, in cui tre rampolli di agiate famiglie della Roma bene attirarono in una villa isolata a San Felice Circeo, sul litorale pontino, due ragazze non ancora ventenni, e le torturarono fino a provocare la morte di una di loro. Tuttavia dalla realtà la pellicola prende solo lo spunto iniziale, poi si perde tra le pagine della storia e dei miti dell’antica Roma, e riporta nientemeno che personaggi leggendari quali i gladiatori a camminare nei boschi laziali.
Il film inizia con alcune scene tratte da un filmato amatoriale che mostrano una famiglia mentre fa un pic nic nei pressi di alcune rovine romane in un bosco, durante il giorno. A un tratto un adulto ed una bimba vengono sorpresi alle spalle da qualcuno che li uccide brutalmente senza pietà ed apparentemente senza motivo alcuno. L’azione si sposta poi ai nostri giorni, seguendo 5 giovani, due ragazze e tre ragazzi, che chiacchierano allegramente durante una corsa in auto. Si capisce dall’accento che le ragazze sono straniere ed i ragazzi italiani, di Roma, e da quel che dicono si stanno recando ad un rave party, sebbene alcune telefonate che uno di loro fa con un turpe figuro, che si sta facendo manicure in casa, facciano presagire che dietro ci sia qualcosa di losco. Parcheggiata l’auto sul ciglio di una strada buia ed isolata, i tre spingono le ragazze a seguirli nel bosco alla ricerca del rave, accompagnando l’attesa con fiumi di birra e strisce di cocaina. Arrivati nel cuore del bosco più nero che ci sia, le due giovani si accorgono che del rave non c’è la minima traccia, tuttavia non sono assolutamente soli, qualcuno li spia attraverso l’oscurità, e non ha intenzioni amichevoli.
Si compiace della violenza, Picchio, anche se non sempre lo fa nella maniera più esplicita, come ci si potrebbe aspettare da uno slasher, e unisce sotto la furia devastante dei gladiatori ritornanti carnefici e vittime, che non hanno più una loro identità, ma divengono carne da macello allo stesso modo, tanto che i personaggi non hanno un nome proprio, come si potrà constatare dagli eloquenti titoli finali. Sebbene si avvalga delle sapienti mani di Sergio Stivaletti nella realizzazione degli effetti speciali, tuttavia il regista sceglie spesso di non mostrarci tutto, per spingerci così ad immaginare, rendendo le torture ancora più terribili, in quanto spetta a noi spettatori il compito di congetturare ciò che di peggio sta accadendo alla vittima di turno, come ad esempio in quella che è forse la scena più forte di tutto il film, quella delle forbici. Ma chi sono le vittime e chi i carnefici? Picchio si diverte a sovvertire tutte le logiche razionali del politically correct, in un film che più scorretto di così non potrebbe essere, tanto che la commissione di revisione cinematografica gli nega il rilascio del nulla osta per essere distribuito nelle sale, per, a detta loro “motivi di offesa al buon costume, intendendo gli atti di violenza e di perversione sulle donne, motivati dal gusto della sopraffazione e dall’ebbrezza della propria forza rafforzata dal consumo di alcol e droga; inoltre, negli atti di perversa violenza viene impiegato un topolino come oggetto sessuale. Pertanto la Commissione ritiene la pellicola un saggio di perversità e sadismo gratuiti”. Si tratta del primo caso di censura cinematografica in Italia dal 1998!
Che sia perverso e sadico, questo Morituris, non ci sono dubbi. Ma per Picchio il mostrare la violenza, e non solo quella sulle donne, non è affatto un atto gratuito, ma un modo per spiegare chiaramente il pensiero che sta alla base del film, e cioè che da un Male non si può che generare un Male più grande, sottolineando come il Male avvenuto in certi luoghi nell’antichità sia ancora lì, stagnante, e pronto a ritornar fuori in tutta la sua dirompente potenza qualora nei pressi di quei luoghi vengano compiute azioni crudeli e violente che fanno del Male il proprio vessillo. Morituris è una metafora surreale del Male Assoluto, paragonabile, come ci dice lo stesso regista, all’esplosione di una bomba atomica che non lascia scampo a nessuno, tanto che la tagline del film recita l’assioma “Il Male ha la Meglio” (Evil Prevails). Gli rimane il “vanto” di essere stato l’ultimo film censurato in Italia, prima della totale abolizione della censura cinematografica nel Bel Paese avvenuta nel 2021, sebbene non vi sia mai nessuna inutile pornografia della violenza.
La pellicola è stata girata quasi interamente di notte, nel bosco di Santa Maria di Galeria, area naturale protetta del Lazio, vicino Roma. Oltre alla parte boschiva sono state utilizzate le splendide location naturali della città abbandonata di Galeria Antica, che conserva ancora buona parte del suo impianto medievale, qui trasformato in un complesso legato ai ludi gladiatorii. Città di fondazione etrusca, fu poi conquistata dai Romani, e poi ripopolata nel Medioevo, fino all’abbandono definitivo all’inizio del XIX secolo, dopo un’epidemia di malaria. Le rovine sono ancora ampiamente diffuse sul territorio, e leggende fioriscono tra questi ruderi. Picchio decide di inserirci la sua, quella di cinque gladiatori impazziti dopo la rivolta di Spartaco e divenuti violenti, perciò messi a morte dallo stesso eroe che li aveva salvati, ma che il male lascia ancorati al sangue che su quelle terre hanno versato. Il territorio viene disseminato di lapidi con iscrizioni latine, tra cui spicca quella, ricorrente, HIC SUNT LEONES: tale espressione viene fatta risalire alle carte geografiche dell’antica Roma per indicare le zone inesplorate dell’Africa e dell’Asia, significando quindi che non si sapeva cosa si trovasse in quelle lande sconosciute, a parte il fatto che fossero abitate da belve: qui il senso traslato è che i nostri protagonisti non sanno dove si stanno avventurando, né quali belve sanguinarie troveranno attraversati quei confini. Il bosco di Galeria è stato illuminato a giorno per tutto il tempo delle riprese, che sono avvenute attraverso una telecamera di tipo Red One, che ha poi permesso, in fase di post-produzione, di riportare le immagini nei toni cupi e bui del bosco di notte. A quanto mi risulta, Morituris dovrebbe essere il primo film italiano girato con questa tipologia di telecamera, all’epoca decisamente all’avanguardia.
Picchio divide la sua pellicola in tre parti, ognuna delle quali caratterizzata da un tono fotografico diverso, ben curato dal direttore della fotografia Daniele Poli. Il primo è il tono caldo che si usa per gli interni che contraddistinguono la parte dell’amico che resta a casa, tono leggermente più accogliente all’inizio ma che presto diviene scomodo, stridente, fa sentire a disagio; il secondo caratterizza gli esterni di inizio film, quando i cinque giovani si fermano nelle belle campagne romane a giocare a pallone, che deve conferire alle scene un’atmosfera quasi magica, fiabesca, irreale, ambigua, che fa presagire quello che di lì a poco succederà; infine il tono finale, che si riferisce alla parte nel bosco coi gladiatori, che asciuga le scene di tutti gli azzurri e vira decisamente verso i rossi cupi, tanto che le stesse soggettive dei gladiatori, prima della loro manifestazione, sono tutte velate di rosso scarlatto. Essi sono stati assorbiti dal Male che li ha portati alla morte, e ritornano per compiere un Male ancora più grande ed inarrestabile, che riluce come le fiamme ardenti dell’inferno, ed infatti nel tempio della dea Nemesi a loro consacrato ardono ovunque fiamme e fiammelle che ammantano di rosso tutto ciò che vi si trova all’interno.
La scelta di rivolgersi, per i trucchi scenici, al Maestro Stivaletti, campione indiscusso di un’effettistica artigianale ben lontana da ciò che viene realizzato attraverso l’uso della CGI, non è casuale: Picchio continua a rimarcare così la sua volontà di dare al film quella patina retrò che a lui piace tanto. Riguardo a ciò, il film pullula di citazioni: nella casa del ragazzo che fa la manicure vengono proiettate scene de Il Boia Scarlatto di Massimo Pupillo del 1965, mentre le scene delle torture ne richiamano alla mente di analoghe da filmoni quali L’Ultima Casa a Sinistra di Wes Craven del 1972, L’Ultimo Treno della Notte di Aldo Lado del 1975 e La Casa Sperduta nel Parco di Ruggero Deodato del 1980. Bello il comparto musicale originale di Riccardo Fassone, ed anche il pezzo di punta del gruppo grindcore astigiano Cripple Bastards, Stupro e Addio, di forte impatto emotivo, anche per il testo decisamente esplicito “Lo stupro è il mio addio estremo al suo charme indifferente/Il richiamo ultra-istintivo a far ribrezzo alla gente/Forse in quel suo sguardo si stagliava un orizzonte/Me ne sbatto il mio obiettivo è constatarne la morte/Dentro a una carne estranea ritrovo il mio mondo/SANGUINA SOTTO DI ME/Estasiato da nuove reazioni, rantoli di sottofondo/GRONDA SOTTO DI ME/é la legge di chi riacquista respiro e chi convive col ricordo/SI CONTORCE SOTTO DI ME E SOFFRE”.
 
 

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