arakne
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domenica 23 ottobre 2011
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più che un capolavoro, un'opera d'arte.
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La morte secondo Lars Von Trier, fine ultimo di tutta la razza umana descritta attraverso due "[i]eroine[/i]" che hanno poco e nulla degli stilemi dell'eroe letterario e cinematografico al quale si è abituati a pensare.
Nella prima parte ci mostra la [b]Dunst [/b]nelle vesti di sè stesso: la sua depressione è la depressione di Von Trier, la sua difficoltà a vivere, camminare, affrontare da sola le piccole difficoltà di ogni giorno, sono quelle del regista. E la steadycam usata per tutta questa parte del film, con il suo costante movimento, non fa altro se non sottolineare le turbe interiori della protagonista e dell'uomo stesso, dietro la macchina da presa.
E’ poi il momento di una intensa e bravissima [b]Gainsbourg [/b], nella seconda parte.
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La morte secondo Lars Von Trier, fine ultimo di tutta la razza umana descritta attraverso due "[i]eroine[/i]" che hanno poco e nulla degli stilemi dell'eroe letterario e cinematografico al quale si è abituati a pensare.
Nella prima parte ci mostra la [b]Dunst [/b]nelle vesti di sè stesso: la sua depressione è la depressione di Von Trier, la sua difficoltà a vivere, camminare, affrontare da sola le piccole difficoltà di ogni giorno, sono quelle del regista. E la steadycam usata per tutta questa parte del film, con il suo costante movimento, non fa altro se non sottolineare le turbe interiori della protagonista e dell'uomo stesso, dietro la macchina da presa.
E’ poi il momento di una intensa e bravissima [b]Gainsbourg [/b], nella seconda parte.
In lei, Von Trier, mostra l'altra parte di sè: quella che vorrebbe poter controllare tutto, quella attenta, scrupolosa, ansiosa eppure buona che vorrebbe poter raccontare d'un'altra fine per l'umanità.
E' in questa parte del film, più che nella prima ([i]eccezion fatta per i dieci minuti di prologo iniziali[/i]) che la fotografia del film si sublima donandoci vere gemme artistiche come quella raffigurante la Dunst stesa nuda, su di una roccia, al chiarore notturno di Melancholia.
Ed è sempre nella seconda parte del film che si ha la disgregazione delle convinzioni sociali.
L'ottimista [b]Kiefer Sutherland [/b]crolla su sè stesso di fronte all'ineluttabilità di un presente che con tutte le forze aveva sperato di scongiurare aggrappandosi ad una scienza che risulta fallace. Ed appare evidente, in questo senso, la sfiducia nichilista nei confronti del positivismo e la vittoria del primo sul secondo.
La razionale [b]Charlotte Gainsbourg[/b] si sgretola di fronte la morte, cercando di controllare anche questo evento nel provare ad organizzarne l'accoglienza con un bicchiere di vino in terrazza accompagnati dalla Nona di Beethoven. Proprio quell'Inno alla Gioia, ode romantica alla speranza, che appare agli occhi del regista come "[i]una grande stronzata[/i]". Non c'è speranza. Non c'è assoluzione. Non c'è altro modo per finire se non accettando la fine come unica via possibile. Perchè "[i]la vita sulla Terra è cattiva. Non c'è motivo di piangere per essa[/i]" convinzione nata dalla superbia di un uomo ([i]il regista[/i]) che per bocca dell'attrice dichiara di "[i]sapere le cose[/i]" non lasciando alcuna possibilità di discussione alla Gainsbourg, suo alter ego, nè tantomeno allo spettatore ammutolito da tanto nichilismo.
E quindi Wagner e non quello trionfale della Cavalcata delle Walchirie ma quello struggente del Tristano ed Isotta.
Gli unici due aspetti che non trovano un crollo della propria dignità di fronte alla morte incombente sono proprio la Dunst che ritrova forza dall'approssimarsi della fine e il bambino, suo nipote, l'occhio ingenuo dell'individuo che confida che tutto andrà bene perchè al sicuro sotto una capanna di bastoni che lui crede magica.
E' l'essere ancora non sgrezzato dal contatto con la società, lo sguardo naturalistico che Rousseau riservava all'uomo selvaggio, buono perchè inconsapevole della cattiveria, dignitoso perchè dignitosa è la natura nella quale soltanto si specchia.
E’ solo in punto di morte che Lars Von Trier concede spazio ai sentimenti positivi: la stretta di mano fra le due sorelle è toccante e lo è ancora di più se si pensa che, per il regista, tale concessione all'amore possa trovar luogo solo in prossimità della catastrofe.
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riccardo76
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lunedì 24 ottobre 2011
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l'inquietudine dell'ignoto secondo lars von trier
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Ci sono autori che ci fanno ricordare più di altri che anche il cinema è una forma d’arte: Lars Von Trier è certamente tra questi. Come considerare l’incipit di Melancholia se non come un’opera d’arte, dove vige il trionfo dell’estetica e dell’emozione? Immagini meravigliosamente surreali, rese incredibilmente espressive da un ralenti quasi statico e da una musica imponente, che penetra dritta al cuore ( “Tristano e Isotta” di Wagner). Il regista stesso sembra voler affermare l’appartenenza all’arte con citazioni di quadri d’autore trasformati in tableaux vivants, tra i quali spicca “Il ritorno dei cacciatori nella neve” di Bruegel il Vecchio, che lentamente svelano il contenuto apocalittico della pellicola.
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Ci sono autori che ci fanno ricordare più di altri che anche il cinema è una forma d’arte: Lars Von Trier è certamente tra questi. Come considerare l’incipit di Melancholia se non come un’opera d’arte, dove vige il trionfo dell’estetica e dell’emozione? Immagini meravigliosamente surreali, rese incredibilmente espressive da un ralenti quasi statico e da una musica imponente, che penetra dritta al cuore ( “Tristano e Isotta” di Wagner). Il regista stesso sembra voler affermare l’appartenenza all’arte con citazioni di quadri d’autore trasformati in tableaux vivants, tra i quali spicca “Il ritorno dei cacciatori nella neve” di Bruegel il Vecchio, che lentamente svelano il contenuto apocalittico della pellicola. Il tutto si presenta infatti come un sogno premonitore, con tanto di ambientazioni con luce surreale alla De Chirico, o alla Dali, come il giardino con l’orologio al centro, emblema dell’inesorabile scorrere del tempo e dell’avvicinamento della fine.
Anche il resto del film comunque acquista il sapore di un’opera d’arte, dove la simmetria regna sovrana. Il film si presenta infatti suddiviso in due parti, ciascuna dedicata a una delle due sorelle protagoniste, Justine e Claire. Entrambe simboleggiano la paura dell’uomo, ma in forma opposta. Infatti, mentre la prima si mostra spaventata dalla vita, non riuscendo ad affrontare il matrimonio, l’altra è profondamente turbata dalla morte, simboleggiata dall’ipotetico scontro di un pianeta sconosciuto contro la Terra. L’inquietudine assume dunque due forme opposte, strettamente connesse però tra loro dalla stessa origine: l’ignoto.
Justine (un’eccellente Kirsten Dunst) appare sorridente e teneramente innamorata dello sposo, ma qualcosa la turba, impedendole di essere felice: qualcosa che non conosce, vale a dire, la nuova vita che dovrà affrontare dopo quella fondamentale tappa della sua esistenza che è il matrimonio. Forse non si sente all’altezza di compiere quel grande balzo che comporterebbe cambiamenti consistenti alla sua persona, considerando anche la sua indole irrequieta, difficilmente contenibile negli schemi prestabiliti dalle convenzioni borghesi.
Per contro Claire (una sempre perfetta Charlotte Gainsbourg), sembra voler a tutti i costi ricercare quegli schemi borghesi, come dimostra la sua irritazione nei confronti della sorella, che invece fa di tutto per non rispettare il rigido protocollo della cerimonia, da lei accuratamente organizzata. Quegli schemi le permettono infatti di controllare la propria vita e quella dei familiari, rassicurandola. Quindi non c’è da stupirsi che venga profondamente turbata dall’avvicinarsi del pianeta sconosciuto, che mette a repentaglio quel futuro certo e rassicurante da lei stabilito.
L’incertezza delle sorti della Terra diventa fattore scatenante di un’incontrollabile inquietudine, e melanconia, che assume caratteristiche simili di quella della sorella, anche se scatenata da ragioni opposte.
Dunque Melancholia, non a caso il nome del pianeta sconosciuto, si fa emblema della situazione emotiva delle sorelle, che reagiscono in maniera opposta al suo avvicinarsi. Infatti, mentre Claire diventa sempre più angosciata, Justine, riacquista lentamente le forze, rivelandosi magicamente affascinata da quel pianeta, come se ne condividesse la potenza distruttiva. La Natura come caos e forza distruttiva ritorna quindi anche in quest’ultimo lavoro di Von Trier, dopo l’agghiacciante Antichrist, e anche qui un personaggio sembra acquisirne le caratteristiche.
Un film apocalittico, dunque, che non ci offre scene di panico collettivo come quelle a cui Hollywood ci ha abituato, ma una profonda e intima inquietudine relegata nell’animo di due donne.
Uno dei registi più complessi al mondo ci regala quindi un nuovo capolavoro da gustare dall’inizio alla fine come una vera e propria opera d’arte, che si presenta come un’esplosione di emozioni, lasciando lo spettatore deliziosamente sconvolto.
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giovedì 8 dicembre 2011
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fra un mondo visionario ed il cinico meccanicismo
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Melancholia di Lars Von Trier
anno produzione ottobre 2011
è Sospesa fra un mondo visionario ed il cinico meccanicismo; è opera che appare sprovvista di aspettative spirituali ;vive la fine come attimo di vera dissoluzione senza riuscire a farsene una ragione ;tanto meno si intravede qualsivoglia purificazione per l'assenza di una visone armonica del tutto .
Il dualismo di Justine e Claire di fronte alla morte ripropone in qualche modo dubbi e sospensione della lettura definitiva.
Tante riflessioni emergono nella loro intensità grazie a splendidi attori ed una regia veramente estetica introspettiva , sofferta.
E' forse film che descrive, con un sentire trasognato ed estetico, il sofferto conflitto fra forma ed energia , fra materia e spirito, fra i diversi piani dell’ essere che si osservano , si compenetrano ,si desiderano , si respingono in fiero tenzone ,poi inevitabilmente si ricompongono essendo solo per, per illusione , distinti???
Resta aperta questa lettura come pure la visione di un perire, finire ,inaccettabile, sofferto e disperato.
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Melancholia di Lars Von Trier
anno produzione ottobre 2011
è Sospesa fra un mondo visionario ed il cinico meccanicismo; è opera che appare sprovvista di aspettative spirituali ;vive la fine come attimo di vera dissoluzione senza riuscire a farsene una ragione ;tanto meno si intravede qualsivoglia purificazione per l'assenza di una visone armonica del tutto .
Il dualismo di Justine e Claire di fronte alla morte ripropone in qualche modo dubbi e sospensione della lettura definitiva.
Tante riflessioni emergono nella loro intensità grazie a splendidi attori ed una regia veramente estetica introspettiva , sofferta.
E' forse film che descrive, con un sentire trasognato ed estetico, il sofferto conflitto fra forma ed energia , fra materia e spirito, fra i diversi piani dell’ essere che si osservano , si compenetrano ,si desiderano , si respingono in fiero tenzone ,poi inevitabilmente si ricompongono essendo solo per, per illusione , distinti???
Resta aperta questa lettura come pure la visione di un perire, finire ,inaccettabile, sofferto e disperato. L'arte è nel dolore , nell'infelicità, nell' insufficienza , nell'inadeguatezza, nella morte, nella provvisorietà: se così vogliamo parlare allora Melancholia è espressione artistica , sentimento complesso ed esistenziale dove la regia riesce mirabilmente a comunicare e farci condividere il suo disagio esistenziale .
il sentire di Justine e Claire ,le due sorelle del film, di fronte alla morte prossima ventura, è sentire emotivo, forte che indaga nella profondità dell'essere nell'attimo in cui sta per sopravvenire la fine di tutto :reazioni umani contrapposte di accettazione o di sofferenza ma anche di evoluzione e di composizione potrebbero essere le letture che si voglio rappresentare .
Ancora rintoccano le campane " disperate "di Lars Von Trier nel suo film le onde del destino , con quel sordo , ossessivo, richiamo di morte. A stento mi sono salvato da un attacco di depressione ed un senso di tristezza mi ha oscurato per molto tempo ; in quell'occasione scrissi "anche il finale è senza luce ,speranza ,le campane urlano di dolore...se il regista contiene veramente tutte queste cose ha decisamente qualcosa che non va. Certo non è film che lascia indifferenti ma neanche la morte lascia indifferenti, poi senza un poco di luce si fa morire anche chi vuol vivere"
Mi ritrovo dentro questo Melancholia e non riesco a coglierne il significato : per un attimo propendo per un film catartico , una sorta di cerimonia di purificazione con una promessa di sacrificio planetario , la perdita della nostra complessiva opportunità di essere,con una sua conclusione rituale propiziatoria che coincide con l'accettazione del sacrifico, con l'ablazione del se e di tutto" l'essere " che si agita nel globo!!!!!!!
Ma poi tale assunto appare poco convincente: l'ipotesi catartica in Lars Von Trier, visto che il nostro regista vive , con un destino quasi monocorde , sull'orlo di un abisso senza fine sembra non credibile ; poi la purificazione ,anche nella fine, sembra un miraggio sempre lontano.
Lars Von Trier ha , l'opportunità sempre di ricredersi sulla sua visione del mondo ma in lui è evidente un compiacimento nel sapore del "finire".
Suggeriamo la seguente terapia : vada più spesso nelle terre del sud e si sottoponga a lunghi bagni di sole.
Melancholia è Fantascienza ? No assolutamente!Apocalittico? Neppure ! Forse solo intimamente esistenziale e drammatico si.
Una ricerca estetica di sicuro rilievo, un 'ambientazione surreale sono il corollario di questa storia che appare prevalentemente introspettiva.,onirica, trasognata, infelice .
Cosa vogliamo conservare di questo lavoro , comunque intenso come sempre?
Direi un sentimento di provvisorietà à che Lars Von Trier ben conosce e che, con cadenza estetica e lenta riesce a far insinuare nei meandri complessi delle nostra menti.
Tre sole stelle a questo lavoro?Si, forse solo per un fattto umorale: non riesco ad accettare la visone filosoffica proposta da Melancholia di Lars Von Trier.
Buona visione.
Weach iIluminati
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steelybread
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venerdì 10 febbraio 2012
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un capolavoro che ferisce.
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Melancholia è un capolavoro che ferisce. Lars Von Trier dimostra ancora una volta cosa vuole dire fare un cinema libero da paradigmi narrativi e costrizioni commerciali, aprendo il film con una sequenza che, fosse stata furbamente usata nel finale, gli avrebbe fatto togliere non poche soddisfazioni festivaliere.
Egli descrive la nostra condizione di anime perse di fronte all'impossibilità di sottrarci alla fine della nostra esistenza. A nulla valgono tutti i nostri miseri tentativi per evitarne il solo pensiero. Nulla possono l'amore, i sacramenti, il sesso, il credo religioso, il lusso, l'estetica, la scienza, la famiglia, i figli, l'ordine e la razionalità.
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Melancholia è un capolavoro che ferisce. Lars Von Trier dimostra ancora una volta cosa vuole dire fare un cinema libero da paradigmi narrativi e costrizioni commerciali, aprendo il film con una sequenza che, fosse stata furbamente usata nel finale, gli avrebbe fatto togliere non poche soddisfazioni festivaliere.
Egli descrive la nostra condizione di anime perse di fronte all'impossibilità di sottrarci alla fine della nostra esistenza. A nulla valgono tutti i nostri miseri tentativi per evitarne il solo pensiero. Nulla possono l'amore, i sacramenti, il sesso, il credo religioso, il lusso, l'estetica, la scienza, la famiglia, i figli, l'ordine e la razionalità. Von Trier lascia sfilare tutti questi elementi in un atmosfera sospesa, dove di fronte all'imminenza della tragedia finale alla quale siamo tutti destinati, avremmo quasi preferito non nascere. La morte è l'unica cosa con la quale l'uomo, da che è sceso dagli alberi, non è mai riuscito a convivere. L'ha semplicemente superata, ignorandola, con l'invenzione della religione. La visione atea di Von Trier, al contrario di Malick, è priva di ammirazione e non produce speranze ne certezze. Provoca e manifesta rabbia verso l'ingiustizia della natura e l'inevitabile fine di questo pianeta, dove la casualità finisce per dominare qualsiasi esistenza. Non c'è mai conversione ne pentimento, ne, tanto meno, un miraggio di continuità.
Come nella vita, in questo film si aspetta la fine. Se ignorate ciò, vedendolo storcerete sicuramente il naso.
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epidemic
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venerdì 10 giugno 2011
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lars, 2 donne e la fine del mondo...
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Quando si affrontano certi registi sembrano non esistere vie di mezzo. Tra il pubblico c'è subito chi grida al capolavoro e chi scuote la testa deluso.
Di eccelsa fotografia i "quadri" d'inizio film. Molto "Dogma" la prima riguardante Justine, lo sfrenato uso di steadycam fa girare la testa e introduce lo spettatore al reale film. La seconda parte è più intensa, la Gainsbourg la fa da padrona, le parti sembrano invertirsi. l'accettazione della fine è vissuta in amniera diversificata. Von Trier cede a qualche effetto scenico ma regala anche due chicche artigianali (il misura-pianeta e la capanna magica). Un'opera buona che forse pecca di un pò di lentezza in alcuni tratti. Una linea Dio-Uomo-Natura che si deforma ribaltandosi.
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Quando si affrontano certi registi sembrano non esistere vie di mezzo. Tra il pubblico c'è subito chi grida al capolavoro e chi scuote la testa deluso.
Di eccelsa fotografia i "quadri" d'inizio film. Molto "Dogma" la prima riguardante Justine, lo sfrenato uso di steadycam fa girare la testa e introduce lo spettatore al reale film. La seconda parte è più intensa, la Gainsbourg la fa da padrona, le parti sembrano invertirsi. l'accettazione della fine è vissuta in amniera diversificata. Von Trier cede a qualche effetto scenico ma regala anche due chicche artigianali (il misura-pianeta e la capanna magica). Un'opera buona che forse pecca di un pò di lentezza in alcuni tratti. Una linea Dio-Uomo-Natura che si deforma ribaltandosi. Inevitabile il rimando a Festen (per quanto riguarda il primo tempo)...poi..vabbè...il fatto che non compaiano FBI, NASA e CIA ma che tutto resti in un micromondo familiare non fa altro che piacere.....
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[+] poche , grandi riflessioni,sintetiche , incisive
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(di blasfemme)
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linus2k
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lunedì 21 novembre 2011
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il manifesto nichilista di lars von trier
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Leggo su Wikipedia: “La malinconia è una sorta di tristezza di fondo, a volte inconsapevole, che porta un soggetto al vivere passivamente, senza prendere iniziative, adattandosi agli avvenimenti esterni con la convinzione che non lo riguardino o che in essi non possa avervi un ruolo determinante.”
Justine è una donna bella, bionda, con un lavoro creativo ed importante, ad un passo dalla realizzazione sentimentale, sposandosi con un uomo che la ama profondamente. In una splendida villa realizza un matrimonio da sogno, con amici e parenti intorno… Eppure non è felice, non è emotivamente partecipe di questa gioia, anzi… Nei momenti clou della serata che la dovrebbe vedere protagonista, è assente, lontana, triste, passiva; rifiuta quel mondo che non è suo, rifiuta persino l’amore incondizionato del marito, e si annienta e allontana dalla sua realtà in una apatica sofferenza.
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Leggo su Wikipedia: “La malinconia è una sorta di tristezza di fondo, a volte inconsapevole, che porta un soggetto al vivere passivamente, senza prendere iniziative, adattandosi agli avvenimenti esterni con la convinzione che non lo riguardino o che in essi non possa avervi un ruolo determinante.”
Justine è una donna bella, bionda, con un lavoro creativo ed importante, ad un passo dalla realizzazione sentimentale, sposandosi con un uomo che la ama profondamente. In una splendida villa realizza un matrimonio da sogno, con amici e parenti intorno… Eppure non è felice, non è emotivamente partecipe di questa gioia, anzi… Nei momenti clou della serata che la dovrebbe vedere protagonista, è assente, lontana, triste, passiva; rifiuta quel mondo che non è suo, rifiuta persino l’amore incondizionato del marito, e si annienta e allontana dalla sua realtà in una apatica sofferenza.
Claire, sua sorella, è una donna realistica, decisamente meno bella, mora, calata nel suo mondo, ordinata e ben conscia del suo ruolo nella società, del suo ruolo come madre, come sposa, come figlia, come sorella. E’ la spalla per sostenere una sorella in profonda crisi. Sposata con un uomo colto e ricco, dimostra la sua ansia ed insicurezza davanti alla paura di perdere tutto quello che si è costruita, davanti al rischio che tutto possa essere travolto e distrutto dal pianeta Melancholia, nuovo pianeta scoperto per caso e destinato ad avvicinarsi pericolosamente alla Terra…
Tanto Justine rappresenta caos ed annullamento, tanto Clair rappresenta ordine e realtà, una sorta di Yin e yang su cui il regista gioca per tutto il film, sottolineata già dalla divisione (tipica del cinema di Von Trier) in 2 capitoli, ognuno dei quali intitolato ad una delle 2 donne, nonché da battute e passaggi quasi speculari.
Melancholia è in assoluto una pietra miliare del cinema di Von Trier: è una grande, potente, visivamente magnifica metafora della visione nichilistica della vita e Justine una eroina di tale pensiero, tanto debole davanti alla sua vita, come tanto forte e quasi cinica davanti all’imminente pericolo di distruzione totale... e poco importa se per i patiti di fantascienza, alcuni punti di questo film catastrofico non tornino (un pianeta piccolo come la Terra dovrebbe essere attratto da uno grande come Melancholia, e non l’inverso): il film arriva tutto, arriva il senso di angoscia, di annullamento, di piccolezza di fronte alla potenza della natura e del destino, un film profondamente emotivo, intenso, con riferimenti pittorici, poetici e cinematografici.
Introdotto, come ormai di tradizione del regista, da minuti di cinema visivamente potente e affascinante, aiutato da una fotografia che lascia spesso spiazzati davanti ad immagini potenti ed emotivamente forti, accompagnato da una colonna sonora importante e solenne, perfetta, Lars Von Trier supera se stesso, raggiunge un lirismo che in “The Antichrist” era solo accennato e segna il completo superamento di principi del “Dogma 95”, superamento che parte dal ripercorrere nella prima parte del film proprio uno dei topoi di questo movimento cinematografico, la cena di famiglia, già presente in “Festen”, il primo film del movimento (1998), per poi negare tutti i principi del Manifesto del 1995.
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weach
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mercoledì 16 novembre 2011
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una catarsi che non è purificazione
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una catarsi che non è purificazione
Melanconia di Lars Von Trier
anno produzione ottobre 2011
Tante riflessioni emergono nella loro intensità grazie a splendidi attori ed una regia veramente estetica introspettiva , sofferta.
E' film che descrive, con un sentire trasognato ed estetico, il sofferto conflitto fra forma ed energia , fra materia e spirito, fra i diversi piani dell’ essere che si osservano , si compenetrano ,si desiderano , si respingono in fiero tenzone ,poi inevitabilmente si ricompongono essendo solo per, per illusione , distinti.
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una catarsi che non è purificazione
Melanconia di Lars Von Trier
anno produzione ottobre 2011
Tante riflessioni emergono nella loro intensità grazie a splendidi attori ed una regia veramente estetica introspettiva , sofferta.
E' film che descrive, con un sentire trasognato ed estetico, il sofferto conflitto fra forma ed energia , fra materia e spirito, fra i diversi piani dell’ essere che si osservano , si compenetrano ,si desiderano , si respingono in fiero tenzone ,poi inevitabilmente si ricompongono essendo solo per, per illusione , distinti.
Ancora rintoccano le campane " disperate "di Lars Von Trier nel suo film le onde del destino , con quel sordo , ossessivo, richiamo di morte. A stento mi sono salvato da un attacco di depressione ed un senso di tristezza mia ha oscurato per molto tempo ; in quell'occasione scrissi "anche il finale è senza luce ,speranza ,le campane urlano di dolore...se il regista contiene veramente tutte queste cose ha decisamente qualcosa che non va. Certo non è film che lascia indifferenti ma neanche la morte lascia indifferenti, poi senza un poco di luce si fa morire anche chi vuol vivere"
Mi ritrovo ora con Melancholia e cerco di percepire il senso di questo film : forse è un film catartico , una sorta di cerimonia di purificazione con una promessa di sacrificio planetario , la perdita della nostra complessiva opportunità di essere,con una sua conclusione rituale propiziatoria che coincide con l'accettazione del sacrifico, con l'ablazione del se e di tutto" l'essere " che si agita nel globo.
Ma forse è poco convincente l'ipotesi catartica in Lars Von Trier, visto che il nostro regista vive , con un destino quasi monocorde , sull'orlo di un abisso senza fine ; la purificazione ,anche nella fine, sembra un miraggio sempre lontano.
Lars Von Trier ha , l'opportunità sempre di ricredersi sulla sua visione del mondo ma in lui è evidente un compiacimento nel sapore del "finire".
Suggeriamo la seguente terapia : vada più spesso nelle terre del sud e si sottoponga a lunghi bagni di sole.
Melancholia è Fantascienza ? No assolutamente!Apocalittico? neppure ! Forse solo intimamente esistenziale e drammatico si.
L'arte è nel dolore , nell'infelicità, nell' insufficienza , nell'inadeguatezza, nella morte, nella provvisorietà: se così vogliamo parlare allora Melancholia è espressione artistica , sentimento complesso ed esistenziale dove la regia riesce mirabilmente a comunicare e farci condividere il suo disagio esistenziale .
il sentire di Justine e Claire ,le due sorelle nel film, di fronte alla morte prossima ventura, è sentire emotivo, forte che indaga nella profondità dell'essere nell'attimo in cui sta per sopravvenire la fine di tutto : reazioni umani contrapposte di accettazione o di sofferenza ma anche di evoluzione potrebbero essere le letture che si voglio rappresentare .
Una ricerca estetica di sicuro rilievo, un 'ambientazione surreale sono il corollario di questa storia che appare prevalentemente introspettiva.,onirica, trasognata, infelice .
Cosa vogliamo conservare di questo lavoro , comunque sofferto, come sempre?
Direi un sentimento di provvisorietà à che Lars Von Trier ben conosce e che, con cadenza estetica e lenta perfettamente riesce a far insinuare nei meandri complessi delle nostra menti.
Una occasione di riflessione da non perdere comunque .
Vale tre stelle d'ore ed un poco della nostra tristezza che inevitabilmente affiora.
buona visione
weach illuminati
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(di riccardo76)
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stabeinrhapsody
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lunedì 5 marzo 2012
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melancholia: predizione o metafora della vita?
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Solitamente io non sono una di quelle persone che si diverte a fare ipotesi su film. Anche perchè c'è da dire che i film che escono di recente non sono così sofisticati da poter far pensare più di tanto lo spettatore. Ma v'è sempre l'eccezione alla regola, e quell'eccezione si chiama Melancholia, il nuovo Capolavoro firmato Lars Von Trier, che propone una versione molto "sofisticatragica" del genere Fantascienza. In fondo, però, questo non è un film fantascientifico. Non è una commedia. Non è un film drammatico. Non è il solito film che si va a vedere al cinema tanto per far passare il tempo. Questo è qualcosa che, a parer mio come quasi tutte le opere di Lars, va oltre il semplice concetto di Cinema.
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Solitamente io non sono una di quelle persone che si diverte a fare ipotesi su film. Anche perchè c'è da dire che i film che escono di recente non sono così sofisticati da poter far pensare più di tanto lo spettatore. Ma v'è sempre l'eccezione alla regola, e quell'eccezione si chiama Melancholia, il nuovo Capolavoro firmato Lars Von Trier, che propone una versione molto "sofisticatragica" del genere Fantascienza. In fondo, però, questo non è un film fantascientifico. Non è una commedia. Non è un film drammatico. Non è il solito film che si va a vedere al cinema tanto per far passare il tempo. Questo è qualcosa che, a parer mio come quasi tutte le opere di Lars, va oltre il semplice concetto di Cinema. E' un'esperienza. Fate voi, in quanto a spettatori, se è un'esperienza di vita o semplicemente un'esperienza visiva. Ma è innegabile il fatto che è totalmente diverso da qualsiasi altro film (soprattutto se recente). La storia si svolge in due capitoli che portano il nome delle due donne che sono, quasi odiosamente ed amabilmente, protagoniste. Una è Justine, interpretata da una bravissima e bellissima Kirsten Dunst; l'altra, sorella della prima, è Claire, un'ottima -come sempre- Charlotte Gainsbourg. Vi sono moltissimi celebri attori in quest'opera, tra i quali Kiefer Sutherland, Charlotte Rampling, John Hurt, e l'inevitabile Udo Kier. Insomma, un cast veramente fantastico. Ma un film, come Von Trier sa benissimo, non si basa sugli effetti speciali nè sul cast. Ed infatti, la storia, per quanto semplice possa essere, contiene (a parer mio) centinaia di piccoli dettagli che possono far riflettere anche il pubblico meno attento. La storia si svolge durante il matrimonio di Justine, nel quale NULLA va bene, facendolo trasformare in una tragedia; e poi, alienando completamente il periodo storico, ma io PENSO sia ambientato una qualche settimana dopo le vicende del primo capitolo, la storia viene ambientata sempre nello stesso luogo, ma vede come protagoniste Claire e le sue fobie, riguardanti il pianeta azzurro Melancholia che lentamente si avvicina verso il pianeta terra e che, però, teoricamente, dovrebbe allontanarsi. Secondo me questo film non sottolinea quasi per nulla l'aspetto fantascientifico del film, ma quello tragico. Il pianeta Melancholia potrebbe benissimo rappresentare la morte, per quanto mi riguarda, perchè lentamente si avvicina sempre di più e FINGE poi di allontanarsi, per poi ritornare ancora più velocemente con conseguenze molto peggiori delle precedenti. Ed è da notare soprattutto la diciannovesima buca del campo da golf, che per tutto il film ad occhio nostro non esiste, in quanto tutti i personaggi sono fermamente convinti che ve ne siano 18. Non è forse così, la morte? Io purtroppo non posso saperlo, ma la immagino così. Poeticamente malvagia, perfida ed egoista. Proprio come il pianeta azzurro del film. E per quanto riguarda la diciannovesima buca, ho concluso che non importa quanto una persona si possa reputare perfetta e precisa, qualcosa sbaglierà sempre anche se non lo saprà mai. Io reputo, personalmente, questo film come uno dei più riusciti del recente Lars Von Trier, che MAI mi ha deluso e spero mai mi deluderà. Insomma: Capolavoro per storia, recitazione, sceneggiatura e direzione (sempre più impeccabile, da non lasciarsi scappare la scena iniziale a rallentatore). Capolavoro, nient'altro che un Capolavoro.
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diego vitali
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giovedì 20 ottobre 2011
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l'azzurra bellezza della depressione
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Melancholia è un pianeta, azzurro e bellissimo, che viaggia nello spazio, in rotta di collisione con la Terra. Justine (Kirsten Dunst) è una sposa che si sforza di sorridere, ma non riesce a partecipare alla gioia del suo matrimonio e si allontana più volte dai festeggiamenti. Nel suo animo c’è I cacciatori nella neve di Bruegel. Claire (Charlotte Gainsborough), sua sorella, ha organizzato e pianificato le nozze in grande stile e ora guarda con disappunto la sorella rovinare tutto con il suo comportamento. I genitori delle due sorelle, divorziati e pieni di astio e risentimento, non perdono occasione per attaccarsi davanti a tutti, mettendole ulteriormente in imbarazzo.
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Melancholia è un pianeta, azzurro e bellissimo, che viaggia nello spazio, in rotta di collisione con la Terra. Justine (Kirsten Dunst) è una sposa che si sforza di sorridere, ma non riesce a partecipare alla gioia del suo matrimonio e si allontana più volte dai festeggiamenti. Nel suo animo c’è I cacciatori nella neve di Bruegel. Claire (Charlotte Gainsborough), sua sorella, ha organizzato e pianificato le nozze in grande stile e ora guarda con disappunto la sorella rovinare tutto con il suo comportamento. I genitori delle due sorelle, divorziati e pieni di astio e risentimento, non perdono occasione per attaccarsi davanti a tutti, mettendole ulteriormente in imbarazzo. La stessa Justine, che pure sembra amare sinceramente il semplice e onesto Michael, non riesce a comunicare con lui e sprofonda nel cattivo umore, fino a concedersi al primo venuto. Il matrimonio disegna un quadro di rapporti umani improntati alla prevaricazione, alla falsità e all’esteriorità, al non riconoscimento dei sentimenti, all’isolamento. È un mondo gattopardesco, viscontiano, un palazzo elegante e avvelenato, destinato alla fine; è l’orchestra che suona sul ponte del Titanic. Intanto, Melancholia continua la sua silenziosa corsa nello spazio.
Nella seconda parte, Claire invita Justine di nuovo al castello, dove vive con suo marito (Kiefer Sutherland) e suo figlio. Justine è in condizioni gravi. Il suo matrimonio è finito la sera stessa della celebrazione e la depressione non le permette neanche di alzarsi dal letto e mangiare da sola. Con il passare del tempo, le sue condizioni sembrano migliorare, per quanto gli stati d’animo malinconici non le diano tregua. Claire invece manifesta un’ansia crescente nei confronti di Melancholia. Gli scienziati sono ottimisti e anche suo marito non perde occasione di rassicurarla sul fatto che il pianeta non colpirà la terra, ma lei non riesce a nascondere la propria agitazione. E se fosse la fine di tutto? Quando scopre che Melancholia effettivamente è destinato a distruggerli, il marito di Claire si uccide. I rapporti di forza tra le due sorelle allora si invertono. Claire è costretta ad affidarsi a Justine, che si mostra paradossalmente sicura di sé davanti al manifestarsi della fine. Le due sorelle formano una coppia speculare. Una bionda, formosa, dal sorriso rapido e fugace, malinconica, incapace di essere felice. L’altra mora, nervosa, ansiosa di imporre il suo controllo sulla realtà. Justine sembra riuscire ad avere un rapporto sano solo con Leo, il figlio di Claire, al quale avrà la forza di donare una speranza anche nel momento finale.
Nell’ultima sequenza infatti, Claire, Justine e Leo si tengono per mano, seduti nella “grotta magica” creata da Justine, un rifugio fatto con bastoncini incrociati. Anche se quella è la fine, che ci viene mostrata impietosa e deflagrante, non è vero che tutto è nero. L’amore riesce a penetrare come un filo di luce nel buio della notte.
Ma che cos’è Melancholia?
È il nostro doppio, l’altra Terra, una massa speculare, brillante eppure oscura. Una forza gravitazionale che ci insegue, ci risucchia, ci schiaccia dalle profondità dello spazio (dell’anima?). La malinconia è la gravità del mondo, la pesantezza. L’incapacità di librarsi, di ridere e gioire per un niente. Melancholia è il destino di quel mondo, di quella civiltà. La civiltà che ha prodotto Wagner e il suo Tristan und Isolde, musica che non a caso apre il film. Il capolavoro del romanticismo tedesco, la malattia morale dell’Europa che produrrà il vuoto da cui avrà origine il Nazismo, come Von Trier non ha mancato di ricordare in conferenza stampa a Cannes. La malinconia del cavallo che si accascia a terra, dei paesaggi avvolti dalla nebbia, delle foreste buie e minacciose, come nei quadri di Füssli e Friedrich. L’Europa fredda e oscura, invernale, in cui soffia il vento del Nord, che toglie calore ed energia e induce l’insorgere dell’Umor Nero.
Nella sequenza iniziale, in cui una serie di tableaux vivant rendono il senso simbolico e metaforico del film, Justine giace a terra, tra l’erba, come Ofelia. Dei fili luminosi le escono dalle mani. Poi cerca di camminare, ma dalle gambe le escono delle radici che entrano nella terra, e la trattengono. Come in uno degli esercizi dello psicodramma di Moreno, i fili che ci trattengono sono i nostri ricordi, il nostro passato, tutto il nostro vissuto. Che può incatenarci, paralizzarci davanti alla vita. Così Justine è incapace di essere felice insieme a suo marito, perché troppo legata alla contemplazione del passato, alla nostalgia, alla malinconia che vela e nasconde la gravità della morte.
Claire invece, pragmatica e fredda, non riuscirà più a staccare gli occhi e la mente dal cielo. L’ineluttabile avvicinarsi di Melancholia la ipnotizzerà come un serpente ipnotizza un topolino.
Melancholia è un film che affronta apertamente la tematica della Malinconia nella tradizione letteraria, artistica e musicale europea. I riferimenti pittorici (il rinascimento nordico, soprattutto Bruegel il Vecchio, ma anche Millais, Caravaggio), musicali (Wagner), letterari e filosofici (Schopenahuer, Holderlin) sono numerosi ed espliciti. Tuttavia, Von Trier trasforma questo tema in uno schermo su cui proietta l’argomento che più gli sta a cuore. Questo è un film sulla depressione come patologia, inutile negarlo, e in questo sta il suo valore. Riesce infatti a descrivere in modo magistrale questa particolare condizione umana, che, ovviamente, non è tutta la condizione umana. Inutile quindi chiedergli di essere altro, come è stato fatto anche con l’opera precedente, Antichrist. La depressione è desiderio di morte, cupio dissolvi, lenta attesa, procrastinazione della vita, struggimento, intorpidimento dell’anima che non riesce più a scaldarsi, a scaldare. Ma davanti all’imminenza vera della fine, qualcosa si rompe. Mi viene in mente una frase di Sarah Kane: “Il suicida non ha nessuna voglia di morire”. Nel momento in cui la morte diventa un fatto terreno (tellurico?), Justine ritrova la forza di sostenere gli altri, con un fermo disincanto. Il suo cavallo non l’aveva mai voluta portare oltre il ponte – forse che il castello sia in realtà un’isola? L’isola dei morti? - Ora è Claire che non riesce ad andare via, a fuggire. Nel castello incantato, gli orrori emersi dalla terra nera e gelata e quelli provenienti dagli spazi siderali (che sono gli stessi, speculari, orrori) finalmente si incontreranno-scontreranno.
Il finale è tragico, eppure anche liberatorio. La fine arriva con un sospiro di sollievo. Forse è giusto che quel mondo sia finito. Forse dobbiamo far finire quel mondo, per sempre. Perché possiamo finalmente ricominciare.
diegovitali.wordpress.com
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(di weach )
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amandagriss
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sabato 20 aprile 2013
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matrimonio con apocalisse
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La giovane bella sposa Justine (una grande Kirsten Dunst) nel giorno delle sue nozze matura,irremovibile,la decisione di non voler assolvere ai compiti di moglie e futura madre di famiglia,di non volere con sé il compagno che ha appena sposato né tutto quello che le ha promesso per il loro abbagliante futuro insieme.Scomoda nel suo abito nuziale,si nega agli ospiti,si sottrae alle attenzioni e alla passione ardente del fresco consorte,fa sesso con un altro uomo,rinuncia ad un brillante avvenire lavorativo liquidando,senza mezzi termini,l’infido datore di lavoro,che non la lascia in pace nemmeno il giorno del suo matrimonio.Nel bel mezzo del costosissimo ricevimento,organizzato nella splendida villa della sorella Claire (Charlotte Gainsburg) -moglie del ricco astronomo Keifer Suterland e madre di un grazioso pargoletto- i segni,via via sempre più chiari ed inequivocabili,del suo rifiuto alla vita.
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La giovane bella sposa Justine (una grande Kirsten Dunst) nel giorno delle sue nozze matura,irremovibile,la decisione di non voler assolvere ai compiti di moglie e futura madre di famiglia,di non volere con sé il compagno che ha appena sposato né tutto quello che le ha promesso per il loro abbagliante futuro insieme.Scomoda nel suo abito nuziale,si nega agli ospiti,si sottrae alle attenzioni e alla passione ardente del fresco consorte,fa sesso con un altro uomo,rinuncia ad un brillante avvenire lavorativo liquidando,senza mezzi termini,l’infido datore di lavoro,che non la lascia in pace nemmeno il giorno del suo matrimonio.Nel bel mezzo del costosissimo ricevimento,organizzato nella splendida villa della sorella Claire (Charlotte Gainsburg) -moglie del ricco astronomo Keifer Suterland e madre di un grazioso pargoletto- i segni,via via sempre più chiari ed inequivocabili,del suo rifiuto alla vita.Lenta dolorosa inesorabile parabola discendente verso l'annientamento di sé etichettato come depressione.Justine viene ospitata da Claire e lì,in quella sorta di paradiso terrestre “che conta 18 buche da golf’’,trascorre quelli che saranno gli ultimi giorni di vita,i suoi e dell'umanità tutta.Perché a gettare un'ombra oscura sulle sorti della Terra è un grande pianeta blu,Melancholia,più che concreta minaccia alla sua disintegrazione.C'è un nesso tra il rifiuto di vivere di Justine e l'influsso di Melancholia? O Sono solo due entità profondamente simili,perché entrambe portano dentro il senso della morte? Melancholia è la nostra apocalisse? Il giusto fio da pagare perché “la vita in terra è cattiva?”.Justine e Claire,due sorelle,due donne fisicamente e caratterialmente diverse,all'apparenza fragili ma nella sostanza e al momento giusto forti e determinate come rocce.Facce della stessa medaglia: la morte e la vita,l'immobilità e lo slancio,il presente e il futuro,la rassegnazione e la speranza,la calma e il panico,la fredda attesa e la paura,il disincanto e l'illusione.La prima possiede la visione chiara e netta delle cose (ecco perché indovina quanti fagioli contiene la bottiglia),la seconda traveste le stesse di magico e di sognante,distorcendone la percezione.Meraviglioso sensibilissimo dramma sulla condizione umana declinato al femminile (gli uomini restano sullo sfondo,sono presenze rozze,infide,deboli e vigliacche),che nel riflettere sul logorato ‘sistema umanità’ in cui annaspiamo e soffriamo le pene dell’inferno,opta come soluzione finale la catastrofe collettiva: radicale,istantanea,indolore,definitiva.Sempre più lontano dai rigorosi dettami del suo 'dogma',il cineasta danese traduce il suo pensiero in un'opera visivamente imponente,a dir poco straordinaria,affascinante nel girato -che alterna la camera a mano alla mdp- ,splendida nella messa in scena dove l'ambientazione da eden (il luogo ideale in cui finire i propri giorni) è impreziosita da una fotografia luminosa,nitida e avvolgente,in cui spiccano le tonalità calde del giallo(del giorno) e quelle fredde del blu/bianco(della notte).Almeno tre i momenti memorabili: l’eccellente prologo/rivelatore,tutto in ralenti,la Dunst nuda al chiarore blu/azzurro di Melancholia (pare amoreggiare e fondersi con esso) e il potentissimo epilogo,per un film da vedere assolutamente sul grande schermo.
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[+] ottima recensione!
(di angelo48)
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