Melancholia

È un film che riempie d’immagine e pensiero che parlano in luogo del verboso e sovrabbondante di azione anticrhist. C’è l’immagine della bellezza della durnst che sfocia nell’immagine della depressione della stessa. C’è la sobrietà nevrotica della gainsbourg che cerca di tenere sotto scacco il marasma che la sovrasta dalle sue radici familiari fino alle sorti provenienti dal cielo, un cielo che cala sulla terra attraverso l’incombente pianeta melancholia. Le due sorelle, sono due facce di un'unica Origine: coloro che costruiscono le dighe contro il dilagare della marea e di chi vive nelle zattere perché non ritiene la vita più di una zattera su cui poter stare per un po di tempo. La scienza sembra quella del potere e della manipolazione: una scienza che dalla ricerca della verità si trasforma sempre più in apparato di mistificazione e costruzione della realtà che ci può dire solo le verità comode mai quelle scomode, una specie di nuovo oppio dei popoli di cui von trier/Nietzesche fa l’antichrist. La scienza che con i suoi mezzi occulta la percezione della vitalità dell’anima attraverso una curiosità inutile ed effimera coi suoi telescopi giocattolo, le sue innumerevoli strabilianti forme, le macchine che sono talmente grandi da non potersi muovere. La Claire (Charlotte Gainsbourg) avverte quella sorda sfiducia nella scienza quasi a cogliere la risonanza attraverso la menzogna di fondo che ha sempre detto a sé stessa per non sapere e non vedere. Justine invece è proprio al di là, vive nel rapporto più libero e pieno con la sua disperazione e fin da l’inizio coglie la presenza di melancholia nel cielo che il provetto “scienziato” da subito gli negherà per impedire il dilagare dell’ angoscia che susciterà l’impatto della verità. Ma Justine che è già un abitante di melancholia sembra non aver nulla da temere, il collasso dell’esistenza è già allo zenith anche se il piccolo nipote sembra risvegliare in lei una parte di umanità e per chi ancora può sperare e può sognare inventa la grotta magica, dove insieme alla Fine si rifugeranno, il bambino chiudendo gli occhi, Claire vivendo il dolore, Justine accompagnando nella dipartita il nipote, di cui la mamma non può sostenere il peso né porre riparo con vani tentativi in una condizione in cui anche i campi magnetici sono invertiti e non funziona più niente, non ci si può sottrarre all’impatto di Melancholia. Justine per chi è già parte dell’inganno adulto tronca menzogne e rituali, con cinismo e brutalità, nel solco materno sbeffeggia i timidi ripari della ragione, del convenzionale e del falso che abbondano nella pratica della vita di società, a partire da quel grande collante e insieme proto cellula di società che si costituisce nel matrimonio. In quel cerimoniale lungo estenuante, al punto da consumare al suo interno prima il tradimento e poi la separazione. Alla fine L’impatto con Melancholia si verificherà inarrestabile ma non necessariamente irreparabile come il silenzio sulle scritte di coda sembra decretare. Certo ci vuole fantasia a noi occidentali per concepire Shiva, un dio distruttore, come un inesauribile creatore, per avvertire nel tragico destino di Nietzesche l’inesauribile anelito alla vita, il tentativo di abbracciare luminosamente il più intimo buio che ci pervade e di questo rapporto vivere la vita.