antonio montefalcone
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lunedì 28 novembre 2011
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il minimo fa rima con il massimo! - recensione
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L’ultimo film di Kaurismäki è il seguito tecnico di “Vita da bohème” e lo ricorda molto: per l’ambientazione francese, reale e surreale al tempo stesso; per il quadro di miserie e squallori; per il tono agrodolce; lo stile poetico e nostalgico; per i personaggi credibili, emarginati e bisognosi d’aiuto. Ma se ne differenzia per ciò che maggiormente esprime: un intenso umanitarismo. Non a caso è un caloroso omaggio al cinema che fu di De Sica e Renè Clair, rimandando affettuosamente a ciò che più sembravano i loro film: messaggi di vera bontà. E non per niente c’è anche un cammeo di J.P. Léaud (era il bambino solo, inquieto e incompreso di Truffaut) emblematico rimando al desiderio di fuga da un mondo che reprime, verso la realizzazione dei propri desideri, passioni, affetti.
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L’ultimo film di Kaurismäki è il seguito tecnico di “Vita da bohème” e lo ricorda molto: per l’ambientazione francese, reale e surreale al tempo stesso; per il quadro di miserie e squallori; per il tono agrodolce; lo stile poetico e nostalgico; per i personaggi credibili, emarginati e bisognosi d’aiuto. Ma se ne differenzia per ciò che maggiormente esprime: un intenso umanitarismo. Non a caso è un caloroso omaggio al cinema che fu di De Sica e Renè Clair, rimandando affettuosamente a ciò che più sembravano i loro film: messaggi di vera bontà. E non per niente c’è anche un cammeo di J.P. Léaud (era il bambino solo, inquieto e incompreso di Truffaut) emblematico rimando al desiderio di fuga da un mondo che reprime, verso la realizzazione dei propri desideri, passioni, affetti. L’opera è un capolavoro perché riesce a trasmettere autenticità e emoziona per la sua freschezza. Affascina nella sua grazia. E’ interessante per la tematica attuale. E’ sorprendente per come tratta di clandestinità e miseria, con rispetto e pudore, fantasia e intelligente ironia. A Le Havre, una cittadina francese meta di profughi africani, un lustrascarpe si ritrova a fronteggiare la durezza della sua condizione esistenziale tra povertà e difficoltà quotidiane, una moglie molto malata e persino un bambino clandestino che fugge una legge repressiva. E’ un’opera toccante, di ottima qualità visiva e con attori eccellenti. Una storia universale pregna di malinconico ottimismo, che sa ben dosare, in un magico equilibrio, un divertimento esilarante e una tragicità riflessiva. Sapientemente lontano da retoriche, enfasi o stereotipi, la magistrale regia di Kaurismäki punta dritto all’essenziale, usando uno stile minimalista che riesce ad esprimere il cuore autentico delle cose e delle cose davvero importanti. Lo fa con un tocco sobrio e sensibile, selezionando situazioni e significati, scene e dialoghi eloquenti e mai inutili. Nessuno come lui sa descrivere così bene mondi e personaggi alle prese con la mancanza di materialità necessarie a sopravvivere, ma ricchi di quei valori, principi etici e ideali che li eleva sopra il rango più onorevole dell’essere uomini. Tutto esalta questo aspetto: dall’eleganza formale, alla nobiltà degli assunti. Non si può non restare coinvolti da un’estetica pura e curata: inquadrature chiare e immediate, pochissimi movimenti della macchina da presa, colori tenui e antirealistici, atmosfere soft e struggenti, suoni blues, scenografie anni ’50, ritmo scandito. Azzeccata è poi la scelta di non cancellare, nonostante il registro fiabesco, le disperazioni e le sofferenze, la vita agra del porto e le angosce, e poi malattia e morte, emarginazione e miseria. Per questo è solo in apparenza un apologo sull’utopia della solidarietà e fratellanza globale. E’ in realtà un invito a riflettere su come meglio comportarci moralmente gli uni con gli altri. E questo sia dal punto di vista di giochi e strategie politiche degli Stati, spesso disumani e folli; sia da quello del singolo individuo, spesso irrispettoso e intollerante. Non basta soltanto desiderare un mondo migliore, bisogna agire! E non servono nemmeno i miracoli divini, tanto avvengono di rado. Gli uomini devono impegnarsi a dare un futuro ad altri uomini! Basta poco, in fondo, per ritrovare compassione e regalare generosità a un mondo che l’ ha dimenticata. Basta solo credere nel potere della tolleranza e della solidarietà. E questa fede potrà compierà il miracolo. Non soltanto al cinema...
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sassolino
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venerdì 9 dicembre 2011
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l'amore per la vita in un ciliegio in fiore
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E per fortuna che ci sono ancora i film di Kaurismaki!! Nuvole dense color pastello mosse da un demone fantastico che irradia di strani verdi, rossi e azzurrini le piccole case da fiammiferaie, le radio squadrate, i tanti utensili del mestiere di vivere, come quel panchetto da lustrascarpe di Marcel.
Stavolta è lui' l'antieroe che Kaurismaki ha scelto per la sua parabola poetica: ex bohemiem sulla settantina Marcel è un romantico, uno che ha sempre vissuto un po in fuga, con una moglie che improvvisamente si ammala di cancro, stessi amici di sempre, stessi piccoli contrabbandi e improvviso un piccolo eroe venuto dal'Africa da salvare. Cercherà di spedirlo a Londra il vispo Idrissa, bambino gabonese trovato come un fungo nei container del porto di Le Havre (mai cosi' bella e fiabesca).
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E per fortuna che ci sono ancora i film di Kaurismaki!! Nuvole dense color pastello mosse da un demone fantastico che irradia di strani verdi, rossi e azzurrini le piccole case da fiammiferaie, le radio squadrate, i tanti utensili del mestiere di vivere, come quel panchetto da lustrascarpe di Marcel.
Stavolta è lui' l'antieroe che Kaurismaki ha scelto per la sua parabola poetica: ex bohemiem sulla settantina Marcel è un romantico, uno che ha sempre vissuto un po in fuga, con una moglie che improvvisamente si ammala di cancro, stessi amici di sempre, stessi piccoli contrabbandi e improvviso un piccolo eroe venuto dal'Africa da salvare. Cercherà di spedirlo a Londra il vispo Idrissa, bambino gabonese trovato come un fungo nei container del porto di Le Havre (mai cosi' bella e fiabesca).
Ci riuscirà forse, grazie anche alla complicità di un commissario molto sui generis che fa la ronda dei quartieri a bordo di una vecchia Renault Gordini.
Se non vi bastano i precedenti tappeti volanti del genio finalndese, sappiate che questo vola davvero alto, sulle ali di un mondo fantastico, dove i dottori sono geni umanissimi, gli ortolani amici per sempre e le bariste dispensano saggezze senza tempo.
Per capire il succo del cinema di Kaurismakiano basterebbe questo piccolo frammento:
Commissario alla barista: Ciao Irene, mi dispiace per tuo marito, l'avevo messo in prigione io!
Barista: oh non ti dispiacere, lo sai com'era lui, un fatalista!-
Basta poco ad Aki per comunicare, parole ridotte al minimo, rose, sempre e comunque, sui letti d'ospedale, bus notturni che partono verso Calais, e che bus!! Tutti oggetti di un mondo che non c'e' più, quel mondo che il regista si ostina a sognare appartiene forse ai racconti di Maigret, appartiene a una nuvola finlandese che appare sospesa sui cieli grigi dei mattini di Helsinki.
A ben guardare è tutto inventato, tutto astrattamente realista come nei film di Melville e i criminali sono poeti mancati, i vagabondi gente che ha perso il treno.
Un film come non se ne vedono più, toccante, leggero, straziante come una canzone di Gardel. Un miracolo per gli occhi e per le orecchie.
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pepito1948
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mercoledì 7 dicembre 2011
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kaurismaki e la poetica dell'emarginazione
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Marcel Marx è un ex scrittore che decide per qualche motivo di trasferirsi nella francese Le Havre, dove esercita con dignità il mestiere proletario di lustrascarpe ambulante, che lo mette quotidianamente in contatto con l’umanità più varia; vive in una modesta casa con la moglie Arletty (attenzione ai nomi!) ed il cane Laika, circondato da una rete di solidarietà fatta di “piccoli” uomini e donne (baristi, fornai, ortolani) che danno sempre una mano quando serve, finchè due eventi sconvolgono la sua vita: il contatto occasionale con un giovane profugo clandestino in fuga dalla polizia e l’improvvisa grave malattia dell’amata moglie.
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Marcel Marx è un ex scrittore che decide per qualche motivo di trasferirsi nella francese Le Havre, dove esercita con dignità il mestiere proletario di lustrascarpe ambulante, che lo mette quotidianamente in contatto con l’umanità più varia; vive in una modesta casa con la moglie Arletty (attenzione ai nomi!) ed il cane Laika, circondato da una rete di solidarietà fatta di “piccoli” uomini e donne (baristi, fornai, ortolani) che danno sempre una mano quando serve, finchè due eventi sconvolgono la sua vita: il contatto occasionale con un giovane profugo clandestino in fuga dalla polizia e l’improvvisa grave malattia dell’amata moglie. Tutt’altro che scoraggiato, egli lotta sui due fronti, aiutando il ragazzo ad espatriare nonostante l’assiduo tallonamento del commissario Monet e sostenendo il percorso doloroso di Arletty, cui il dott. Becker non ha lasciato speranza, salvo un molto improbabile miracolo. Alla fine la grinta e la fiduciosa pervicacia di Marcel la spunteranno alla grande, e il miracolo si avvera; la sua vita, e quella di coloro che ha contribuito a salvare dal naufragio, potrà ricominciare a fiorire come un ciliegio punteggiato di bianchi boccioli in un’alba di primavera.
Non inganni la semplicità della storia. Aki Kaurismaki è maestro di storie semplici all’apparenza, dietro le quali tuttavia s’intravedono sempre temi sociali fortemente ancorati a quella parte della società che soffre, abbandonata dalla fortuna, sospinta ai margini, perseguitata da guai o vittima di violenze altrui. Ma, a differenza degli autori realisti puri, che descrivono la realtà odierna in modo diretto e partecipato (come Leigh), talvolta rimarcando senza veli la ferocia e le crudeltà ricorrenti a danno dei più deboli (come Loach), Kaurismaki fa parte di quella corrente del neorealismo europeo che usa piccoli racconti per esprimere denunce sociali importanti attraverso uno sguardo distaccato ed astratto, quasi come se l’autore assistesse dalla finestra ad ordinarie scene di vissuto quotidiano, ma concentrando l’attenzione sugli emarginati di tutto il mondo. Le sue storie , anche se ambientate in città o realtà nazionali riconoscibili, potrebbero essere inserite in qualsiasi contesto perché hanno una valenza universale e tutte focalizzate sull’ingiustizia sociale, piaga purulenta di ogni società capitalista occidentale, compresa la sua patria d’origine. Kaurismaki infatti, dopo aver vissuto per alcuni decenni in Finlandia lavorando nel cinema, suonando musica rock con il fratello anche lui cineasta, affogando spesso nell’alcool le frustrazioni verso un mondo che detestava fino alla nausea, ha deciso di abbandonare il suo Paese (ormai “incapace di sopportarne il fetore”) per trasferirsi in Portogallo, ma non ha rinunciato ad improntare il suo cinema ad una costante denuncia delle profonde disuguaglianze che i sistemi sociali più “evoluti” hanno prodotto e continuano a produrre dovunque. E lo fa in punta di piedi, senza alzare la voce, sobriamente, dando al racconto un taglio favolistico e in certi momenti poetico lontano dall’esibizione di situazioni truci o violente (che si presuppongono o avvengono fuori inquadratura) e facendo largo uso dell’ironia per stemperare le tensioni. I personaggi sono abbozzati, proprio perché a forte connotazione simbolica, i dialoghi essenziali alternati a lunghi silenzi che comunicano più delle parole (K. proviene da uno Stato che è tra i primi in Europa quanto a numero di connessioni internet e di telefonini, ed è sede della Nokia, regina dei cellulari), non ci sono campi e controcampi né primi piani, spesso le immagini si dissolvono al nero. Come a chiederci: vedete anche voi quello che (purtroppo) vedo io?
Miracolo a Le Havre non è propriamente un film sulla migrazione, ma in questo caso l’attenzione tipica dell’autore verso il mondo degli umili ed i bistrattati è concentrata su una figura emblematica su cui oggi si scarica il gretto e razzista perbenismo della borghesia occidentale, ossia il migrante clandestino che fugge per dare un senso alla propria vita (nel caso specifico per ricongiungersi alla madre). Marcel lo aiuta attivando tutte le disponibilità solidaristiche dei suoi amici, ed avvalendosi dell’apporto del poliziotto fuori dal coro che, per non rinunciare alla veste (ed agli obblighi) di “parte avversa”, dà una mano al trasgressore mediante messaggi indiretti, criptati, come a dire che ognuno sta dalla sua parte, ma il senso di umanità può creare temporanee alleanze tra persone di nobile animo pur senza confusione di ruoli.
L’ambientazione nella francese Le Havre non è casuale. Già, perché il film, per le molte citazioni che offre è un omaggio al cinema ed alla cultura francese. I nomi attribuiti ai personaggi ne sono chiaro segnale: il protagonista Marcel (Carnè?), la moglie Arletty (grande attrice del passato), dott. Becker (famoso maestro del noir), commissario Monet (un ossequio alla pittura impressionista). Ma anche Chaplin (antesignano dei grandi artisti anticapitalisti), De Sica e Capra sono nel cuore del regista. Per non parlare del cognome Marx, che la dice lunga sulla predilezione dei temi che coinvolgono i proletari o comunque gli emarginati di tutto il mondo. Non mancano le citazioni autobiografiche: in Little Boy, attempata rockstar ormai fuori dal giro che ritorna ad esibirsi per aiutare il protagonista, sembra rispecchiarsi il Kaurismaki suonatore e amante del rock, che ritroviamo in altri suoi film.
In conclusione una favola dei nostri tempi dove il garbo, la poesia, l’umorismo, la nobiltà salvifica dei sentimenti non nascondono una realtà diffusa spietata verso i più deboli, e nel contempo esalta il valore della solidarietà –unica loro arma di protezione reciproca- che talvolta è in grado di dare nuova vita a chi sembrava senza speranza di salvezza. Appunto come un ciliegio in fiore in un’alba di primavera.
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tom87
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giovedì 14 marzo 2013
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un ottimo film!
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“Miracolo a Le Havre” è il film più risolto e umanista del regista finlandese. Con la sua storia toccante e universale, etica e poetica, riesce meglio delle altre volte adoffrire allo spettatore la forza di un cinema che sogna un mondo ideale, quello che ognuno di noi avrebbe voluto, quello che sarebbe dovuto essere. E che purtroppo non è. O in tono minore non c’è più.
Marcel Marx, un ex scrittore che ora è lustrascarpe, vive a Le Havre, in Francia, insieme alla moglie Arletty e la cagnetta Laika. Un giorno, per caso, incontra Idrissa, un bambino africano ricercato dalla polizia e giunto clandestinamente in Francia. Marcel, nonostante le difficoltà economiche e la malattia della moglie, si promette di far arrivare il piccolo in Inghilterra, dove vive la madre.
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“Miracolo a Le Havre” è il film più risolto e umanista del regista finlandese. Con la sua storia toccante e universale, etica e poetica, riesce meglio delle altre volte adoffrire allo spettatore la forza di un cinema che sogna un mondo ideale, quello che ognuno di noi avrebbe voluto, quello che sarebbe dovuto essere. E che purtroppo non è. O in tono minore non c’è più.
Marcel Marx, un ex scrittore che ora è lustrascarpe, vive a Le Havre, in Francia, insieme alla moglie Arletty e la cagnetta Laika. Un giorno, per caso, incontra Idrissa, un bambino africano ricercato dalla polizia e giunto clandestinamente in Francia. Marcel, nonostante le difficoltà economiche e la malattia della moglie, si promette di far arrivare il piccolo in Inghilterra, dove vive la madre.
L’opera ricorda un altro film del regista: “Vita da Bohème”, ma a differenza di quest’ultimo, è pregna di indignazione sociale e punta il dito contro la disumanizzazione e la mercificazione dei poveri, dei più deboli, degli ultimi, degli immigrati, emarginati dal cieco e vacuo capitalismo globale. Senza rinunciare al rigore e al minimalismo della messinscena, kaurismaki realizza una favola morale, coinvolgente ed emozionante, che riabilita la nobiltà d’animo e ideali scomparsi come la solidarietà e la fratellanza. Valori importanti trattati in una dimensione apparentemente leggera, con un tono dolce e gentile, per nulla compiaciuto o urlato; che riflettono in modo incisivo l’atteggiamento di un Kaurismaki che, nel continuare a schierarsi dalla parte degli umili, combatte egoismi e intolleranze; si ribella alla diffidenza per lo straniero, all’insensibilità nei confronti del culturalmente diverso, a quella umana crudeltà che nasce quando ci si fa vincere da paure e ottusità (le persecuzioni di polizia e commissario; il reato francese di nascondere e ospitare un clandestino). Se è vero che da una parte il tono fiabesco alimenta le nostre deboli speranze sui miracoli (che potranno pur di rado avvenire), dall’altra però non chiude gli occhi sulla drammatica realtà contemporanea e non si culla in facili illusioni. L’uomo deve comunque agire. La brutalità di questo mondo dev’essere ancora combattuta. Dalla determinazione del singolo (vedi Marcel nei riguardi del bambino) alla sedimentazione di una collettività solidale, il passo può essere breve.
I film dell’anarchico regista finlandesehanno un impatto visivo eccezionale e anche questo possiede uno stile espressivo ricco di sublimi contrasti di luce, luoghi ombrosi, fotografia color pastello, e poi di volti dimessi, sguardi intensi, silenzi eloquenti, dialoghi scarni, suoni blues, inquadrature malinconiche: tutto stilisticamente e figurativamente contribuisce ad arricchire di fascino quest’opera asciutta e precisa, persino la connotazione scenica vintage, nostalgica degli anni ’50 /’60. Nel suo cinema fonde etica ed estetica, fa derivare la prima dalla seconda, e il tutto in uno stile filmico che, dagli ambienti, ai personaggi, alle atmosfere, rimanda al cinema francese degli anni Trenta (da Carnè a Clair). Un cinema nel quale si adottava quel “realismo poetico” che abbinava impegno sociale e forza dei sentimenti. Kaurismaki lo condisce con fluidità e leggerezza, discrezione e malinconia, divertimento e intensa commozione.
Alla fine, sono questi interessanti aspetti che rendono l’opera un capolavoro. Ma, soprattutto, che lo nobilitano ad atto di fede verso un mondo più bello. Bello quanto quel ciliegio in fiore…
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osteriacinematografo
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domenica 1 aprile 2012
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la poesia surreale di kaurismaki
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Il film si svolge a Le Havre, città portuale dell’alta Normandia. E “Le Havre” sarebbe anche il titolo del film, se i traduttori italiani non avessero aggiunto quel “Miracolo” che, se pur attinente, si poteva tralasciare.
Marcel Marx, un passato da scrittore bohemièn e da clochard, è un lustrascarpe che sbarca il lunario con difficoltà, interpretando una professione desueta con rispetto, umiltà ed abnegazione.
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Il film si svolge a Le Havre, città portuale dell’alta Normandia. E “Le Havre” sarebbe anche il titolo del film, se i traduttori italiani non avessero aggiunto quel “Miracolo” che, se pur attinente, si poteva tralasciare.
Marcel Marx, un passato da scrittore bohemièn e da clochard, è un lustrascarpe che sbarca il lunario con difficoltà, interpretando una professione desueta con rispetto, umiltà ed abnegazione. Trascorre lunghe giornate nei dintorni della stazione di Le Havre, alla ricerca dei pochi clienti che ancora ne apprezzano i servigi; vive con la cagnolina Laika ed Arrietty, una vedova che l’ha raccolto e salvato dalla strada, e ricambia l’affetto del suo pallido ed esile angelo lavorando alacremente ogni giorno su quella stessa strada in cui ha sempre vissuto, e che rimane il suo habitat naturale. Nel tempo breve di poche sequenze, due avvenimenti scuotono la routine dell’uomo: la malattia di Arrietty, più grave di quanto egli stesso immagini, e la conoscenza di Idrissa, un ragazzino africano sbarcato clandestinamente in Francia. Mentre la compagna è costretta al ricovero in ospedale per curarsi, Marcel trova un motivo importante nella storia di Idrissa, scovato dalla polizia in un container diretto in Inghilterra, dove vive sua madre. Il ragazzino è scappato e la Gendarmerie è sulle sue tracce, e così Marcel decide prima di nasconderlo e sfamarlo, e poi di fare in modo che completi quel disumano viaggio intrapreso in Africa. Per realizzare il suo piano, Marcel si avvale della collaborazione dei propri amici e vicini di casa: la fornaia, il fruttivendolo, la fidata barista, un clandestino che vive in Francia sotto mentite spoglie, e persino un ombroso e incalzante investigatore dal doppio volto. Ne scaturisce un quadro denso di umanità, fatto di persone che conducono esistenze umili ma vere, capaci di sostenersi reciprocamente in caso di bisogno, legate a codici di fratellanza che sfuggono all’odierna società asettica e indifferente. Andrè Wilms interpreta Marcel Marx con commovente sensibilità, prestando al personaggio ogni piega o ruga del viso e uno sguardo profondo come il mare che lo bracca, tutto intorno; Marcel si sposta lungo il porto, fra le osterie e i mille volti della stazione col piglio di chi sente proprio il contesto che lo circonda e lo stringe a sé come un vecchio amico. Da evidenziare anche la prova di Jean-Pierre Darroussin nei panni dell’implacabile investigatore: l’ispettore Monet rappresenta simbolicamente la personificazione di un potere avverso, il nemico del popolo, l’uomo nero da temere, schivare, ghettizzare; ma dietro la maschera che il sistema gli assegna si nasconde un uomo solo e sofferente, che cerca di avvicinarsi alla gente, di aiutare quegli umili da cui forse anch’egli proviene, senz’abbandonare l’aplomb impassibile del suo personaggio, assecondando in superficie il volere superiore di un prefetto invisibile e divinizzato. Il film di Aki Kaurismaki è pura poesia: il regista finlandese utilizza un linguaggio scarno per privilegiare una storia che rappresenta la realtà senza i fronzoli estetici dell’ipocrisia, e descrive l’amore come il frutto quotidiano della convivenza e della condivisione, come la somma autentica di gesti e parole che legano indissolubilmente quanti hanno la forza e il coraggio di donarsi lealmente e nella reciprocità, oltre i condizionamenti dell’apparenza. “Miracolo a Le Havre” sembra muoversi sulla falsa riga di “Vita da bohème”, l’altro film francese di Kaurismaki, e mostra una speranza nuova e antichissima, come quella tracciata dai passaggi e dalle atmosfere surreali di Vittorio De Sica, come quella di una donna che decide di vivere per il suo uomo o di un ciliegio che esplode i propri germogli nel grigiore cementificato di un’esistenza dura ma possibile.
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melandri
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lunedì 28 novembre 2011
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un ciliegio ci salvera'?
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Le Havre,Francia.Marcel,un lustrascarpe che vive nei sobborghi in compagnia della moglie Arletty e del cane Laika,è il nuovo "eroe" made in Kaurismaki.La firma del regista finlandese la si riconosce già alla prima inquadratura.Il suo cinema fatto di immagini fisse,silenzi e battute spiazzanti al limite del demenziale è come sempre inconfondibile.La storia/favola dell'amicizia tra Marcel ed il piccolo immigrato clandestino Idrissa che cerca di raggiungere la madre in un paese lontano dal suo, è l'ennesimo spunto che permette a Kaurismaki di continuare la sua parabola di cantore e difensore dei diseredati.Tra location ed arredi che sembrano sospesi nel tempo,il regista ci prende per mano e ci porta nelle viscere di quella realtà dei giorni nostri che spesso facciamo finta di non vedere;la povertà,il razzismo,l'indifferenza verso l'altro,la malattia.
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Le Havre,Francia.Marcel,un lustrascarpe che vive nei sobborghi in compagnia della moglie Arletty e del cane Laika,è il nuovo "eroe" made in Kaurismaki.La firma del regista finlandese la si riconosce già alla prima inquadratura.Il suo cinema fatto di immagini fisse,silenzi e battute spiazzanti al limite del demenziale è come sempre inconfondibile.La storia/favola dell'amicizia tra Marcel ed il piccolo immigrato clandestino Idrissa che cerca di raggiungere la madre in un paese lontano dal suo, è l'ennesimo spunto che permette a Kaurismaki di continuare la sua parabola di cantore e difensore dei diseredati.Tra location ed arredi che sembrano sospesi nel tempo,il regista ci prende per mano e ci porta nelle viscere di quella realtà dei giorni nostri che spesso facciamo finta di non vedere;la povertà,il razzismo,l'indifferenza verso l'altro,la malattia.Tutti(o quasi) i mali del nostro tempo,sembra dire dire il regista,si possono risolvere tendendo una mano e con un po' di fortuna e di cooperazione, tra chi ,a volte è abituato a guardarsi in cagnesco,.La figura del commissario(l'ottimo Darroussin ,qualcuno lo ricorderà ne "il mio amico giardiniere" del 2007)con i modi da faina ma con un cuore che batte sotto l'impermeabile scuro,è la cartina di tornasole del film.Senza la sua "ribellione" al sistema ,tutti gli sforzi dei compagni di sventura (ai quali sarà difficile non affezzionarsi all'istante ) sarebbero vani,e quel ciliegio alla fine non potrebbe fiorire.
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francesca meneghetti
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martedì 13 dicembre 2011
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se io fossi dio...
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Ancora un film sull’immigrazione, in una località di mare. Dopo aver visto film come "Io sono Li" e “Terraferma” sembra difficile trovare un approccio originale ad un problema ineludibile del mondo occidentale attuale. Eppure il regista Kaurismäkisembra aver trovato una strada, che potremmo definire di realismo magico. Non si tratta infatti di un film realistico, come si potrebbe supporre a partire dalle scene iniziali, teso a descrivere i drammi quotidiani di due comunità: una francese, che vive ai margini di una grande città, Le Havre, l’altra costituita da africani, immigrati clandestinamente. Se così fosse, il commissario di polizia avrebbe arrestato il ragazzino africano, il fruttivendolo sarebbe stato un delatore, la moglie di Marcel Marx, lustrascarpe ed ex intellettuale, sarebbe morta ed altre sciagure si sarebbero abbattute sul protagonista.
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Ancora un film sull’immigrazione, in una località di mare. Dopo aver visto film come "Io sono Li" e “Terraferma” sembra difficile trovare un approccio originale ad un problema ineludibile del mondo occidentale attuale. Eppure il regista Kaurismäkisembra aver trovato una strada, che potremmo definire di realismo magico. Non si tratta infatti di un film realistico, come si potrebbe supporre a partire dalle scene iniziali, teso a descrivere i drammi quotidiani di due comunità: una francese, che vive ai margini di una grande città, Le Havre, l’altra costituita da africani, immigrati clandestinamente. Se così fosse, il commissario di polizia avrebbe arrestato il ragazzino africano, il fruttivendolo sarebbe stato un delatore, la moglie di Marcel Marx, lustrascarpe ed ex intellettuale, sarebbe morta ed altre sciagure si sarebbero abbattute sul protagonista. Ma Kaurismäki non intende aderire alla realtà: rappresenta le cose non come sono, ma come dovrebbero essere. Dirige i personaggi e le situazioni non per tendere ad un consolatorio “happy and”, ma per mostrare come si dovrebbero comportare gli uomini e Iddio (sì,anche lui) o il destino se la vita su questa terra si svolgesse secondo natura e ragione. Ciò appare magico e miracoloso allo spettatore perché egli è immerso in quella realtà distorta e malata che il regista disapprova chiaramente. Questa chiave di lettura giustifica evidenti anacronismi, a partire dall’ambientazione anni ’50 nella foggia delle case, dell’abbigliamento, delle pettinature (femminili) che rimane confinata a quel microcosmo emarginato dalla città moderna, dove si vive fuori del tempo (non compare nemmeno la TV), dove dominano silenzi sconosciuti nelle metropoli e colori azzurri o freddi, ma dove si coltiva ancora l’umanità: un mondo dove, a dispetto dell’affermazione di Arletty (qui da noi non accadono miracoli), la stessa donna può ritornare a casa e alla salute con un abito giallo estivo, mentre fuori fiorisce un ciliegio e un ragazzino è in viaggio, in procinto di riabbracciare la madre.
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toro sgualcito
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venerdì 16 dicembre 2011
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un lustrascarpe col cuore tirato a lucido
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Marcel Marx, un uomo di circa sessant’anni, fa il lustrascarpe a Le Havre. Sua moglie Arletty si ammala improvvisamente e deve essere ricoverata in ospedale. Durante la sua assenza Marcel incontra un ragazzo nero entrato illegalmente in Francia e decide di aiutarlo. Intorno a questi elementi ruota il soggetto del film Miracolo a Le Havre. Come al solito Kaurismaki ci porta dentro la vita di persone socialmente marginali e spesso spontaneamente devianti. Ma a Kaurismaki non può mai bastare solo una buona sceneggiatura e un buon girato, lui ha bisogno dei "suoi" attori, dei "suoi" colori, della "sua" musica e delle "sue" atmosfere demodé. Sono cifre che identificano Kaurismaki come lo fa una targa d'automobile.
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Marcel Marx, un uomo di circa sessant’anni, fa il lustrascarpe a Le Havre. Sua moglie Arletty si ammala improvvisamente e deve essere ricoverata in ospedale. Durante la sua assenza Marcel incontra un ragazzo nero entrato illegalmente in Francia e decide di aiutarlo. Intorno a questi elementi ruota il soggetto del film Miracolo a Le Havre. Come al solito Kaurismaki ci porta dentro la vita di persone socialmente marginali e spesso spontaneamente devianti. Ma a Kaurismaki non può mai bastare solo una buona sceneggiatura e un buon girato, lui ha bisogno dei "suoi" attori, dei "suoi" colori, della "sua" musica e delle "sue" atmosfere demodé. Sono cifre che identificano Kaurismaki come lo fa una targa d'automobile. E non si tratta solo di questo, ma anche della sua sapiente capacità di far emergere calde emozioni da una rigorosa sobrietà formale e di linguaggio. Forse la sintonizzazione con lo stile Kaurismaki può non avvenire al primo incontro col suo cinema, ma una volta silenziate le più comuni aspettative cinematografiche un intenso fascino avvolge lo spettatore. Oltre alle famose immagini di sapore fotografico e pittorico, dovute anche a quei mirabili attimi di immobilità, la poetica cromatica di Kaurismaki riesce a trattare certi verdi e certi rossi con una armonia simile a quella del bianco e nero. In ogni caso grande sensibilità nell'uso dei colori complementari in varie sfumature. Tornando al film, che scorre quatto quatto ma ben cadenzato grazie ad una sceneggiatura da manuale, sono degni di merito: André Wilms che da una amabile e granitica dignità al lustrascarpe Marcel; Kati Outinen (Arletty, la moglie di Marcel) che nelle sue pur brevi apparizioni splende con la sua dolcezza "appesa"; Jean-Pierre Darroussin (molto caro al regista Guédiguian) che interpreta molto bene la figura quasi da fumetto del commissario Monet. Questo film ci racconta anche una storia di immigrazione clandestina, di polizia sospettosa e di solidarietà umana, ma tutto ciò risulta tutt'altro che pretestuoso in un film già così ricco di molte altre cose. Miracolo a Le Havre è bello e si gode con una leggerezza che nulla toglie alla sua intensa poeticità. I film di Kaurismaki sono favole con l'apparenza del quotidiano che gratificano lo spirito e così è anche Miracolo a Le Havre.
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rampante
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mercoledì 5 dicembre 2012
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un uomo semplice, un grande uomo
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<Marcel Marx, ex scrittore e inguaribile bohemien, vive con il suo lavoro nella città portuale di Le Havre facendo il lustrascarpe, una vita modesta ma tranquilla e felice con la moglie Arletty , tra il bar e la stazione dei treni.
E' un uomo semplice che si è ritirato in una sorte di esilio volontario.
Arletty scopre d'avere una malattia incurabile, deve essere ricoverata in ospedale ma gli nasconde la gravità.
Marcel vaga sconvolto per il porto quando nella sua vita entra un bambino clandestino scappato da un gruppo di profughi, braccato dalla polizia.
Il giovane Idrissa vuole andare a Londra dalla madre.
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<Marcel Marx, ex scrittore e inguaribile bohemien, vive con il suo lavoro nella città portuale di Le Havre facendo il lustrascarpe, una vita modesta ma tranquilla e felice con la moglie Arletty , tra il bar e la stazione dei treni.
E' un uomo semplice che si è ritirato in una sorte di esilio volontario.
Arletty scopre d'avere una malattia incurabile, deve essere ricoverata in ospedale ma gli nasconde la gravità.
Marcel vaga sconvolto per il porto quando nella sua vita entra un bambino clandestino scappato da un gruppo di profughi, braccato dalla polizia.
Il giovane Idrissa vuole andare a Londra dalla madre.
Marcel si prende cura del ragazzo e con l'aiuto anche dei vicini riesce a farlo fuggire.
Il regista Kaurismaki non chiude gli occhi di fronte al dolore del mondo ma con dolcezza e delle stupende immagini realizza una bellissima storia "un Miracolo".
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eugenio
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venerdì 21 dicembre 2012
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joy de vivre
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Aki Kaurismaki può essere definito il poeta nostalgico neorealista del 2000 vuoi per le tematiche sociali e quotidiane che per il tono crepuscolare e nostalgico, motivo narrativo (ma non descrittivo) delle sue pellicole da Calamari Union al recente Miracolo a Le Havre, ultimo suo film e ideale prosecuzione di Vita da Bohemè, oramai divenuto piccolo classico.
Le prime sequenze del film sembrano quasi confermarlo e irretiscono lo spettatore per il tono favolistico che il regista finlandese ha deciso di utilizzare. Un lustrascarpe di Le Havre, Marcel Marx, si imbatte in Idrissa, giovanissimo immigrato africano giunto in Francia allo scopo di imbarcarsi per l’Inghilterra e abbracciare così l’adorata madre.
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Aki Kaurismaki può essere definito il poeta nostalgico neorealista del 2000 vuoi per le tematiche sociali e quotidiane che per il tono crepuscolare e nostalgico, motivo narrativo (ma non descrittivo) delle sue pellicole da Calamari Union al recente Miracolo a Le Havre, ultimo suo film e ideale prosecuzione di Vita da Bohemè, oramai divenuto piccolo classico.
Le prime sequenze del film sembrano quasi confermarlo e irretiscono lo spettatore per il tono favolistico che il regista finlandese ha deciso di utilizzare. Un lustrascarpe di Le Havre, Marcel Marx, si imbatte in Idrissa, giovanissimo immigrato africano giunto in Francia allo scopo di imbarcarsi per l’Inghilterra e abbracciare così l’adorata madre. Idrissa è pero’ un clandestino, uno di quelli che la Francia non accetta, uno di quelli che viaggia nei container, uno di quelli che fuggono come bestie impaurite dinanzi a un pericolo che non capiscono sino in fondo.
Marx, lato suo è un “Idrissa” edulcorato: senza una lavoro fisso, tira a campare come lustrascarpe alla stazione dividendo la propria abitazione con la moglie Arletty (una sorprendentemente invecchiata Kati Outinen, ex piccola fiammiferaia), malata di cancro e la cagna Laika, tra povertà e difficoltà quotidiane. Un grigiore quotidiano che tuttavia è reso meno sofferto dal “quartiere” entro cui ruota l’intera vicenda. Un quartiere quasi pratoliniano, corale, composto da persone,persone vere, che si aiutano vicendevolmente, che sanno trovare nella cooperazione la forza di andare avanti. Grazie infatti all’aiuto dei vicini di casa, del fruttivendolo e della barista, Marcel riesce nel difficile compito sotto gli occhi accondiscendenti di un intelligente ma fortunatamente non così integerrimo tutore dell’ordine,Monet ( che ha le fattezze di un riuscito Jean-Pierre Daroussin).
Melodramma minimalista nello stile ma dalla potente vena drammatica, l’ultimo film di Kaurismaki sorprende per scelta coraggiosa e per l’impatto a metà strada tra un quadro di Dalì ed uno di Fattori: reale e surreale al tempo stesso coadiuvato da un bello stile poetico e nostalgico. I dialoghi sono pacati,distesi, la prosa non si fa mai violenta o preda di inutili sentimentalismi: negli occhi di ciascun personaggio emerge l’intensità della propria sofferenza, la volontà di proseguire malgrado il malinconico pessimismo dettato dalla miseria. Kaurismaki decide di non analizzare apertamente il dramma dell’immigrazione (tra l’altro degnamente affrontato da altre recenti pellicole come Nuovomondo e Welcome, piuttosto che dall’ultimo film di Crialese, Terraferma) ma di “vestirlo” socialmente innestandolo all’interno di una cornice più “universale” :l’emarginazione e dell’alienazione umana che si insinua come un cancro nella società. Idrissa è il Truffualt dei Quattrocento colpi lo spirito ribelle alla ricerca della libertà in un paese che è intenzionato solo a reprimerla (potente l’immagine di Marcel nell’atto di lustrare le scarpe ad alcuni sacerdoti della cattedrale di Le Havre) ma che nasconde, nelle sue viuzze più nascoste, un’intensa vena umanitaria. C’e’quasi cristianità in Kaurismaki, una decisa caratteristica ottimista quasi utopisica e irrealizzabile, sottolineata dall’apparente assenza di coordinate spazio temporali che rendono Le Havre quasi un universo ben lontano dal tragico realismo e dal dinamismo proprio di una terra di confine,segnata dal fenomeno dell’immigrazione clandestina. In questa staticità e riflessività che Kaurismaki sceglie di utilizzare al meglio sfruttando una fotografia atona e fredda, il dramma del dolore di Idrissa e di Arlet diviene quindi metafora di privazione ma anche di rinascita, di risveglio
Come il ciliegio bianco che fiorisce d’inverno, anche l’uomo può gridare al miracolo che,tuttavia, non ha valenza divina: è dettato solo dalla fratellanza e dal reciproco rispetto, motore di ogni società civile.
Dove la fiaba diventa realtà,dove la tolleranza,la speranza e la voglia di fare sono la verità.
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