donni romani
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mercoledì 3 ottobre 2012
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il valore della memoria
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Seconda regia del figlio del grande Hayao Miyazaki - che ci mette lo zampino nella sceneggiatura - "Dalla collina dei papaveri" è un delicato e poetico affresco sul valore della memoria, dei ricordi e del passato, permeato di sentimenti sinceri e profondi, malinconico e solare ad un tempo, capace di trasportarci come sempre nel mondo magico della Ghibli dove la poesia si fa arte e il sogno realtà.
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Seconda regia del figlio del grande Hayao Miyazaki - che ci mette lo zampino nella sceneggiatura - "Dalla collina dei papaveri" è un delicato e poetico affresco sul valore della memoria, dei ricordi e del passato, permeato di sentimenti sinceri e profondi, malinconico e solare ad un tempo, capace di trasportarci come sempre nel mondo magico della Ghibli dove la poesia si fa arte e il sogno realtà. Ambientato in Giappone nel 1963, alla vigilia delle Olimpiadi ma con ancora negli occhi e nel cuore gli orrori e le ferite della guerra, si concentra sulle vicende di un gruppo di liceali che hanno a cuore la ristrutturazione del "Quartier latin" la casa degli studenti sede delle varie associazioni studentesche, e che si scontrano con chi vorrebbe invece demolirla e ricostruirla nuova, mandando perduto il patrimonio di documenti, ricordi e affetti di chi li ha preceduti negli anni. All'interno della comunità studentesca si incrociano le strade e i sentimenti di Umi Matsuzaki e Shun Kazama che scopriranno di avere un legame profondo alle loro spalle, un legame che li porta a conoscere verità lontane sui loro genitori, ormai morti in guerra e a comprendere a fondo il valore di ciò che ci si lascia alle spalle. La lievità con cui i Miyazaki affrontano tematiche dolorose e spinose è pari solo alla loro capacità di veicolare messaggi eterni ed inviolabili con "educazione" orientale, pacata ed ossequiosa ma profondamente ferma nel condannare l'involgarimento della cultura, dell'onore, del rispetto. I ragazzi che credono fermamente nel loro progetto, che combattono per esso e che nonostante il loro essere proiettati nel futuro non dimenticano il passato - Umi che ogni mattina innalza le bandiere nautiche in onore del padre morto durante la guerra di Korea ne è la testimonianza più toccante - sono la speranza di allora come di oggi per andare verso un futuro che abbia memoria di sè, della propria famiglia, del proprio paese, degli errori e delle vittorie, dei sacrifici e delle conquiste. Grafica nello stile Ghibli, morbida, pastellata ed estremamente avvolgente al pari di un calda coperta, come quella che avvolge le lacrime di Umi, ragazza coraggiosa e fiera, che va verso il domani con il cuore colmo di ricordi, bagaglio indispensabile per non disperdere il patrimonio di chi ci ha preceduto. Come dimostra di voler fare Miyazaki junior restando nel solco familiare con discrezione ed eleganza.
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(di sick_hero)
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paolo bisi
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venerdì 9 novembre 2012
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non dimenticare il passato per costruire il futuro
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Giappone, 1964. Umi è una ragazzina che dedica interamente il suo tempo alla famiglia, trascurando tutto il resto, tranne il ricordo del padre scomparso, in onore del quale ogni mattina issa le bandiere nel giardino di casa. Un giorno viene coinvolta in una disperata battaglia della protesta studentesca per salvare il Quartier Latin, e qui conosce Shun, del quale subito si innamora. Ma tra di loro vi è segreto troppo forte e importante che cambierà per sempre la loro esistenza. Al suo secondo lungometraggio da regista, Goro Miyazaki, figlio del maestro Hayao, che firma la sceneggiatura, raggiunge un livello artistico altissimo, condensando in un solo film tante fasi del cinema giapponese e più in generale del cinema d'animazione.
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Giappone, 1964. Umi è una ragazzina che dedica interamente il suo tempo alla famiglia, trascurando tutto il resto, tranne il ricordo del padre scomparso, in onore del quale ogni mattina issa le bandiere nel giardino di casa. Un giorno viene coinvolta in una disperata battaglia della protesta studentesca per salvare il Quartier Latin, e qui conosce Shun, del quale subito si innamora. Ma tra di loro vi è segreto troppo forte e importante che cambierà per sempre la loro esistenza. Al suo secondo lungometraggio da regista, Goro Miyazaki, figlio del maestro Hayao, che firma la sceneggiatura, raggiunge un livello artistico altissimo, condensando in un solo film tante fasi del cinema giapponese e più in generale del cinema d'animazione. A differenza del padre, ha bisogno di una preparazione più lunga e non concede niente alla fantasia, puntando su un realismo addirittura estremo in certe parti. In un'opera comunque tutta straordinaria, due sono le sequenze da rimarcare: il momento in cui Umi con la sorellina entra nel Quartier Latin e quello in cui i tre ragazzi si recano in una Tokyo in subbuglio per le imminenti Olimpiadi del 1964. Strepitosa, come in tutti i film del periodo maturo del padre Hayao, la cura dei disegni e soprattutto dei dettagli, i quali evidenziano che ci troviamo di fronte probabilmente al più complesso film d'animazione mai realizzato. Fantastico, inoltre, l'uso dei flashback nei momenti importanti. Goro Miyazaki sembra quindi in grado di diventare un punto di riferimento per il futuro, speriamo il più a lungo possibile.
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mauser
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mercoledì 14 novembre 2012
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semplice, ma toccante
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Goro Miyazaki non è Hayao, anche se lo zampino del genitore in questa pellicola si vede.
E La collina dei papaveri non è Laputa e non è Nausicaa, anche se i temi di sfondo sono gli stessi, soltanto più discreti e mascherati.
Questo lungometraggio di animazione è un curioso, delicato mix tra cultura, storia e buoni sentimenti, ideali, rapporti umani. C'è un po' di tutto nel calderone, amore e amicizia a volte confusi, storie a tratti malinconiche, ricordo, memoria... e nonostante questa grande mole di cose rimane un buon prodotto perchè è delicato e non invadente, perchè riesce a trasmettere i suoi messaggi senza trafare, perchè è sorretto da un disegno e un'animazione estremamente descrittiva e bellissima come in tutti i film dello Studio Ghibli, curata nei particolari, con un marchio di fabbrica inconfondibile.
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Goro Miyazaki non è Hayao, anche se lo zampino del genitore in questa pellicola si vede.
E La collina dei papaveri non è Laputa e non è Nausicaa, anche se i temi di sfondo sono gli stessi, soltanto più discreti e mascherati.
Questo lungometraggio di animazione è un curioso, delicato mix tra cultura, storia e buoni sentimenti, ideali, rapporti umani. C'è un po' di tutto nel calderone, amore e amicizia a volte confusi, storie a tratti malinconiche, ricordo, memoria... e nonostante questa grande mole di cose rimane un buon prodotto perchè è delicato e non invadente, perchè riesce a trasmettere i suoi messaggi senza trafare, perchè è sorretto da un disegno e un'animazione estremamente descrittiva e bellissima come in tutti i film dello Studio Ghibli, curata nei particolari, con un marchio di fabbrica inconfondibile.
Purtroppo i difetti più fastidiosi che ho riscontrato sono quelli aggiunti a posteriori e legati alla pubblicazione italiana.
Innanzi tutto la scelta di proiettare il film solo per un giorno, il 6 novembre, e poi mai più. Una scelta quantomeno stupida e che, purtroppo, denota ancora chiaramente come l'animazione giapponese sia considerata un prodotto di serie B, da bambini, senza morale o contenuti. Sono andata a vedere al cinema Brave-Ribelle, qualche mese fa, e sono stata a vedere La collina dei papaveri e nonostante il primo fosse un film Disney in animazione 3D credo che il secondo non avesse nulla di nulla da invidiargli, a parte forse una campagna pubblicitaria fin troppo aggressiva rispetto al prodotto che poi si è rivelato. La collina dei papaveri non è un film da bambini più di quanto lo possa essere Brave, perchè dunque continua a sussistere questa discriminazione? Piuttosto che cambiare lentamente il modo di pensare dello spettatore, insegnandogli che ci sono prodotti come Mononoke Hime, Nausicaa e La città incantata che non hanno niente di infantile, le case italiane preferiscono attenersi al solito ritornello. Se un film non è proprio un campione d'incassi, come successo con Howl o con La città incantata, allora la sua proiezione è fatta solo per periodi brevissimi e la realizzazione tecnica tanto tecnica non è. Vogliamo parlare di "tecnico" riferito al doppiaggio da mani nei capelli che è stato dato a questo lungometraggio? Dialoghi ingessati, fraseggio a volte scorretto, traduzione letterale non esattamente consona al messaggio che voleva essere trasmesso... si poteva fare di molto meglio. Purtroppo, come già accaduto nel recente ri-doppiaggio di Laputa - Il castello nel cielo (il cui doppiaggio italiano originale era superlativo), viene tollerato anche un lavoro un po' alla carlona perchè tanto "il pubblico a cui è indirizzato è già troppo felice di avere questo prodotto realizzato nella sua lingua per lamentarsi anche del modus". Solita mentalità italiana.
Insomma, il film, che come detto non è un capolavoro ma ha una sua dignità, soffre più per il trattamento che gli è stato riservato. Si tratta comunque di un prodotto godevolissimo adatto a tutte le fasce d'età, dai bambini che possono essere catapultati nel colorato e ormai sorpassato mondo del Quartiere Latin, del porto di Yokohama e di un Giappone anni '60 diverso da quello a cui ci hanno abituati i cartoni più moderni. Anche gli adulti potranno trovare gradevole il film, ricordi del passato, abitudini semplici e domestiche da riscoprire, sentimenti forti e ideali veri compongono la trama di questo lungometraggio permettendo anche a loro di sognare.
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leo 1993
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martedì 11 giugno 2013
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un bel messaggio, sfondi stupendi, regia prolissa
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Siamo a Yokohama (Giappone) nei primi anni '60 qualche anno dopo della fine della guerra di Corea.
Le vicende si svolgono intorno al “Quartier Latin”: edificio storico utilizzato dai ragazzi della scuola limitrofa per ritrovarsi e riunirsi in gruppi, ciascuno appassionato di una particolare disciplina: ci sono i chimici, gli astronomi, un povero e grottesco ragazzo appassionato di filosofia che stenta a trovare seguaci, e poi c'è il club letterario che si occupa anche della redazione del giornalino scolastico.
La protagonista è una studentessa di nome Umi, orfana del padre marinaio, in onore del quale issa ogni mattina due bandiere davanti a casa sua che possono essere viste dalle navi che transitano in quel tratto di mare su cui si affaccia l'abitazione.
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Siamo a Yokohama (Giappone) nei primi anni '60 qualche anno dopo della fine della guerra di Corea.
Le vicende si svolgono intorno al “Quartier Latin”: edificio storico utilizzato dai ragazzi della scuola limitrofa per ritrovarsi e riunirsi in gruppi, ciascuno appassionato di una particolare disciplina: ci sono i chimici, gli astronomi, un povero e grottesco ragazzo appassionato di filosofia che stenta a trovare seguaci, e poi c'è il club letterario che si occupa anche della redazione del giornalino scolastico.
La protagonista è una studentessa di nome Umi, orfana del padre marinaio, in onore del quale issa ogni mattina due bandiere davanti a casa sua che possono essere viste dalle navi che transitano in quel tratto di mare su cui si affaccia l'abitazione.
Umi conoscerà Shun, un ragazzo che si occupa della redazione del giornalino scolastico, e grazie a lui la ragazza parteciperà ad un'assemblea studentesca indetta per decidere se e come ristrutturare e modernizzare lo storico edificio tanto caro ai ragazzi.
Qui si apre una magnifica discussione sull'importanza delle tradizioni, ma anche sull'importanza dell'innovarsi sempre però nel rispetto del passato senza dimenticare la storia.
Tutto si complica quando gli studenti vengono a sapere che il loro amato “Quartier Latin” dovrà essere demolito, i giovani allora dovranno ingegnarsi per salvare il luogo dei loro ritrovi, dei loro esperimenti e delle loro discussioni.
Parallelamente Shun e Umi iniziano a palesare i forti sentimenti che provano l'uno per l'altra, ma una sconvolgente verità verrà a galla ed impedirà ai due di essere felici insieme.
L'ultima parte del film si concentra sul triste passato delle famiglie dei due protagonisti, entrambe segnate dalla guerra di Corea.
Il finale seppur abbastanza semplice risulta comunque toccante ed emozionante.
Nonostante abbia una trama originale e interessante il film risulta molto lento e a tratti noioso a causa delle troppe scene ripetitive e a causa di interminabili sequenze utili solo per arrivare ai 90 minuti di durata.
La regia di Goro Miyazaki (figlio del celeberrimo Hayao) quindi non brilla assolutamente risultando in alcuni punti prolissa e faticosa.
Senza dubbio le sue abilità si sono affinate rispetto al suo primo film diretto (“I racconti di Terramare”), ma la strada che ha da percorrere è ancora lunga, ma continuando nella giusta direzione Goro può crearsi un suo stile e deliziarci con ottime pellicole.
Nulla da dire invece sugli sfondi: le luci, le sfumature e i colori sono curatissimi in ogni dettaglio e immergono la vicenda in un sontuoso ambiente di sottofondo (in puro stile Ghibli): fantistico ogni aspetto del Quartier Latin, prima trascurato e polveroso poi pulito e splendente.
Molto positivo anche il messaggio proposto ovvero, come detto sopra, l'importanza di avanzare e di rinnovare senza radere al suolo il passato e la memoria di chi non c'è più.
E' proprio questa missiva il filo conduttore di tutto il film: non si limita alla scena dell'assemblea e alle vicende riguardanti il Quartier Latin, ma coinvolge anche la vita e storia dei due personaggi principali Umi e Shun, risultando così il collante di tutto.
Quindi possiamo dire che nel complesso “La collina dei papaveri” è un film godibile, ma la prolissità della regia appesantisce la visione e stanca lo spettatore.
La colonna sonora, molto arzilla e vivace, contrasta anche se in minima parte, alla lentezza con cui il film si svolge in particolari punti.
“La collina dei papaveri” poteva essere un signor anime, ma purtroppo la regia di Goro Miyazaki non è stata all'altezza della situazione, e adesso ci troviamo un buon prodotto ma niente di più.
VOTO:6/10
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ilaria pasqua
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venerdì 16 maggio 2014
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il passato è importante
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Yokohama 1963. È il periodo successivo alla guerra e il Giappone sta cercando di rialzarsi in piedi.
Umi ha sedici anni e ogni mattina alza due bandiere di segnalazione marittima come faceva prima che suo padre morisse nella guerra di Corea 8 anni prima. Umi vive in una grande casa sulla collina dei papaveri con i fratelli e la nonna mentre la mamma, professoressa universitaria, è sempre assente.
Nell’ambiente scolastico è periodo di rivolta. Gli studenti discutono sulla necessità di salvare il Quartier Latin, edificio in cui hanno sede i club scolastici, fatiscente sì, ma che racchiude la storia dell’Istituto e della cultura.
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Yokohama 1963. È il periodo successivo alla guerra e il Giappone sta cercando di rialzarsi in piedi.
Umi ha sedici anni e ogni mattina alza due bandiere di segnalazione marittima come faceva prima che suo padre morisse nella guerra di Corea 8 anni prima. Umi vive in una grande casa sulla collina dei papaveri con i fratelli e la nonna mentre la mamma, professoressa universitaria, è sempre assente.
Nell’ambiente scolastico è periodo di rivolta. Gli studenti discutono sulla necessità di salvare il Quartier Latin, edificio in cui hanno sede i club scolastici, fatiscente sì, ma che racchiude la storia dell’Istituto e della cultura. Questa protesta si allarga ampiamente andando a toccare i temi caldi di quel periodo. In un paese come il Giappone che si sta rimodernando velocemente non c’è più spazio per il passato. Ma come si può pensare al futuro se si dimentica il passato? È la domanda che pone Shun, studente diciassettenne a capo del giornale della scuola.
Umi propone di ristrutturare l’edificio per dargli una nuova possibilità, così tutti gli studenti si mettono al lavoro e collaborano insieme per preservare quel passato su cui la società cerca di passar sopra.
La ragazza non sa che Shun ogni mattina alza le due bandiere dal rimorchiatore del padre adottivo, in risposta alle sue.
Quando i due si incontreranno a scuola nascerà ben più di un’amicizia, ma vecchie storie familiari creeranno enormi e forse insormontabili problemi.
La collina dei papaveri è un film di Goro Miyazaki. La sceneggiatura è del padre Hayao e nonostante questo il film ha più di una pecca. Il risultato non è quello che ci si aspetta solitamente dal genio di Miyazaki. Anzi, ci si tiene abbastanza lontano. E forse ne so il motivo: l’ambientazione storica, tutta in città, toglie quella magia, quell’aura fiabesca che è fortissima nei film di Miyazaki padre e che anzi ne è il cuore pulsante. Ma è chiaro che anche il figlio sia alla ricerca della sua chiave stilistica.
Sia chiaro, non sto dicendo che non l'ho apprezzato ma che ho trovato la storia molto debole nel complesso, anche se gradevole. È un film che si lascia guardare e che illumina una parte della storia del Giappone di cui non ero a conoscenza. Il decentramento delle vicende ci mostra uno spaccato della vita di un Giappone che forse non esiste più. Si respira un’aria diversa.
Ecco il pregio: la grandissima cura dell’ambientazione di quel periodo, sin nei minimi dettagli, con quei colori splendenti tipici dello Studio Ghibli, e la capacità di trasportarci lì, di farci respirare gli anni '60 di una città che non è la capitale. Sull’animazione invece non ho assolutamente nulla da dire, come al solito.
I personaggi sono caratterizzati bene ma la loro evoluzione è funzionale alla storia, al desiderio di salvare il Quartier Latin.
Del film invece ricorderò sempre i lavori nel Quartier Latin, i personaggi secondari alle prese con i loro piccoli club. La coralità, piuttosto che l’individualità. Non so se fosse voluto, ma è già tanto, certamente.
In conclusione La collina dei papaveri non è un film che eccelle, non riesce a raggiungere gli alti standard degli altri capolavori dello Studio Ghibli, ma ha una sua anima e si lascia guardare con piacere e coinvolgimento.
Recensione pubblicata in origine su: www.ilariapasqua.net
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tiamaster
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lunedì 25 marzo 2013
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avanzare, ma mai dimenticare
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Goro Miyazaki, figlio del celeberrimo Hayao Miyazaki che è, a mio parere, il più grande regista di film d'animazione mai vissuto (sì, a mio parere anche meglio di Walt Disney, basti vedere "La città incantata" o "Il castello errante di Howl"), dopo una non esaltante opera prima registica, ci regala "La collina dei papaveri", scritta proprio dal suo leggendario padre.
Il tocco di Hayao si riconosce subito grazie ad una sceneggiatura stratosferica, ricca di contenuti come l'importanza di avanzare senza dimenticare il passato (rappresentata ovviamente dalla vicenda del Quartier Latin) e capace di costruire una qualità di rapporti tra i personaggi superiore anche a moltissimi film "reali". E con questo mi riferisco al amicizia tra i due prottagonisti (e ai colpi di scena legati ad essi), che propongono rifflesioni importanti e molto mature.
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Goro Miyazaki, figlio del celeberrimo Hayao Miyazaki che è, a mio parere, il più grande regista di film d'animazione mai vissuto (sì, a mio parere anche meglio di Walt Disney, basti vedere "La città incantata" o "Il castello errante di Howl"), dopo una non esaltante opera prima registica, ci regala "La collina dei papaveri", scritta proprio dal suo leggendario padre.
Il tocco di Hayao si riconosce subito grazie ad una sceneggiatura stratosferica, ricca di contenuti come l'importanza di avanzare senza dimenticare il passato (rappresentata ovviamente dalla vicenda del Quartier Latin) e capace di costruire una qualità di rapporti tra i personaggi superiore anche a moltissimi film "reali". E con questo mi riferisco al amicizia tra i due prottagonisti (e ai colpi di scena legati ad essi), che propongono rifflesioni importanti e molto mature. Purtroppo però se il maestro Hayao non si smentisce mai, è sempre comunque evidente che il talento di Goro, per quanto notevole, è lontano anni luce dal padre. Hayao, con inquadrature, dettagli, attimi, riusciva a far sì che una singola immagine "parlasse", emozionasse, rapisse senza bisogno di parole, trasportandoci in un mondo di poesia e emozioni. Goro, purtroppo si limita ad un ottima messa in scena. Il prodotto finale rimane comunque notevolissimo, profondo, intelligente e superiore al 80% degli odierni film DIsney e Dreamworks. Tanto di cappello a Goro, ma il padre è un genio irraggiungibile...
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jackiechan90
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venerdì 14 agosto 2015
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un film sul passato che parla al presente
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Secondo film diretto da Goro Mihazaky, sotto la supervisione del padre Hayao, e sicuramente quello che ha avuto finora più successo, sia di critica che di pubblico. Pur mantenendo l’impostazione del padre, il film si discosta sotto molti aspetti dalla poetica mihazakiana. Viene, infatti, completamente abbandonata la componente favolistica di sogno a favore di un soggetto che potremmo definire “neorealista”, ambientato durante la ricostruzione del Giappone nel secondo dopoguerra, all’indomani delle Olimpiadi di Tokyo del 1964. Il film ricostruisce la vita in una scuola del Giappone gestita da alcuni gruppi scolastici. Tra questi vi è quello del “Quartier Latin”, un vecchio edificio abbandonato dove alcuni studenti si ritrovano per fare le loro attività.
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Secondo film diretto da Goro Mihazaky, sotto la supervisione del padre Hayao, e sicuramente quello che ha avuto finora più successo, sia di critica che di pubblico. Pur mantenendo l’impostazione del padre, il film si discosta sotto molti aspetti dalla poetica mihazakiana. Viene, infatti, completamente abbandonata la componente favolistica di sogno a favore di un soggetto che potremmo definire “neorealista”, ambientato durante la ricostruzione del Giappone nel secondo dopoguerra, all’indomani delle Olimpiadi di Tokyo del 1964. Il film ricostruisce la vita in una scuola del Giappone gestita da alcuni gruppi scolastici. Tra questi vi è quello del “Quartier Latin”, un vecchio edificio abbandonato dove alcuni studenti si ritrovano per fare le loro attività. L’edificio però sta per essere demolito, in linea con le direttive della scuola che vuole cancellare tutto ciò che ricorda il passato. Da qui parte la campagna degli studenti per rimettere a nuovo l’edificio perché, come afferma Shun, il leader della rivolta studentesca, “Come si può pensare di costruire un futuro se si dimentica il proprio passato?”. La ricerca del passato è il leitmotiv di questo film e la sua domanda ontologica. La ricerca del passato è quella del Giappone, paese dove convivono riti folkloristici e quartieri avveniristici. Ma è anche al ricerca sul proprio passato e sulle loro famiglie che dovranno fare Umi e Shun, i due protagonisti della storia, per risolvere una loro questione privata che avrà conseguenze, per l’appunto, sul loro futuro insieme. Mihazaky junior dirige un film che scava nelle fondamenta della storia giapponese del passato ma rivolgendosi in realtà a quella presente, anche lei sempre in bilico tra tradizione e futuro. Ed è interessante rileggere con gli occhi di oggi questo film del 2006, quest’anno in cui si ricordano i 70 anni dallo scoppio della bomba atomica e nel quale all’interno dello studio Ghibli, si assiste a una piccola rivoluzione con la nuova generazione di animatori (tra cui lo stesso regista del film) che si prepara a sostituire i fondatori Mihazaki senior e Takahata. Se la strada è quella intrapresa da questo piccolo ma ben confezionato film, che mantiene la grafica dei film di Hayao Mihazaky ma con soggetti più “adulti” e una maggior ricerca stilistica nei movimenti e nelle espressioni dei personaggi (più ricercata, a mio avviso, rispetto agli ultimi film di Hayao), possiamo sperare che l’esito sarà senz’altro positivo.
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jackiechan90
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venerdì 14 agosto 2015
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un film sul passato che parla al presente
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Secondo film diretto da Goro Mihazaky, sotto la supervisione del padre Hayao, e sicuramente quello che ha avuto finora più successo, sia di critica che di pubblico. Pur mantenendo l’impostazione del padre, il film si discosta sotto molti aspetti dalla poetica mihazakiana. Viene, infatti, completamente abbandonata la componente favolistica di sogno a favore di un soggetto che potremmo definire “neorealista”, ambientato durante la ricostruzione del Giappone nel secondo dopoguerra, all’indomani delle Olimpiadi di Tokyo del 1964. Il film ricostruisce la vita in una scuola del Giappone gestita da alcuni gruppi scolastici. Tra questi vi è quello del “Quartier Latin”, un vecchio edificio abbandonato dove alcuni studenti si ritrovano per fare le loro attività.
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Secondo film diretto da Goro Mihazaky, sotto la supervisione del padre Hayao, e sicuramente quello che ha avuto finora più successo, sia di critica che di pubblico. Pur mantenendo l’impostazione del padre, il film si discosta sotto molti aspetti dalla poetica mihazakiana. Viene, infatti, completamente abbandonata la componente favolistica di sogno a favore di un soggetto che potremmo definire “neorealista”, ambientato durante la ricostruzione del Giappone nel secondo dopoguerra, all’indomani delle Olimpiadi di Tokyo del 1964. Il film ricostruisce la vita in una scuola del Giappone gestita da alcuni gruppi scolastici. Tra questi vi è quello del “Quartier Latin”, un vecchio edificio abbandonato dove alcuni studenti si ritrovano per fare le loro attività. L’edificio però sta per essere demolito, in linea con le direttive della scuola che vuole cancellare tutto ciò che ricorda il passato. Da qui parte la campagna degli studenti per rimettere a nuovo l’edificio perché, come afferma Shun, il leader della rivolta studentesca, “Come si può pensare di costruire un futuro se si dimentica il proprio passato?”. La ricerca del passato è il leitmotiv di questo film e la sua domanda ontologica. La ricerca del passato è quella del Giappone, paese dove convivono riti folkloristici e quartieri avveniristici. Ma è anche al ricerca sul proprio passato e sulle loro famiglie che dovranno fare Umi e Shun, i due protagonisti della storia, per risolvere una loro questione privata che avrà conseguenze, per l’appunto, sul loro futuro insieme. Mihazaky junior dirige un film che scava nelle fondamenta della storia giapponese del passato ma rivolgendosi in realtà a quella presente, anche lei sempre in bilico tra tradizione e futuro. Ed è interessante rileggere con gli occhi di oggi questo film del 2006, quest’anno in cui si ricordano i 70 anni dallo scoppio della bomba atomica e nel quale all’interno dello studio Ghibli, si assiste a una piccola rivoluzione con la nuova generazione di animatori (tra cui lo stesso regista del film) che si prepara a sostituire i fondatori Mihazaki senior e Takahata. Se la strada è quella intrapresa da questo piccolo ma ben confezionato film, che mantiene la grafica dei film di Hayao Mihazaky ma con soggetti più “adulti” e una maggior ricerca stilistica nei movimenti e nelle espressioni dei personaggi (più ricercata, a mio avviso, rispetto agli ultimi film di Hayao), possiamo sperare che l’esito sarà senz’altro positivo.
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mauser
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mercoledì 14 novembre 2012
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tavolozza di colori e buoni sentimenti
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Goro Miyazaki non è Hayao e si vede, ma si riconosce una certa classe nel suo lavoro.
La collina dei papaveri probabilmente non è un capolavoro, ma è un buon film opportunamente farcito di attenzione, sapiente tecnica di animazione e una storia abbastanza interessante.
Con questo titolo lo Studio Ghibli ha puntato su una storia che negli anni '80 fu un autentico successo, combinazione di tantissimi ingredienti diversi dei più in voga all'epoca: rimaneggiando il manga originario per adattarlo al video il lavoro di talio e cucito è stato tanto, ma nel complesso il risultato animato non ha niente da invidiare a quello cartaceo, anzi riesce ad essere un mezzo addirittura più efficace per trasmettere i messaggi originali di aiuto reciproco, amicizia, solidarietà, rispetto di cultura e tradizione.
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Goro Miyazaki non è Hayao e si vede, ma si riconosce una certa classe nel suo lavoro.
La collina dei papaveri probabilmente non è un capolavoro, ma è un buon film opportunamente farcito di attenzione, sapiente tecnica di animazione e una storia abbastanza interessante.
Con questo titolo lo Studio Ghibli ha puntato su una storia che negli anni '80 fu un autentico successo, combinazione di tantissimi ingredienti diversi dei più in voga all'epoca: rimaneggiando il manga originario per adattarlo al video il lavoro di talio e cucito è stato tanto, ma nel complesso il risultato animato non ha niente da invidiare a quello cartaceo, anzi riesce ad essere un mezzo addirittura più efficace per trasmettere i messaggi originali di aiuto reciproco, amicizia, solidarietà, rispetto di cultura e tradizione.
La quantità di temi che il film tocca, senza approfondirne se non un paio, è davvero notevole e questa potrebbe essere la critica più grande da rivolgergli, alcune scene sono toccate con un buonismo ed una semplicità effettivamente poco credibili ed ecco perchè in tanto l'hanno additato come "film buonista per bambini, senza una storia che stia davvero in piedi". Io bambina non lo sono più, ma il film mi è ugualmente piaciuto molto perchè è un sapiente mix di ingredienti, seppure non perfetto. E' adatto sia ai più piccoli, coinvolti nel ondo chiassoso e colorato del Quartier Latin, della casa sulla collina, della vita quotidiana degli anni '60 e della natura che ancora si infila tra la città, sia agli adulti che vedono un prodotto eccezionalmente realizzato dal punto di vista tecnico e stilistico, forme ultimo baluardo di un'animazione fatta a mano che ormai tutte le case occidentali stanno abbandonando dopo decenni di grandi glorie. La collina dei papaveri è un monumeto alla memoria anche da questo punto di vista: alla fine il 3D è il 3D, ma come il disegno fatto a mano... non c'è nulla.
I peggiori difetti di questo lungometraggio, comunque, non sono da ricercare nel film stesso, ma nel modo distratto e poco curato con cui, ancora una volta, il prodotto orientale di animazione è stato portato in Italia.
La nota più dolente è senz'altro la programmazione in sala: un solo giorno, il fantomatico 6 novembre, e poi sparito per sempre. Non si può certo dire che sia una scelta strategicamente valida ed è ancor di più sinonimo di quanto ancora l'animazione nipponica sia etichettata in Italia come di serie B, prodotti esclusivamente per bambini e senza il minimo interesse. A tal proposito posso dire, avendoli visti entrambi, che La collina dei papaveri non ha niente da invidiare al ben più famoso Brave-Ribelle, salvo una campagna di sponsor adeguata (addirittura martellante).
Piuttosto che cercare di cambiare l'immaginario di chi ancora crede che tutto ciò che proviene dal Giappone siano ragazzini dalla bocca larga e trame inesistenti proponendogli i film della tradizione miyazakiana, da Nausicaa a Mononoke Hime, si preferisce portare avanti questo (s)comodo stereotipo.
Quindi è un film già nato sfortunato in Italia con la messa in onda di un solo giorno per il quale gli appassionati devono riorganizzarsi la settimana intera e gli impegni perchè non si replicherà più.
Un altro problema riscontrato, e che purtroppo accomuna tutti i film giapponesi di animazione, è il doppiaggio. La Kazè continua ad avere un livello di inascoltabilità irraggiungibile, ma con gli ultimi prodotti la Lucky Red ha rimostrato di poter essere altrettanto incapace. Il nuovo doppiaggio di Laputa - Il castello nel cielo si era configurato come deprimente (un vero peccato visto che l'originale italiano era perfetto) caratteristica ritrovata anche ne La collina dei papaveri dove una traduzione non esattamente fedele ma piuttosto letterale, un linguaggio eccessivamente formale e una piattezza nella dialettica totalmente inespressiva si aggiungono ad aggravare la situazione del film, affossato definitivamente più dal suo stesso produttore che dal pubblico il quale forse, in circostante più favorevoli, si sarebbe volentieri prestato per questo tipo di animazione delicatissima, alla riscoperta della semplicità del sentimento e del gesto, di tradizioni non proprie della nostra cultura, ma descritte magnificamente. Un mondo che non esiste più, ma che torna ad esprimersi con la regia di Goro, la sceneggiatura di Miyazaki padre e l'inconfondibile abilità artistica dello Studio Ghibli con la sua cura per il particolare, l'espressione, il fondale...
Un prodotto piacevole e godevole che meritava un altro trattamento.
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