Il villaggio di cartone

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Un film di Ermanno Olmi. Con Michael Lonsdale, Rutger Hauer, Alessandro Haber, Massimo De Francovich, El Hadji Ibrahima Faye, Souleymane Sow.
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Drammatico, durata 87 min. - Italia 2011. - 01 Distribution uscita venerdì 7 ottobre 2011. MYMONETRO Il villaggio di cartone * * * 1/2 - valutazione media: 3,64 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Ermanno Olmi: il ritorno Valutazione 3 stelle su cinque

di sblob


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domenica 9 ottobre 2011

A dover parlare di un film di Ermanno Olmi si prova un certo senso di inadeguatezza. Sarebbe un po' come dire al Padre Eterno: sì, bello 'sto tramonto, però, ecco però io a quel viola avrei dato una tonalità tendente al turchese, sfumando nella parte alta; notevole questa quercia, se soltanto non fosse così rigida ma mostrasse un accenno di cedevolezza; e così via. Certo il Creatore (quello con la C maiuscola) ha prodotto talmente tanto e con una varietà di temi che è difficile trovare qualcosa che non piaccia, senza contare l'effetto 3D e le grandi dimensioni. Così eccoci al cospetto della nuova creazione di Ermanno Olmi (ottantenne instancabile e infaticabile) dopo l'annuncio di non voler fare più film ma solo documentari (ultimo il bellissimo, interessantissimo e, per certi versi inquietante -vedi racconto del centro tra i ghiacci dove vengono conservati i semi di ogni specie vegetale tipo Arca di Noè -Terra Madre). Ha cambiato idea o forse avevamo frainteso. In un caso o nell'altro, meglio così. Perché, nonostante tutto, Il villaggio di cartone, è un bel film. Ovviamente siamo di fronte all'opera di uno che non si può definire moderato. Le idee ce le ha chiare, sempre avute chiare e non ha mai dato segni di tentennamento. Un rigore nel portare avanti le sue convinzioni che mi fa pensare a chi, se gli è finito il caffè e deve scegliere tra l'Esselunga sotto casa e il negozio equo e solidale dall'altra parte della città a piedi sotto un'acquazzone senza ombrello in un giorno di sciopero generale dei trasporti pubblici, non ha esitazioni e sceglie di mettersi le galosce e incamminarsi mangiando semi di lino. Finora abbiamo assistito da un lato al Papa morettiano che non se la sente di accettare il pontificato, dall'altro al racconto degli sbarchi su un'isola di Crialese. A fare il punto della situazione arriva Olmi e lo fa con un film che mescola realtà e rappresentazione allegorica della stessa realtà. Il regista, se affronta il tema attuale (da troppo tempo attuale e mai risolto) dell'immigrazione dei nostri dirimpettai d'Africa, lo fa inserendolo all'interno di un'altra storia, quella più intima di un sacerdote alle prese con la sua crisi di fede, come se lo spazio, sempre quello degli interni di una chiesa, fosse quasi la rappresentazione del dissidio interiore del vecchio parroco, come se fossimo nel suo cervello, per dirla in parole povere (e, se proprio vogliamo buttarci in una vivisezione dei fotogrammi, non sarebbe un caso che la prima cosa che vediamo a inizio film sia proprio il cranio dell'uomo). Quando entrano in azione le ruspe e gli operai addetti a smantellare l'arredo sacro della chiesa in dismissione comincia il bello, l'occhio di Olmi, il suo tocco registico si mostra in tutta la sua magnificenza: il carrello elevatore che entra sbuffando nella navata centrale e le sue gambe che si allargano come le zampe di un ragno, l'ascesa dei tecnici al crocifisso che pende in alto sull'altare, le panche smosse, le statue e i quadri imballati e una tenda, una cortina che cade come un sipario, cala, scivola, precipita svelando una stretta vetrata, svettante scheggia di ghiaccio, un triangolo che taglia il bianco dell'architettura svuotata. Non passerà molto che quel bianco vuoto si animi di sagome nere, le più belle sagome nere dai tempi dell'Orfeo negro di Marcel Camus. E se in quel film era il mito di Orfeo e Euridice a essere portato a Rio de Janeiro, qui non siamo molto lontani da una rappresentazione mitica: i gesti misurati degli attori, i passi attenti, le movenze solenni, tutto fa pensare di essere davanti a un rito, a una specie di liturgia. Mirabile è la lunga sequenza dell'allestimento del villaggio nella chiesa, tra vecchie panche, pannelli dell'oratorio, tessuti recuperati nel magazzino e infine il trasporto del pesante bacile dell'acquasantiera sotto un oculo-lucernario da cui viene giù l'acqua dell'incessante pioggia all'esterno. Come in un corto circuito mentale, nascono dissidi all'interno del gruppo di accampati, si raccontano storie, arrivano dall'esterno i rapprentanti di un gruppo di sicurezza (pseudo garanti della legalità) che indossano elmetti con una S appiccicata sopra (e capitanati da un bravo Alessandro Haber), arriva pure un medico con i suoi dubbi. E in tutto questo trambusto si muove il prete (interpretato da Michael Lonsdale, ultimamente avvistato nel film Uomini di Dio) alle prese con la sua crisi e con una televisione vecchia come lui che non ha più l'audio e trasmette le immagini del mare e di un rudere di barca abbandonato sulla battigia. Certo la sensazione è che in una novantina di minuti Olmi abbia spremuto gran parte della sua poetica, forse rinunciando a un più ampio respiro o approfondimento e che si ecceda in patetismo (a partire dall'immagine del Cristo) ma la vicinanza, l'accostarsi all'essere umano, il suo raro dono di sentire il prossimo (senza essere sguaiatamente evangelico) sono impareggiabili e le parole del venditore di libri africano non sono poi così ovvie.

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