Un ragazzino abbandonato in una casa famiglia, irruento e ingestibile, disperatamente legato al padre.
Un padre in crisi esistenziale, fragile e immaturo, in fuga dalle sue responsabilità.
Tra di loro una bici da cross. La bicicletta è tutto per il giovane Cyril. Non è solo l’unico regalo del padre rimastogli, è anche il mezzo indispensabile per poterlo caparbiamente cercare, per sfogare la sua rabbia con furibonde pedalate e non arrendersi di fronte al dramma di essere stato rifiutato dal genitore, l’evento più terribile che possa capitare ad un bambino. Per questo la perdita della bici, venduta ignobilmente dall’inetto papà, costituirebbe sicuramente un colpo insuperabile per la fragile personalità del ragazzino, fortuna vuole che nella sua strada Cyril incontri Samantha.
La parrucchiera del paesino, gentile e molto determinata, prima riesce a recuperare la bici poi decide di prendersi cura di Cyril. L’amicizia e la fiducia tra i due sarà suggellata in una gita in campagna proprio dallo scambio delle biciclette. Ma la strada da percorrere per ritrovare il sorriso e la serenità non è diritta, è dura ed impervia. Cyril non la saprà riconoscere se non alla fine, la sua testardaggine lo porta infatti verso strade sbagliate e a fidarsi di persone che gli faranno imboccare vicoli ciechi.
Anche in quest’ultimo film i pluripremiati fratelli Dardenne affrontano il tema del rapporto genitori-figli e le problematiche dell’infanzia in contesti sociali degradati, dove la disoccupazione e la povertà rendono precari anche i rapporti umani. Tra la drammaticità dello stile neo-realista e semi-documentaristico dei film precedenti, come il disperato “Il matrimonio di Lorna” o il crudo “L’enfant” , e la delicatezza della commovente storia de “Il ragazzo con la bicicletta” c’è però un cambio di passo, una svolta sia nella forma che nei contenuti. I due registi abbandonano gli eccessi drammatici, pur senza stravolgere il loro stile autoriale, asciutto ed essenziale, sempre riconoscibile.
Non ci sono più scenari grigi e degradati ma paesaggi luminosi e il calore dell’estate. La macchina da presa pedina e circonda Cyril e Samantha ma con discrezione ed equilibrio, senza quei movimenti febbrili e nervosi presenti nelle pellicole precedenti. Ma soprattutto la novità che i cineasti belgi portano ne “Il ragazzo con la bicicletta” è il lieto finale, il senso di ottimismo e la positività che ci vengono trasmessi dal legame tra Samantha e Cyril. Qualche critico ha definito il film una fiaba moderna, in effetti gli archetipi della favola ci sono tutti. Gli stessi fratelli Dardenne hanno dichiarato che la storia di Cyril “potrebbe anche essere una favola: il bambino che cerca il padre, il bosco dove si perde, l'incontro con il cattivo, la salvezza con la fata buona. Lo stesso Cyril è un po' un Pinocchio. Deve attraversare delle prove attraverso le quali perde tutte le sue illusioni fino a diventare saggio. Ma per noi è soprattutto un incontro felice tra una donna e un ragazzino, una storia d'amore che non avevamo mai raccontato".
Dal mio punto di vista la chiave e la bellezza del film son date proprio dalla sincerità e dalla gratuità dell’atto d’amore di Samantha. Al centro di tutto c’è il sentimento puro, incondizionato, non il facile sentimentalismo strappalacrime, nella vicenda del “ ragazzo con bicicletta” non c’è spazio per il moralismo né per romanticismi stucchevoli. I dialoghi sono asciutti, essenziali, al servizio della storia, ma soprattutto veri e credibili. Lo spessore psicologico che caratterizza i due protagonisti e la notevole bravura dei due attori che li interpretano (la superba Cecile De France e il sorprendente giovane esordiente Thomas Doret) evidenziano la progressiva maturazione di Cyril e la scoperta dell’affetto reciproco senza nessun bisogno di spiegarne i motivi, con estrema naturalezza. L’atto d’amore non deve essere giustificato a tutti i costi. Non è importante conoscere il passato di Samantha, né sapere perché è disposta a tutto, anche a lasciare il fidanzato, pur di aiutare Cyril. Del resto anche delle motivazioni della scelta del padre il film dice veramente poco, della madre addirittura nessun accenno.
I fratelli Dardenne con questo ennesimo bel film dimostrano che il cinema, come la vita, per commuovere non ha bisogno di complicate costruzioni narrative o di effetti speciali in tre dimensioni, a volte basta un ragazzino, una bicicletta e un sorriso liberatorio.
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