Vento di primavera

Quel treno senza ritorno

Il piccolo Nono (Mathieu Di Concerto) corre lungo i binari della stazione di Drancv. È felice, e non bada al suo orsacchiotto chc gli sfugge di mano. Gli han detto che un treno lo riporterà da sua madre Bella (Svlvie Testud), partita due settimane prima da quello stesso binario. Siamo nell’estate del 1942, nella Francia occupata dai nazisti e “governata” da Philippe Pétain. Insieme con Nono con sua madre, fra il 16 e il 17 luglio altri 13,150 uomini e donne d'origine ebraica sono stati ammassati come cose nel VeI’dHiv, nel Velodromo d’Inverno di Parigi. Dopo qualche giorno li hanno portati al campo di Drancv, in attesa che la triste burocrazia ferroviaria di Adolf Eichmann provveda al trasporto. E ora Nono sta per partire. Auschwitz l’attende.
Di questo racconta “Vento di primavera” (“La rafle”, Francia, Germania e Ungheria): della retata eseguita con volonteroso entusiasmo dalla polizia francese per soddisfare l’odio di Hitler, e di tanti come lui. A guidare la regia e la sceneggiatura di Rose Bosch è stata la testimonianza di Joseph Weisman, uno dei due sopravvissuti. Nel ‘42 Joseph era un ragazzino di undici anni, e ci piace pensare che avesse il sorriso chiaro e aperto di Hugo Leverdcz, che gli dà volto nel film. Con lui, e con la sua leggerezza colma di vita, altri ragazzini in quei giorni lontani attraversano la tragedia immaginando d'avere tuttavia un futuro. Lo stesso pensano i loro padri e le loro madri, certi che ci siano limiti giuridici, morali e umani che nessun odio può infrangere.
E la caduta dolorosa di quest’illusione il cuore profondo di “Vento di primavera”. Non sono che voci assurde quelle secondo cui questa notte verranno a prenderci. Così pensano migliaia di esseri umani segnati con una stella gialla. E quando li strappano dalle loro case, ancora pensano che ci sia comunque un senso, in quel che accade. S’illudono che l’odio si lasci contenere e guidare almeno dall'utile, se non dalla pietà. Ci porteranno in un campo di lavoro, immaginano. Per giorni e giorni non vale come smentita l’accanimento dei poliziotti. Poi, quando il treno arriva, non resta che l’orsacchiotto di Nono nella polvere della stazione di Drancv. È una storia lontana, quella di “Vento di primavera”, una storia ormai vecchia. Nessuno ormai potrebbe imbastirne di uguali. Così spesso torniamo a illuderci, di nuovo certi che l’odio prima o poi si lasci limitare, e che nel buio del suo entusiasmo si nasconda comunque un senso.
Da L'espresso, 03 febbraio 2011


di Roberto Escobar, 03 febbraio 2011