La dote è quella della violenza robusta e idealista degli anni ’70, declinata per strada, ma anche nelle tante pellicole a suffisso –violenta, di cui il nostro cinema è stato maestro, forse anche inconsapevolmente.
Coraggiosa, e neppure troppo ruffiana, al di là delle polemiche di routine, la scelta di Placido, che confeziona un biopic livido sui corpi e nelle tinte, dedicato ad uno che era nato per fare il ladro. Ma anche per far parlare di sé, per autocompiacersi della sua sfrontata bellezza criminale. Vallanzasca, il bel Renè, si staglia per due ore di film in tutto il suo magnetismo noir, e se un difetto c’è, è forse unicamente quello di aver scolpito un ritratto sin troppo statuario, dai lineamenti compiaciuti ed epici, quasi fosse un eroe di marmo da iconografia imperiale .
Ma c’è tutto intorno alla figura di uno straordinario e sottovalutato Kim Rossi Stuart, un’ encomiabile lavoro di tessitura e messa in piega di una malavita sanguinariamente dandy, che viene restituita in tutto il suo fascino deviato e nei toni della sua poetica impropria.
Sicuramente non sono specchietti per le allodole i richiami a Truman Capote, il film è tutto poggiato sulla risolutezza di gesti condotti a sangue freddo, perché non c’è tempo per la paura o la redenzione, tra chi è diventato adulto in fretta. L’ azione si dipana come un tango vertiginoso, scandito dalla nevrotica colonna sonora made in Negramaro, e mette in scena la storia del verbo ciullare coniugato in ogni salsa.
Trionfo di un “bandito da strada”, come sentenzia Fede in un frammento TG di repertorio ? Probabilmente molto di più, tra gli spigoli di quel ghigno malefico che Placido ha studiato e restituito con applicazione documentaristica, nel rimontare gli anni acidi firmati RV. Quando non si fa prendere troppo la mano dai sussulti agiografici, il film tiene bene in vita una sorta di tenerezza epica che scorre parallela con le gesta dei cowboy della Comasina. In tal senso, l’uscita di Renatino dalla banca, dopo la mattanza del suo Fausto, ha in sé lo stesso epos funereo di tanti capolavori gangster del passato. Così come vi è un sussulto di giustizia anomala, di cui quasi si avverte il bisogno, nel sacrificio rituale degli infami che hanno tradito un’amicizia, prima ancora che una banda.
Film visivamente scomodo, non bastano i meravigliosi costumi settanta a dare colore e sollievo, c’è una patina blu-grigio gabbia che avvolge tutto il proscenio e intasa lo stomaco. Insieme con il troppo sangue chirurgico, forse mostrato con esagerata generosità, fino a divenire molesto allo sguardo.
L’ impressione è che la delirante vicenda umana di Vallanzasca sia stata in sé un episodio cinematografico più straordinario di qualsiasi tentativo di raccontarla, ma onore al merito ad un film che, nel bilancio finale, riesce a restituire l’ equilibrio morale fuori ordinanza di un uomo che ha, per sua stessa ammissione, il lato oscuro un po’ pronunciato. L’ equazione è quella giusta. Mala sì, ma pur sempre vita.
[+] lascia un commento a massimiliano morelli »
[ - ] lascia un commento a massimiliano morelli »
|