The Way Back |
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Un film di Peter Weir.
Con Dragos Bucur, Colin Farrell, Ed Harris, Alexandru Potocean.
continua»
Drammatico,
durata 133 min.
- USA 2010.
- 01 Distribution
uscita venerdì 6 luglio 2012.
MYMONETRO
The Way Back
valutazione media:
3,14
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Uomini in fuga.di IuriVFeedback: 19621 | altri commenti e recensioni di IuriV |
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lunedì 9 novembre 2015 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Si dice ultimamente che le serie televisive stiano diventando il nuovo cinema. Forse è vero. Di sicuro c'è che, probabilmente, i produttori di questo The Way Back avrebbero potuto pensare di realizzarne una, visto l'ampio respiro di questa narrazione. O magari no, data l'importanza del finale circolare, atto a provocare commozione e labbra tremanti negli spettatori e che aveva bisogno di essere consumato a stretto giro. La scelta di Peter Weir nel raccontare questa storia è stata quella di prendersi tutto il tempo per esaltare l'ambientazione. Ed è una scelta giusta, visto che la natura è un personaggio attivo nella trama (direi il villain, ma è un sostantivo molto inadeguato). I ritmi sono sempre compassati per consentire la minuziosa descrizione dei fuggitivi in progressivo decadimento, e, soprattutto, del loro rapporto con un ambiente avaro di ricompense. Però l'esigenza di contenere il tutto in due ore di pellicola ha costretto Weir a più di un compromesso. A pagare le scelte stilistiche del regista sono le dinamiche della sopravvivenza. Costretto a sintetizzare il più possibile, spesso Weir fa uso di salti temporali di intere settimane, togliendo il sapore di un'impresa che, oltre alla fatica e al dramma (resi bene sullo schermo) ha portato via anche tempo. Ai personaggi con capita mai di avere bisogni biologici, che può sembrare una stupidaggine detta così. Eppure, in un racconto che non ha il sapore eroistico di storie analoghe (come La Grande Fuga, per esempio), la dimensione più brutalmente umana delle feci poco solide avrebbe fatto gran bene nel descrivere le difficoltà di un viaggio pressoché impossibile (anche se si tratta di una storia, dicono, vera). I personaggi in gioco sono (almeno inizialmente) parecchi. Gioco forza il regista punta i riflettori solo su alcuni di loro, tentando di far emergere dal magma qualche pietra solida su cui scolpire. Il risultato è altalenante. Lo schema a eliminazione aiuta la narrazione a far risaltare qualche caratteristica importante o, nel caso del protagonista, un obbiettivo superiore alla mera fuga dal gulag, ma il retrogusto che lascia è quello di caratteri dalla grana grossa (il cuoco, il comico, il criminale, il misterioso e tutta questa roba qui). Certo, Weir non è un regista da poco, quindi riesce a contrastare il tutto con spettacolari panoramiche del deserto mongolo, nelle quali appare evidente la potenza della natura rispetto a quei puntini scuri che sono gli umani mentre ci camminano in mezzo. E, del resto, le cose migliori del film vengono fuori tutte alla distanza, quando la pattuglia inizia ad assottigliarsi ed emergono alcuni tratti ulteriori, splendidamente evidenziati dalla cura che il regista mette nell'esaltare il paesaggio. Tanti i temi trattati, più o meno in sottofondo. Le brutture dei regimi totalitari, l'importanza del gruppo nell'esaltare le qualità individuali, la determinazione nel raggiungere uno scopo, la volontà come forza trainante e qualche schiaffo ai pregiudizi qui e la. Ci sarebbe anche la lotta tra l'umanità e la disumanizzazione, argomento che in un survival funziona sempre. Ma qui no. Magari perché trattasi di eventi realmente accaduti, il regista ci va piano con le brutalità degli uomini spinti allo stremo, forse perdendosi una chanche narrativa. Del resto il tempo era quello che era. Un film tutto sommato interessante ma dall'andamento altalenante. Nella seconda metà, e giù verso il finale, emotivamente da il meglio. Comunque due ore ben spese.
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