davidestanzione
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martedì 22 febbraio 2011
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bening e moore madri gay commoventi e divertenti
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Jules e Nic sono madri di due ragazzi concepiti attraverso inseminazione artificiale. Hanno dato ai figli dei nomi dannatamente cool, Joni e Laser, tenendoli totalmente all'oscuro sull'identità del loro effettivo genitore biologico. Non appena la maggiore, Joni, compie i diciott’anni, Laser le propone di contattare la banca del seme per scoprire finalmente chi sia il loro padre naturale. I due faranno allora la conoscenza di Paul, ragazzotto sulla trentina un po' alla buona ma tutt'altro che spiantato, che anni prima donò il suo seme per pochi dollari. Nonostante la sua vita sentimentalmente e sessualmente girovaga, Paul é innegabilmente alla ricerca di una stabilità e di un consolidamento che lo renda “adulto”, sotto il profilo familiare ed affettivo.
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Jules e Nic sono madri di due ragazzi concepiti attraverso inseminazione artificiale. Hanno dato ai figli dei nomi dannatamente cool, Joni e Laser, tenendoli totalmente all'oscuro sull'identità del loro effettivo genitore biologico. Non appena la maggiore, Joni, compie i diciott’anni, Laser le propone di contattare la banca del seme per scoprire finalmente chi sia il loro padre naturale. I due faranno allora la conoscenza di Paul, ragazzotto sulla trentina un po' alla buona ma tutt'altro che spiantato, che anni prima donò il suo seme per pochi dollari. Nonostante la sua vita sentimentalmente e sessualmente girovaga, Paul é innegabilmente alla ricerca di una stabilità e di un consolidamento che lo renda “adulto”, sotto il profilo familiare ed affettivo. Il legame coi suoi figli naturali, nato quasi per gioco, diverrà progressivamente più profondo, fino a scombussolare non poco gli equilibri emotivi del nucleo familiare che Jules e Nic alimentavano e gestivano con giocosa esuberanza e gaia leggerezza.
Sundance, Berlino, Roma, poi le nomination agli Oscar. La trafila de “I ragazzi stanno bene” da un festival all’altro, fino alle luccicanti statuette dorate, la dice lunga sul valore universale di un film produttivamente “indipendente” e socialmente preziosissimo. Lisa Cholodenko, autrice anche della sceneggiatura insieme a Stuart Blumberg, ritrae un curioso quadretto familiare evitando le ammiccanti pose di circostanza e i limitanti, restrittivi stereotipi di superficie. Anzi, la sua é una profondità emotiva scanzonata e irresistibile, una mano sicura dietro un intreccio familiare polifonico, spassionatamente al servizio della verosimiglianza e dell’aderenza dei suoi caratteri a realtà familiari e umane in continuo mutamento: le madri lesbiche interpretate con commovente bravura camaleontica dalle immense Annette Bening e Julianne Moore sono tra i personaggi gay più credibili e commoventi mai portati sullo schermo. Si trastullano col porno omosex, litigano, si punzecchiano, stanno accovacciate sul divano a discutere preoccupate dei figli che gli sfuggono e che adorano, incodizionatamente. Le sentiamo vicine perché sono tutt’altro che anticonvenzionali, il loro tentativo goffo e tenero di tenere in piedi una famiglia come se fosse un qualunque nido della middle class americana (quella delle villette a schiera tutte uguali e dei prati perfettamente curati, per intenderci) le rende umanamente tenerissime e quanto mai convenzionali nella loro disarmante sincerità e generosità. Come in molte famiglie (convenzionali), l’ingresso di un terzo incomodo è però causa di fragile instabilità e disunione, e importa poco se la new entry in questione non sia il collega di lavoro o il palestrato compagno di tennis ma il donatore di sperma dei loro figli: il Paul interpretato da un sorprendente Mark Ruffalo si inoltra nelle loro vita dalla porta sul retro, si tira a sé la loro/sua prole, si innamora di Jules (una Julianne Moore passionale e mascolina, strepitosa) e finisce quasi inconsapevolmente col “spodestare” dai vertici familiari la Nic di Annette Bening, capello corto puntuto e sguardo fiero, protettivo, occhialuto, corrucciato, da autentico pater familias (la sua interpretazione tira le corde dell’immedesimazione attoriale, e non si dimentica). Il “valore” della famiglia, quella tradizionale, quella vanamente strombazzata da molti politicanti e ciarlatani, è davvero destinata a trionfare, in barba a qualsiasi pomo della discordia?
“I ragazzi stanno bene” è un’opera toccante e poliedrica, umana e colorata, emotivamente diretta, il cui titolo ci restituisce il fine ultimo di una qualsiasi madre, lesbica o etero che sia. La Cholodenko sceglie ambientazioni familiari, assolate, quotidiane. Mescola risate e lacrime, brusche separazioni e abbracci corali che riempiono lo schermo. Laser guarda fuori dal finestrino, le sue madri si amano, sua sorella sta bene, i ragazzi stanno bene. Va tutto bene.
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[+] apparentemente tutto bene...
(di francesca50)
[ - ] apparentemente tutto bene...
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(di bertold)
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[+] età
(di sorella luna)
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laulilla
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mercoledì 16 marzo 2011
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scene da un matrimonio (gay)
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Due donne si amano da vent'anni, cioè da quando decidono di sposarsi e di metter su famiglia. Una di loro, Jules, ricorre per due volte all'inseminazione artificiale con lo stesso donatore di sperma, partorendo, perciò, in tempi diversi due ragazzi, che sono, perciò, un fratello e una sorella "veri". Come in tutti i matrimoni, i ruoli all'interno della coppia si definiscono e si stabilizzano, determinando un equilibrio che, col passare degli anni rivela i suoi limiti. Nic è medico, si dedica alla sua professione grazie alla quale porta a casa i soldi per mantenere i figli a scuola e Jules a casa, permettendole di dedicarsi alla cura dei due ragazzi, esattamente come per secoli è avvenuto per le coppie eterosessuali.
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Due donne si amano da vent'anni, cioè da quando decidono di sposarsi e di metter su famiglia. Una di loro, Jules, ricorre per due volte all'inseminazione artificiale con lo stesso donatore di sperma, partorendo, perciò, in tempi diversi due ragazzi, che sono, perciò, un fratello e una sorella "veri". Come in tutti i matrimoni, i ruoli all'interno della coppia si definiscono e si stabilizzano, determinando un equilibrio che, col passare degli anni rivela i suoi limiti. Nic è medico, si dedica alla sua professione grazie alla quale porta a casa i soldi per mantenere i figli a scuola e Jules a casa, permettendole di dedicarsi alla cura dei due ragazzi, esattamente come per secoli è avvenuto per le coppie eterosessuali. Questa divisione dei compiti diventa per Jules sempre più insoddisfacente: i ragazzi studiano, Joni, la più grande sta per lasciare la famiglia, alla volta dell'Università, mentre per Laser, il più piccolo, si prospetta una permanenza un po' più lunga con i genitori, ma anche la sua strada sarà di autonomia e indipendenza. Jules è architetto, ma non ha mai utilizzato la sua laurea: ora vorrebbe finalmente farlo, impegnandosi, lavorando, rendendosi autonoma, perché il ruolo della casalinga a tempo pieno non solo non serve più, ma le va sempre più stretto.
Come spesso avviene in un rapporto matrimoniale così impostato, i sentimenti passionali si trasformano in una routine da cui si vorrebbe evadere, le insoddisfazioni diventano mugugni, la coppia entra in crisi e si apre la strada a qualche scappatella.... In questo caso, la scappatella si chiama Paul, il donatore di sperma che i due ragazzi sono andati a cercare all'insaputa delle due mamme, ma che ora, con la sua irruzione nella vita di questa famiglia, scatena la gelosia un po' troppo possessiva di Nic. La crisi troverà la soluzione quando, in una bellissima e convincente autodifesa, Jules troverà le parole giuste per placare l'ira di Nic e le inquietudini dei ragazzi riportando la famiglia gay alla sua unità: il matrimonio (etero o gay) è difficile, la convivenza (etero o gay) è difficile, la convivenza di vent'anni(etero o gay) è ancora più difficile: la comprensione e la tolleranza reciproca sono necessarie alla durata della vita di coppia, di qualsiasi coppia, affinché l'amore continui ad alimentare la vita quotidiana di qualsiasi famiglia. Più semplice di così! Semplice perché in un paese rispettoso dei suoi cittadini e delle loro scelte, quali sono gli Stati Uniti, a tutti viene permessa anche quella piccola aspirazione alla felicità che qui da noi continua a essere vietata e stigmatizzata. Il film è gradevolissimo, ben scritto, ben recitato e ottimamente diretto dalla bravissima Lisa Cholodenko, che molto opportunamente si tiene lontano da un finale "normalizzante", pur a portata di mano, avendo inteso a fondo che, per una coppia gay, normalità è essere gay!
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[+] buona critica, ma....
(di aragornvr)
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[+] anche i gay hanno diritto ad essere convenzionali?
(di harancia)
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[+] ruoli e banalità e... normalità
(di hollyver07)
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riccardo t.
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domenica 27 febbraio 2011
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semplice
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commedia semplice. Costruita con una sceneggiatura altrettanto lineare che segue tutte le regole del genere. Buoni interpreti, anche se non eccezionali. comunque apprezzabile l'aspetto di trattare la famiglia protagonista senza scandali o pregiudizi.
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olgadik
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mercoledì 16 marzo 2011
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il sasso nello stagno?
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La famiglia è la famiglia e il matrimonio è tale anche se a viverlo sono coppie
omosex. Partendo da questo dato oggettivo, Lisa Cholodenko rovescia con intell
igenza la situation-comedy su cui si basava tanta parte della commedia americana
incentrata una volta sulla famiglia. In questa prova dei giorni nostri la regi
sta parte dall’assunto che siamo alle prese con un gruppo familiare normalissimo
. C’è un ruolo materno e paterno, due figli né migliori né peggiori di tanti a
dolescenti d’oggi, una bella casa trattandosi di classe media, un membro della
coppia che lavora, l’altro che aspira a farlo coltivando qualche frustrazione.
L’unico particolare che rompe questo quadretto-tipo è il fatto che la coppia si
compone di due lesbiche, madri biologiche dei rampolli avuti con inseminazione
eterologa da un unico donatore.
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La famiglia è la famiglia e il matrimonio è tale anche se a viverlo sono coppie
omosex. Partendo da questo dato oggettivo, Lisa Cholodenko rovescia con intell
igenza la situation-comedy su cui si basava tanta parte della commedia americana
incentrata una volta sulla famiglia. In questa prova dei giorni nostri la regi
sta parte dall’assunto che siamo alle prese con un gruppo familiare normalissimo
. C’è un ruolo materno e paterno, due figli né migliori né peggiori di tanti a
dolescenti d’oggi, una bella casa trattandosi di classe media, un membro della
coppia che lavora, l’altro che aspira a farlo coltivando qualche frustrazione.
L’unico particolare che rompe questo quadretto-tipo è il fatto che la coppia si
compone di due lesbiche, madri biologiche dei rampolli avuti con inseminazione
eterologa da un unico donatore. E qui si spalanca il vero problema, perché il f
iglio minore spinge la sorella ormai maggiorenne ad informarsi sull’identità del
padre di entrambi. Dopo qualche esitazione la ragazza acconsente, consulta la b
anca del seme e il nome viene fuori. L’uomo in questione, conosciuti i due ragaz
zi, entra a far parte in qualche modo del gruppo familiare, cosa che è la vera t
rasgressione relativa alla situazione esistente. L’esito finale, dopo il tempora
le provocato da tale novità, non si discosterà ancora una volta dalla norma. A g
iocare la parte del leone nel film, tipico prodotto del cinema indipendente amer
icano a basso budget, nei ruoli di Nic e Jules, sono Annette Bening con capello
corto e piglio da padre autoritario e un po’ schematico e Julianne Moore, mogli
e sostanzialmente a suo agio perché la coppia ha maturato negli anni un buon rap
porto. Entrambe le attrici, al meglio delle rispettive performance, esibiscono a
nche con disinvoltura rughe e zone grigie delle loro mature bellezze. Il che og
gi non è cosa da poco. I ragazzi, anche loro sufficientemente naturali, imbranat
i come sono, nelle problematiche adolescenziali, risultano convincenti. Altretta
nto adatto al personaggio dello sciupafemmine ecologista, superficiale ma simpat
ico, è Mark Ruffallo. L’altro elemento interessante nella storia è il fatto che
questo tipo d’uomo, a llergico al matrimonio, pensa di poter fare “suo” il gru
ppo familiare proprio perché parte dal pregiudizio che quella non è una famiglia
, anche se ne avverte il calore. In quanto alla profondità dell’analisi psicolog
ica dei personaggi e ai dialoghi di cui il film si fa forte ed è intessuto, la r
egista riesce a non essere scontata per la delicata lucidità con cui affronta il
tema. Anche la colonna sonora regala emozioni (vedi ricordo di Jane Joplin e ca
nzone di Who da cui è tratto il titolo del film). Un lavoro da vedere quindi, qu
alsiasi cosa ne pensino molti in Italia, fermi sull’argomento al Medioevo prossi
mo venturo, non essendo in grado di vedere al di là della punta del proprio naso.
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[+] forse... ma non è abbastanza grande.
(di hollyver07)
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massimiliano morelli
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domenica 20 marzo 2011
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l' inconvenzionalita' della normalita'
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C’è chi ha scritto che la normalità altro non è che la media di infinite anormalità. Tutto vero, e potrebbe essere la considerazione che rimpalla negli occhi dopo la visione di questo sfizioso film di Lisa Cholodenko, che tanto successo sta riscuotendo a cavallo di due mondi. Piace alla vecchia Europa lentamente democratica e piace, e tanto, nel suo luogo di nascita, un’ America indie quanto basta per apprezzarne la vocazione mordace e progressista, ma mai militante.
Ci può essere una grammatica degli affetti e dei percorsi familiari che segue piste battute dalla tradizione, anche quando si affaccia su panorami assolutamente fuori dalla convenzione. Sembra questo l’ assunto su cui vibra tutto il delicato divertimento di un’opera brillante, che si straccia di dosso le vesti della solita dedica al tabù omosessualità, per riportarne la radice più sincera e reale.
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C’è chi ha scritto che la normalità altro non è che la media di infinite anormalità. Tutto vero, e potrebbe essere la considerazione che rimpalla negli occhi dopo la visione di questo sfizioso film di Lisa Cholodenko, che tanto successo sta riscuotendo a cavallo di due mondi. Piace alla vecchia Europa lentamente democratica e piace, e tanto, nel suo luogo di nascita, un’ America indie quanto basta per apprezzarne la vocazione mordace e progressista, ma mai militante.
Ci può essere una grammatica degli affetti e dei percorsi familiari che segue piste battute dalla tradizione, anche quando si affaccia su panorami assolutamente fuori dalla convenzione. Sembra questo l’ assunto su cui vibra tutto il delicato divertimento di un’opera brillante, che si straccia di dosso le vesti della solita dedica al tabù omosessualità, per riportarne la radice più sincera e reale.
La Cholodenko, che sul piano biografico personale vive sulla sua pelle i tracciati che racconta in questo The Kids Are All Right, ci regala la prospettiva giusta per non cadere nella trappola di uno scontato trionfo del moderno senza se e senza ma. Gli intrecci del cuore, in una famiglia decoupage, straordinariamente assortita anche dal punto di vista del cast, sono quelli di qualsiasi tetto domestico, e prescindono dalla presunta anormalità dei contenuti.
Il coraggio innovativo, premiato da una bella alchimia attoriale e sorretto da una sceneggiatura fragrante e maliziosetta, sta nell’ averci tirato contro un primo ed interessante affresco live della nuova famiglia da ventunesimo secolo, senza stereotipi forzati. Panta rei, tutto scorre tra le linee di questo quadretto famigliare atipico, e con esso e dentro di esso, si muovono i grandi paradigmi tradizionali, gelosie, tradimenti, rapporti genitori-figli, il passaggio all’età adulta, come se nulla fosse. O come è sempre stato.
Prendere atto che non esistono un amore etero ed uno omosessuale, ma un’ unica possibile coniugazione dello stesso verbo Amare, è già una fine conquista intellettuale, riuscire a scriverci sopra una storia che sia credibile, priva di vizi di forma e stereotipi barricaderi, diventa davvero un passaggio encomiabile.
I ragazzi stanno bene è tutto questo, e vien da sé che a starci bene, anzi molto bene, siano anche i volti che indossano questa storia. La Bening, la Moore, Ruffalo, celebrità ormai acclarate, ma anche i giovani Hutcherson e la sempre più apprezzabile Wasikowska di recente burtoniana memoria, si amalgano tanto bene da illuderci di essere una famiglia per davvero.
Si può fare cinema indipendente anche scrollandosi di dosso la ruggine della militanza ideologica o l’ ossessione del racconto morale da dare in pasto ad una società canonicamente bigotta e omofobicamente presa solo da fast food e superbowl. Questo l’ insegnamento di un nuovo racconto americano, che ha il merito di portarci una storia che rigetta le convenzioni, ma è tanto delicata da sembrarci teneramente una qualunque storia delle nostre vite. Dopo averla vista ed amata, adesso stiamo bene anche noi.
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renato volpone
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venerdì 18 marzo 2011
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brillante ma non troppo
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Una storia originale e simpatica soprattutto nell'approccio iniziale dei ragazzi con il genitore donatore di sperma. Il racconto però si affloscia nel prosieguo quando si allarga troppo in una improbabile relazionie di una delle due donne con il nuovo arrivato e in trovate non del tutto geniali quale la visione da parte delle due donne di film porno gay maschili. Invece di fare un'utile analisi sociologica dello stato delle coppie omosessuali con figli si cade nella banale morale americana della famiglia felice nonostante tutto. Qualche risata, ma niente di più
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pepito1948
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martedì 15 marzo 2011
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trasgressioni e tabù
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Il quadro familiare che ci viene descritto (attenzione, la regista è una donna, e la cosa –visto il tema affrontato- non è irrilevante) è apparentemente idilliaco: una coppia lesbica, con ruoli leggermente differenti (almeno questa è la percezione di primo acchitto) in cui prevalgono amore, concordia ed armonia, due figli nati tramite il seme di uno stesso donatore sconosciuto dalle due donne (uno da ciascuna) legati da un rapporto di profondo affetto e rispetto sia tra di loro sia con le due “madri”, il tutto condito da un interscambio a tutto campo e da un’intesa tra le varie componenti, che fanno del gruppo una famiglia sostanzialmente non diversa da una qualsiasi felice famiglia tradizionale americana.
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Il quadro familiare che ci viene descritto (attenzione, la regista è una donna, e la cosa –visto il tema affrontato- non è irrilevante) è apparentemente idilliaco: una coppia lesbica, con ruoli leggermente differenti (almeno questa è la percezione di primo acchitto) in cui prevalgono amore, concordia ed armonia, due figli nati tramite il seme di uno stesso donatore sconosciuto dalle due donne (uno da ciascuna) legati da un rapporto di profondo affetto e rispetto sia tra di loro sia con le due “madri”, il tutto condito da un interscambio a tutto campo e da un’intesa tra le varie componenti, che fanno del gruppo una famiglia sostanzialmente non diversa da una qualsiasi felice famiglia tradizionale americana.
Il gruppo appare ben inserito socialmente e pertanto tutto sembra fluido e “normale”. Tuttavia si avverte qua e là qualche traccia di tensione: se una delle donne è professionalmente appagata, l’altra non ha ancora una collocazione lavorativa soddisfacente, si avvicina il momento doloroso ma necessario della separazione di uno dei figli, l’età non più adolescenziale di questi li spinge ad indagare gli spazi oscuri della propria storia, ed in particolare a cercare la tessera mancante del mosaico: l’identità del comune padre biologico. Le impercettibili incrinature che ne derivano diventano crepe quando il donatore del seme viene rintracciato e messo a contatto con la famiglia: è bello, ancora giovane, scapolo, socievole, e dimostra una certa sensibilità verso il calore familiare. L’impatto, dopo i primi istintivi disorientamenti per l’improvvisa ingerenza (“mi sento come se mi avessero sottratto la famiglia”), fa esplodere dinamiche disgregatrici, e ciò che sembrava un’ avvincente prospettiva si trasforma in pericolosa minaccia. All’urto di una divagazione imprevista la cristalleria si rompe, va in mille pezzi e gelosie, incomprensioni, difficoltà di “vedersi” reciprocamente emergono tumultuosamente. La commedia diventa dramma. Ma la capacità tutta femminile di rimettersi in gioco, di andare a fondo sotto le rassicuranti coltri di apparenza, di superare i muri del pregiudizio e gli arroccamenti psicologici compatterà le componenti del clan, creerà nuove alleanze e ricomporrà, fortificandolo, il recinto di sicurezza, corroborato da un’esperienza di vita che servirà a tutte le pedine in gioco (proprio tutte?).
Il contesto narrativo, dove il conflitto viene concentrato sugli effetti dell’improvvisa –anche se sollecitata- irruzione di un elemento esterno nella famiglia e non sulla sua strutturale anticonvenzionalità, in realtà è fortemente trasgressivo, probabilmente anche in una società dove puritanesimo e progressismo convivono in perenne contraddizione come quella americana. Anzi le trasgressioni sono molteplici: una coppia di omosessuali conviventi, il ricorso all’inseminazione artificiale di entrambi i partner, l’adozione di fatto da parte di ciascun partner del figlio dell’altro, il rapporto dei “fratellastri” con i due genitori dello stesso sesso. Ma il pregio del film –supportato dalla prova tutt’altro che agevole delle due stratosferiche attrici protagoniste (Annette Bening e Julienne Moore, splendida sotto quel manto dorato di efelidi) sta nel fatto di mostrare come potrebbe funzionare un modello alternativo condiviso di famiglia, con tutte le difficoltà, le dinamiche talvolta sismiche di qualsiasi aggregazione di genitori e figli, quasi si trattasse di una storia realmente accaduta o comunque di routine. Naturalmente i temi posti dagli autori suscitano molte domande, cui è difficile non cercare di dare risposte dopo aver visto il film; la lunga onda di pensieri, considerazioni, commenti e confronti che prosegue dopo aver lasciato la sala è un’altra prova della validità di un tipo di cinema, moderno e sanamente “provocatorio”, che in Italia non si potrebbe mai girare. Temi come la libera convivenza di coppie omosessuali, l’inseminazione eterologa, da noi vietata, i rapporti tra figli e genitori dello stesso sesso, l’identificazione del donatore del seme sono tutti argomenti che nella nostra società sfiorano il tabù; e ben vengano opere come questa –di alto spessore e di notevole valore artistico- che inducano, si spera, a porsi il problema e a dare risposte, qualunque esse siano. Magari solo a se stessi.
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giacomogabrielli
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giovedì 24 marzo 2011
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semplice realta' ***
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La regista di THE L WORD abbandona per un attimo il set televisivo per approcciarsi al cinema. Una cosa che ha portato con se è il tema della (omo)sessualità, sempre presente nei suoi lavori. Naturalmente questo tema è uno dei pilastri del film, anzi, il pilastro portante. Il pregio più notevole è la maniera in cui l'omossessualità -lesbica in questo caso- è affrontata: in modo assolutamente normale e trasparente, se non fosse che ad un certo punto entra di scena colui che ha donato il seme alle due madri che formano la coppia: il sempre bravo Mark Ruffalo. Un cast eccellente, anche gli attori più giovani se la cavano bene, che comprende tra gli altri Juliane Moore e la bravissima Annette Bening.
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La regista di THE L WORD abbandona per un attimo il set televisivo per approcciarsi al cinema. Una cosa che ha portato con se è il tema della (omo)sessualità, sempre presente nei suoi lavori. Naturalmente questo tema è uno dei pilastri del film, anzi, il pilastro portante. Il pregio più notevole è la maniera in cui l'omossessualità -lesbica in questo caso- è affrontata: in modo assolutamente normale e trasparente, se non fosse che ad un certo punto entra di scena colui che ha donato il seme alle due madri che formano la coppia: il sempre bravo Mark Ruffalo. Un cast eccellente, anche gli attori più giovani se la cavano bene, che comprende tra gli altri Juliane Moore e la bravissima Annette Bening. Bella la sceneggiatura, articolata e con dialoghi ben scritti, che offre come spesso accade in sua presenza, dei nudi integrali del bel Mark Ruffalo e della Moore. E' bello vedere come la famiglia "homo" sia vissuta in maniera assolutamente normale -interessante il rapporto dei figli che chiamano "mamma" entrambe le loro rispettive madri- e addirittura come sia l'uomo ad essere visto come un intralcio, che porterà poi ad uno scombussolamento totale. Per quanto possa essere un bel film, non mi spiego perchè sia stato plurinominato agli Oscar 2011, tra cui come Miglior Film, concorrendo con film ben maggiori da tutti i punti di vista. Nonostante ciò resta un bel film recitato bene, che porta sullo schermo una realtà di grande attualità che in Italia si tende a non accettare. SEMPLICE REALTA' ***
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[+] politically... klinex o correct...!?
(di hollyver07)
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orazio maione
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sabato 12 marzo 2011
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fa riflettere
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una normale famiglia con due mamme: epperò proprio nell'ostentata normalità provo un senso di disagio.
camera da letto super borghese, tipizzazioni lei-capofamiglia e lei-moglie; però probabilmente la realtà, quando va bene, per una coppia gay è proprio così, e negli usa famiglie simili sono parecchie.
la storia è bella e gli attori sono bravi; però forse scegliere volti non da star (la bening è irritante, ma forse proprio perchè è brava) e una situazione più semplice come livello sociale avrebbe reso il film più "scomodo".
ma, mi chiedo e vi chiedo, se la forza del film fosse proprio questa? veicolare come normale e, anzi, come modello da raggiungere per status, quello della più invereconda delle famiglie per il nostro, si fa per dire, cattolicissimo paese? far toccare con mano che i sentimenti, i tradimenti, le fragilità non hanno orientamento sessuale.
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una normale famiglia con due mamme: epperò proprio nell'ostentata normalità provo un senso di disagio.
camera da letto super borghese, tipizzazioni lei-capofamiglia e lei-moglie; però probabilmente la realtà, quando va bene, per una coppia gay è proprio così, e negli usa famiglie simili sono parecchie.
la storia è bella e gli attori sono bravi; però forse scegliere volti non da star (la bening è irritante, ma forse proprio perchè è brava) e una situazione più semplice come livello sociale avrebbe reso il film più "scomodo".
ma, mi chiedo e vi chiedo, se la forza del film fosse proprio questa? veicolare come normale e, anzi, come modello da raggiungere per status, quello della più invereconda delle famiglie per il nostro, si fa per dire, cattolicissimo paese? far toccare con mano che i sentimenti, i tradimenti, le fragilità non hanno orientamento sessuale.
si parla parecchio di sesso e lo si fa intuire nelle più singolari manifestazioni eppure tutto è leggero, accettabile, carino addirittura per le coppie attempate che mi attorniavano.. sento un "sti puritani di americani quando fanno 'na cosa la fanno fino in fondo!"
per fortuna sono lontani, per fortuna noi siamo orgogliosi delle nostre belle, tradizionali, famiglie.
:)
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tiamaster
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mercoledì 2 maggio 2012
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buonissimo film a cui manca qualcosa....
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Divertente,intelligente,mai banale,egregiamente interpretato da due attrici eccezionali,una bening e una moore STRAORDINARIE danno vita a una commedia OTTIMA mai superficiale anche se OVVIA negli sviluppi.una commedia che sarebbe un film ECCEZZIONALE se non fosse che il film di fatto non và da nessuna parte.Dov'è la morale???Cosa voleva dire la sceneggiatrice???nessuno lò sà,sempre ammesso che ci sia una risposta.Ma nonostante ciò "i ragazzi stanno bene" è una commedia ricca,divertente e in qualche punto anche commovente,senza morale ma MAI superficiale perchè analizza bene ogni personaggio,rendendolo credibile e umano.Commedia sopra la media e interpretata divinamente.
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Divertente,intelligente,mai banale,egregiamente interpretato da due attrici eccezionali,una bening e una moore STRAORDINARIE danno vita a una commedia OTTIMA mai superficiale anche se OVVIA negli sviluppi.una commedia che sarebbe un film ECCEZZIONALE se non fosse che il film di fatto non và da nessuna parte.Dov'è la morale???Cosa voleva dire la sceneggiatrice???nessuno lò sà,sempre ammesso che ci sia una risposta.Ma nonostante ciò "i ragazzi stanno bene" è una commedia ricca,divertente e in qualche punto anche commovente,senza morale ma MAI superficiale perchè analizza bene ogni personaggio,rendendolo credibile e umano.Commedia sopra la media e interpretata divinamente.film più che buono ma non completo.
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