diego p.
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venerdì 4 febbraio 2011
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più che un film sul pugilato!
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Per ben tre quarti del film mi sono chiesto dove fosse il pugilato, dove fosse la lotta, e se non in brevi momenti questo è stato in mio pensiero costante per 80 minuti.
Il film che si chiama IL COMBATTENTE continuavo a ripetermi, e continuavo ad aspettare i fatidici incontri, gli allenamenti, le uova bevute di prima mattina, forse avevo ancora in mente un altro noto film, e ci ho messo un pò per pensare che un film che si chiama "THE FIGHTER" potesse essere diverso da quello che ero ebituato. Non mi accorgevo che stavo guardando un gran bel film proprio per questo motivo: cercavo qualcos'altro.
In The Fighter si parla di vita di disagi familiari, tossicodipendenza, la vita di una piccola città chissàdove in America, si parla di fallimenti delle vite, i fallimenti dei drogati di crack che si vedono le giornate passare davanti senze fermarle, i fallimenti di una barista che beve troppo per non pensare al brutto ambiente dove lavora mentre poco prima era all'università, i fallimenti di una famiglia che cerca a tutti i costi nei due figli un modo per uscire e gridare al mondo: "ce l'abbiamo fatta", i fallimenti di due pugili diversi seppur fratelli, il primo, Dicky, che continua a vivere di un vecchio successo rovinandosi la vita con le droghe, il secondo, Micky, vissuto sempre in ombra del primogenito che sembra non ottenere mai quello che merita.
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Per ben tre quarti del film mi sono chiesto dove fosse il pugilato, dove fosse la lotta, e se non in brevi momenti questo è stato in mio pensiero costante per 80 minuti.
Il film che si chiama IL COMBATTENTE continuavo a ripetermi, e continuavo ad aspettare i fatidici incontri, gli allenamenti, le uova bevute di prima mattina, forse avevo ancora in mente un altro noto film, e ci ho messo un pò per pensare che un film che si chiama "THE FIGHTER" potesse essere diverso da quello che ero ebituato. Non mi accorgevo che stavo guardando un gran bel film proprio per questo motivo: cercavo qualcos'altro.
In The Fighter si parla di vita di disagi familiari, tossicodipendenza, la vita di una piccola città chissàdove in America, si parla di fallimenti delle vite, i fallimenti dei drogati di crack che si vedono le giornate passare davanti senze fermarle, i fallimenti di una barista che beve troppo per non pensare al brutto ambiente dove lavora mentre poco prima era all'università, i fallimenti di una famiglia che cerca a tutti i costi nei due figli un modo per uscire e gridare al mondo: "ce l'abbiamo fatta", i fallimenti di due pugili diversi seppur fratelli, il primo, Dicky, che continua a vivere di un vecchio successo rovinandosi la vita con le droghe, il secondo, Micky, vissuto sempre in ombra del primogenito che sembra non ottenere mai quello che merita. Però questo film parla di riscatto, riscatto scaturito dalla lotta alla vita, motivo per cui credo che veramente si chiami THE FIGHTER, il combattente. Il film apparentemente sembra parli solo della boxe e del pugile Micky Ward ma in realtà si parla di più storie che scorrono parallele, tutte accomunate dai fallimenti e poi dai riscatti o quanto meno dei tentativi di riscattarsi. E' un film con un ottima sceneggiatura, ottima regia,, e un buon cast, e pensare che all'inizio doveva essere fatto completamente da persone diverse (compreso il regista), un gigantesco Christian Bale, un buon Mark Wahlberg, e meritevole di una canditura all'oscar lo è anche Melissa Leo.
Un ottimo film davvero, ah dimenticavo, c'è anche la Boxe nel film ma viene dopo tutto questo.
Diego P.
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riccardo t.
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domenica 13 febbraio 2011
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quattro grandi attori
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bel film, costruito con una sceneggatura che mette in risalto i rapporti e i conflitti coi personaggi, lasciando la boxe in un piano minore. film di riscatto e di perdono elementi resi benissimo da un poker di attori fantastici: Bale certamente è aiutato da un personaggio scritto alla grande, ma il suo talento nel mostrare un uomo che ha buttato via la sua vita e quella della sua famiglia è fantastico, salvo sorprese l'oscar è suo. Wahlberg regge benissimo il confronto col compagno di set, con un personaggio che combatte più nel salotto di casa che sul ring. La Leo ha un personaggio non facile,piuttosto ambiguo e antipatico ma la sua bravura evita la macchietta.
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bel film, costruito con una sceneggatura che mette in risalto i rapporti e i conflitti coi personaggi, lasciando la boxe in un piano minore. film di riscatto e di perdono elementi resi benissimo da un poker di attori fantastici: Bale certamente è aiutato da un personaggio scritto alla grande, ma il suo talento nel mostrare un uomo che ha buttato via la sua vita e quella della sua famiglia è fantastico, salvo sorprese l'oscar è suo. Wahlberg regge benissimo il confronto col compagno di set, con un personaggio che combatte più nel salotto di casa che sul ring. La Leo ha un personaggio non facile,piuttosto ambiguo e antipatico ma la sua bravura evita la macchietta. La Adams una conferma nel creare una donna forte e decisa. quindi un bel film con un gran cast che interagisce benissimo, ma che offre poco altro a parte quattro grandi attori.
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ashtray_bliss
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venerdì 28 settembre 2012
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storia di due lottattori sul ring e nella vita.
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David O.Russel sa come confezionare per bene un film ispirato ad una storia vera. Quella di due fratelli, Dicky e Micky, tanto diversi tra loro quanto uniti da una passione comune quella di salire sul ring e combattere. Dicky vive di glorie del passato, quando era uno dei migliori pugili in America, mentre ora e' consumato dal crack e dall'abuso di droghe. Micky e' un avvenente pugile, pressato pero' da una madre avida ed egoista, e da tutte le sue sorelle che vorrebbero dettar legge e intromettersi nella vita di Micky. Cosi dopo tentavivi falliti di farsi allenare da Dicky, e dopo che quest'ultimo finira' in prigione dopo una rissa violenta, Micky darra retta a Charlene, la sua ragazza, e prendera' sul serio l'allenamento e gli incontri della boxe, allontanadosi da una famiglia ingombrante e asfissiante.
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David O.Russel sa come confezionare per bene un film ispirato ad una storia vera. Quella di due fratelli, Dicky e Micky, tanto diversi tra loro quanto uniti da una passione comune quella di salire sul ring e combattere. Dicky vive di glorie del passato, quando era uno dei migliori pugili in America, mentre ora e' consumato dal crack e dall'abuso di droghe. Micky e' un avvenente pugile, pressato pero' da una madre avida ed egoista, e da tutte le sue sorelle che vorrebbero dettar legge e intromettersi nella vita di Micky. Cosi dopo tentavivi falliti di farsi allenare da Dicky, e dopo che quest'ultimo finira' in prigione dopo una rissa violenta, Micky darra retta a Charlene, la sua ragazza, e prendera' sul serio l'allenamento e gli incontri della boxe, allontanadosi da una famiglia ingombrante e asfissiante. E mentre Micky intraprende il suo percorso nel pugilato, diventando sempre piu' abile e famoso, Dicky imparera' dai suoi errori personali e decidera' di allontanarsi definitivamente dall'inferno del crack, per l'amore di suo figlio e se stesso, tornando adirittura ad allenare suo fratello e portandolo alla vittoria finale.
La trama, pur non essendo originale, e' svilluppata bene e il film, anche se lungo, risulta scorrevole e mai noioso. Certamente deve molto anche ad una regia molto buona e sempre attenta a non perdere il filo della trama nonche' sorretto da una ottima fotografia.
Bravi anche tutti gli attori del cast. C.Bale ha sicuramente meritato l'Oscar per la parte di Dicky, uomo consumato dal crack, magrissimo, con l'espresione perennemente persa e confusa. M.Whalberg si immedesima bene nel ruolo del pugile umile ma con determinazione a trionfare. Molto convincente anche Amy Adams, ragazza un po' ruvida ma sincera che tiene a cuore Micky e la sua passione per il pugilato consigliandolo per il meglio.
La storia, e' evidentemente, semplice ma gradevole da seguire, che narra il percorso personale verso il trionfo, sia sul ring (rappresentato da Micky) sia nella vita reale (rappresentato da Dicky che si rimette nella via della giustizia e si libera dall'inferno della droga).
Storia carina da seguire, che non annoia e come genere resta per tutta la sua durata un mix tra il drammatico e il sociale (o biografico), con sfondo il duro mondo del pugilato.
Consigliato.
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davidestanzione
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martedì 8 marzo 2011
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il lottatore di o.russell é più cuore che muscoli
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Dicky e Mickey sono fratellastri, pugili, d’origini irlandesi, in qualche modo dei personaggi “di spicco” nel (sob)borgo provinciale dove vivono: Lowell, Massachusetts, il solito Massachusetts decantato nella sua pietrosa asperità da Jack Kerouac ed ex area focale dell’America industrializzata. Siamo negli anni ’90, epoca indelebilmente segnata dal grigiore periferico, dal provincialismo marginale ma riottoso, dalla sporcizia grunge e dalle urla straziate di voci afone.
Dicky e Mickey ansimano dietro il prototipo seriale di sogno americano, quello a base di fatica, sudore, privazioni. A rincorrerlo è soprattutto il secondo, perché il primo, a dir la verità, il suo abbondante quarto d’ora di gloria l’ha già avuto quando, anni prima, mise al tappeto nientepopodimeno che Sugar Ray Leonard (il quale però, stando a qualche malevola e rognosa voce da bar, in quella circostanza sarebbe solo fortunosamente inciampato…).
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Dicky e Mickey sono fratellastri, pugili, d’origini irlandesi, in qualche modo dei personaggi “di spicco” nel (sob)borgo provinciale dove vivono: Lowell, Massachusetts, il solito Massachusetts decantato nella sua pietrosa asperità da Jack Kerouac ed ex area focale dell’America industrializzata. Siamo negli anni ’90, epoca indelebilmente segnata dal grigiore periferico, dal provincialismo marginale ma riottoso, dalla sporcizia grunge e dalle urla straziate di voci afone.
Dicky e Mickey ansimano dietro il prototipo seriale di sogno americano, quello a base di fatica, sudore, privazioni. A rincorrerlo è soprattutto il secondo, perché il primo, a dir la verità, il suo abbondante quarto d’ora di gloria l’ha già avuto quando, anni prima, mise al tappeto nientepopodimeno che Sugar Ray Leonard (il quale però, stando a qualche malevola e rognosa voce da bar, in quella circostanza sarebbe solo fortunosamente inciampato…). Parecchie botte e molti, cocenti, insuccessi dopo, Dicky è piombato nella schiava dipendenza dal crack, che l’ha prostrato nel corpo e nell’anima esasperandone l’indole schizzoide. Tra un salto dalla finestra e l’altro (con immancabile atterraggio sui cassonetti dell’immondizia), Dicky si è reinventato come trainer del fratello supportandone a suo modo l’ambizione e la speranza di rilancio per una carriera fin qui alterna e mediamente deludente. A complicare ulteriormente l’esistenza di Mickey c’è un’altra presenza quanto mai ingombrante, quella della madre: pacchiana, volgarotta, chiassosa, platinata chioma biondiccia sparata “ad astra” (Joseph Addison l’avrebbe cordialmente detestata), rimmel sbavato, vestiti glam e jeans attillatissimi a sottolineare una grossolana sensualità sfiorita, Alice sembra aver allevato i propri figli con l’esclusivo fine ultimo di immetterli un giorno nel mondo della boxe, per cavarne quanto più danaro possibile. Il suo amore “curioso” e particolare, che la porta ad inforcare il guantone alla propria prole maschile fin dalla tenera età, è supportato da una perfetta mentalità manageriale che la rende il simbolo indiscusso di un’America matriarcale, goffa, buffa, irruenta, dal vitalismo in molti casi brutale. A far da contorno ed ad insultare con inaudita violenza la fidanzata di Mickey Charlene (tacciata spregiativamente di essere una “ragazza Mtv”) c’è l’interminabile stuolo delle figlie femmine di Alice, così similari, per ruolo e (accessoria) presenza, al coro dorico di un antico dramma attico.
Meglio precisare: “The Fighter” non è un film (esclusivamente) sulla boxe né un film (solo) sportivo, volendo rinnegare fin da subito la limitante restrizione di genere. Nella prima parte si propone addirittura come un film vagamente “intimista”, schiaffando allo spettatore una generosa manciata di vecchi filmati di repertorio, stropicciati filmini familiari-amatoriali e vecchie foto sui davanzali, unico baluardo di un passato altrimenti invisibile in cui i sorrisi erano speranzosi, autentici e non avevano nulla a che vedere con le leggerezze forzate dalla tossicodipendenza. Tratto da una storia vera (Mickey Ward, idolatrato da Wahlberg che lo restituisce ottimamente, è diventato campione dei pesi welter nel 2000), il film doveva essere diretto in principio da Darren Aronofsky, che ha però ripiegato su “The Wrestler” defilandosi nelle vesti meno precipue di produttore esecutivo. Il timone del progetto che Wahlberg ha menato con appassionata insistenza per molti anni è allora passato nelle mani del rientrante David O.Russell, non esattamente un novizio (suoi Three Kings e il meno convincente I Heart Huckabees), ma piuttosto un litigioso e bizzarro artigiano di culto (e di mezz’età) con fama di scazzottomane e difficile. Il suo decisivo approccio al progetto è stato però di importanza sostanziale: O.Russell non si limita infatti, come da più parti è stato scritto, ad armonizzare abilmente un tetragono di attori ottimi quando non eccelsi, ma si prodiga moltissimo nell'applicare a “The Fighter” la sua anima instabile e vessata dalla vita (“Ho rischiato di non vedere più mio figlio, ho divorziato, ho dovuto pagare i mutui di due case. Se non mi identifico io con Mickey Ward, chi può farlo?”): diretto da lui, il film acquisisce un fascino particolare, una tattilità ruvida, diventa quasi un’energica ballata rock vigorosa ma non rigorosa, un po’ blues, convulsa, vivida e fuori di testa. Una fotografia di un'America muscolare e un po' eccessiva, sia nell’odiare e nell’amare, nel piangere e nel soffrire come nel gioire, un’America corpulenta che rimastica sogni e sputa sangue. Il piatto forte di The Fighter, nonché il motivo primario per cui vale la pena vederlo pur non aspettandosi Toro Scatenato o le Fat City hustoniana, è proprio la sua bellezza diseguale e disarmonica, i suoi veementi ed epici crescendo (come la scena in cui Dicky segue l’incontro del fratello attaccato al telefono del carcere), che ti inchiodano alla poltrona anche se sai di star vedendo il solito, abusato film che sfocia puntualmente nel tutto cuore e tutta pancia. Inutile negare, però, che “The Fighter” nasconde sotto il livore sudaticcio un’anima bizzarra e grottesca, incarnata soprattutto dalle molteplici figure femminili che lo popolano, curiose, inusuali presenze per un film a sfondo boxistico: alla madre matriarca e sopra le righe (il premio Oscar Melissa Leo, inoppugnabile per tecnica e modulazioni) e alle recalcitranti sorelle si aggiunge la fidanzata di Mickey, Charlene, una Amy Adams come sempre bravissima, umanissima, qui un pizzico sexy e assolutamente perfetta nel calibrare millimetricamente la tipica ragazza di provincia con ascendenze collegiali e frequentazioni da bar.
Nessun delle caratterizzazioni di un’opera molto d’attori è in grado però di infligge brividi e di scavare come il Dicky Ecklund di Bale: un personaggio come il suo, reso attraverso una capillare preparazione e un pingue mimetismo, non si dimentica: al suo fianco perfino Mark Wahlberg, interprete mediocre ma sicuramente molto migliorato rispetto al passato, sembra perfetto, un vero wrestler (complice anche un training lunghissimo e intenso). E non si dica che la prova di un’interprete estremo e sanguigno come Bale, culminata con un sacrosanto Oscar come miglior attore non protagonista, sia un’interpretzione di solo metodo. Non esistono interpretazioni di solo metodo quando un attore riesce a coinvolgere così nel profondo, vivendo ogni infinitesimale sfumatura del suo personaggio, dalla più guascona alla più sofferta (la scena in cui Dicky rifiuta di vedere il documentario Hbo sulla sua dipendenza dal crack è il vero scarto emotivo di un uomo che sente, pressante, l’urgenza di cambiare).
“The Fighter” a conti fatti non ha un tema univoco, non si riesce a delineare con certezza se sia un film sulla boxe, sulla dipendenza dalla droga, o piuttosto sul ricongiungimento umano di un nucleo familiare in frantumi, una ricomposizione dei cocci così sentita e necessaria da inglobare perfino i frammenti più sgraditi (come lo é Charlene, odiata fino al midollo). Fatto sta che avvince e coinvolge, forse proprio per la peculiare messa in scena carica e un po' eccessiva. Cullati dalle note di Good times bad times e Can’t you hear me knocking passando per Strip my mind, si “apprende” che la famiglia può far male, che la famiglia può guarire. In quest’affresco a stelle e strisce a metà tra la forza operaia di Springsteen e il carisma rabbioso di Dolores O’Riordan, viene in mente il cuore pulsante di un pezzo dell’ultimissimo album degli R.E.M. “Every day is yours to win/And that's how heroes are made”. D'altronde l’importante, nella boxe come nella vita, é non sprecare le occasioni una seconda volta, ingoiare la merda e risputarla. Testa, corpo, testa.
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giacomogabrielli
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martedì 8 marzo 2011
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oltre il ring. ****
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Mark Wahlberg, qui anche produttore, interpreta un film ben riuscito, che vede al centro la famiglia come vera sfida della vita. Qui infatti "the fighter" è inteso in senso lato, e non concentrato solo sull'attività del protagonista. Inutile commentare la più che eccellente interpretazione di Christian Bale, qui sublime come mai prima d'ora, che conferma il meritatissimo Oscar vinto come Miglio Attore Non Protagonista 2011. Il suo profondo personaggio trasuda infatti tristezza, tenerezza e infine felicità. Buono anche il resto del cast, partendo da Wahlberg, qui tutto muscoli e dedizione per vincere insicurezze e problemi familiari, Amy Adams e Melissa Leo, per l'occasione invecchiata nel ruolo della madre dei fratellastri Bale e Wahlberg, anch'essa premio Oscar 2011.
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Mark Wahlberg, qui anche produttore, interpreta un film ben riuscito, che vede al centro la famiglia come vera sfida della vita. Qui infatti "the fighter" è inteso in senso lato, e non concentrato solo sull'attività del protagonista. Inutile commentare la più che eccellente interpretazione di Christian Bale, qui sublime come mai prima d'ora, che conferma il meritatissimo Oscar vinto come Miglio Attore Non Protagonista 2011. Il suo profondo personaggio trasuda infatti tristezza, tenerezza e infine felicità. Buono anche il resto del cast, partendo da Wahlberg, qui tutto muscoli e dedizione per vincere insicurezze e problemi familiari, Amy Adams e Melissa Leo, per l'occasione invecchiata nel ruolo della madre dei fratellastri Bale e Wahlberg, anch'essa premio Oscar 2011. La regia è buona, ma non eccezionale, mentre, l'elemento fondamentale che ha contribuito a fare del film un grande lavoro è sicuramente la sceneggiatura, nella sua semplicità molto complessa, che comunica una lezione di vita e che scava a fondo nelle sottostorie dei personaggi che la interpretano. Ottima anche la fotografia, che dà il giusto tono retrò al tutto. Inizialmente il film doveva essere diretto da Darren Aronofsky, qui produttore esecutivo, che, subito dopo THE WRESTLER, ha deciso di dedicarsi però a BLACK SWAN. Dunque un film assolutamente da non perdere, che deve esser vissuto con l'emozione giusta che sicuramente andrà oltre il ring. OLTRE IL RING ****
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zombiturbo
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lunedì 4 luglio 2011
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la boxe scuola di vita
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Storie sulla boxe ne sono state fatte tante, perchè questa la rende diversa da tutte le altre? Per il fatto che sia stata tratta da fatti realmente accaduti? Per via della incredibile vicenda di un uomo che cerca se stesso attraverso la boxe? Forse per l'ambiente in cui si sviluppa? Cercando nel film si trova risposta affermativa a tutti questi interrogativi, ma la forza di questo film è la lotta tra le diverse figure che contornano il ring e la ricerca della via d'uscita di ciascuno alla vita mediocre che ha fatto. No, nessun riscatto, solo la voglia di deragliare da un percorso segnato da molto, troppo tempo, per tutta una classe di persone che vivono in una certa parte del mondo a stelle e strisce.
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Storie sulla boxe ne sono state fatte tante, perchè questa la rende diversa da tutte le altre? Per il fatto che sia stata tratta da fatti realmente accaduti? Per via della incredibile vicenda di un uomo che cerca se stesso attraverso la boxe? Forse per l'ambiente in cui si sviluppa? Cercando nel film si trova risposta affermativa a tutti questi interrogativi, ma la forza di questo film è la lotta tra le diverse figure che contornano il ring e la ricerca della via d'uscita di ciascuno alla vita mediocre che ha fatto. No, nessun riscatto, solo la voglia di deragliare da un percorso segnato da molto, troppo tempo, per tutta una classe di persone che vivono in una certa parte del mondo a stelle e strisce. Micky prende in mano la situazione e destina tutti ad un altro futuro, e così dal poliziotto allenatore alla barista fidanzata ognuno cerca una risposta alla propria solitudine incarnando nel bravo pugile la propria necessità di affermazione in una società che appiattisce le personalità con modelliche portano all'autodistruzione.
Wark Whalberg, come in "Invincible" si trova un personaggio che vive in un precario stato sociale e che, attraverso lo sport, troverà il suo riscatto e quello della sua gente. Bale, semplicemente fantastico, orchestra i ritmi del film con le sue apparizioni da ex pugile più o meno lucido che si autodistrugge davanti a una telecamera e si ritrova atleta e boxeur in carcere.
Il cast, che pregevolmente si sintonizza con queste due figure, aggiunge tanto al complessivo valore della pellicola con menzione speciale per la madre si Micky, interpretata da Melissa Leo che ha raggiunto momenti di alta drammaticità nel confronto quale madre/manager con il figlio boxeur e l'altro figlio ex pugile appena uscito di galera. Complimenti.
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epiere
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martedì 8 marzo 2011
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film potente
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ennesimo film sul pugilato,che qui però appare un pò meno predominante sul resto,rappresentato dai rapporti familiari,dall'amore fraterno,dalla possessività di certe madri,dal riscatto sociale,dall'ambientazione accurata di certa provincia americana,così lontana dai grossi centri USA.Grande prova di Chistian Bale,dimagrito in modo spaventoso per questo film e sorprendente Melissa Leo nel ruolo della madre.Mi è piaciuto anche Mark Wahlberg meno esagitato del solito ,ma preciso anche nella misurazione del personaggio.Ben centrati anche i personaggi di contorno:il padre,l'allenatore-poliziotto,le sorelle arpie.
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blacky
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giovedì 1 dicembre 2011
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bale sferra il suo miglior uppercut
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The Fighter per chi dovesse ancora capirlo è un film in cui il pugilato è un pretesto per raccontare la drammatica e tenera storia dei fratelli Dicky Eklund e Mickey Ward (lo si intuisce dalle brevi scene sul ring, fondamentale differenza dai film dello stesso genere). E' una storia che dimostra che i miti non sono immortali e che a volte anche le leggende dello sport, quale può essere "l'orgoglio di Lowell" cedono. Dicky rappresenta la figura del fratello maggiore. Ovvero quella figura che Mickey, il fratello minore, desidera avere come riflesso, fino a quando non cresce e scopre che la figura tanto idealizzata era quella di un uomo e gli uomini non sono onnipotenti, ma loro caratteristica predominante è la fallibilità.
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The Fighter per chi dovesse ancora capirlo è un film in cui il pugilato è un pretesto per raccontare la drammatica e tenera storia dei fratelli Dicky Eklund e Mickey Ward (lo si intuisce dalle brevi scene sul ring, fondamentale differenza dai film dello stesso genere). E' una storia che dimostra che i miti non sono immortali e che a volte anche le leggende dello sport, quale può essere "l'orgoglio di Lowell" cedono. Dicky rappresenta la figura del fratello maggiore. Ovvero quella figura che Mickey, il fratello minore, desidera avere come riflesso, fino a quando non cresce e scopre che la figura tanto idealizzata era quella di un uomo e gli uomini non sono onnipotenti, ma loro caratteristica predominante è la fallibilità. Questo per quanto riguarda l'ex pugile Eklund drogato, il quale nei suoi giorni di gloria aveva anche affrontato il grande Sugar Ray. La storia si sviluppa oltre però, mostrandoci che a volte grazie ai nostri fallimenti, diventiamo vincitori professionisti, non da soli certo, ma grazie ad un partner che ci ama e ci infonde coraggio, aiutandoci a capire quali sono le occasioni giuste. E questo riguarda invece Mickey, che a inizio film è ben lungi dalla gloria. Ad aumentare la distanza tra lui e il successo è (non troppo paradossalmente) la sua famiglia, dove quasi nessuno riesce a capire cosa è meglio per il non troppo giovane pugile. La vicenda segue dunque la disperata ricerca della stabilità da parte dei due fratelli.
Il film è diretto quasi come un videodiario, tipica peculiarità dei film autobiografici, che però qui tende a togliere epicità, virando il timone verso una realtà più misera. Ciò che è veramente epico di questo prodotto non è neanche la sceneggiatura ma gli attori, a cominciare dal camaleontico e fenomenale Christian Bale, il quale già da qualche pellicola addietro meritava l'Oscar, bravissime e perfetta Amy Adams e Melissa Leo anche lei giustamente premiata per la performance nella pellicola. Voto finale 3 stelle e 1/2 personalmente consigliato
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max taylor
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venerdì 27 maggio 2011
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un altro film sulla boxe...ma non è rocky.
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Per l'ennesima volta il ring occupa il grande schermo, e lo fa in maniera poco retorica e decisamente meno spettacolare rispetto a tante altre pellicole del genere, in un film che, pur non avendo le stimmate del capolavoro, si mantiene di buon livello grazie ad una regìa di mestiere, interpreti all'altezza (su tutti Christian Bale e Melissa Leo), e una sceneggiatura robusta e vivace (a volte anche troppo: la concitatezza di alcuni dialoghi può anche risultare un tantino fastidiosa). David O. Russel è un onesto mestierante che sa dove piazzare la macchina da presa e riesce a destreggiarsi con disinvoltura tra palestre che sanno di sporcizia e sudore, combattimenti (pochi, per la verità), e modeste casupole in legno abitate da famiglie più vicine agli Addams che al Mulino Banco.
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Per l'ennesima volta il ring occupa il grande schermo, e lo fa in maniera poco retorica e decisamente meno spettacolare rispetto a tante altre pellicole del genere, in un film che, pur non avendo le stimmate del capolavoro, si mantiene di buon livello grazie ad una regìa di mestiere, interpreti all'altezza (su tutti Christian Bale e Melissa Leo), e una sceneggiatura robusta e vivace (a volte anche troppo: la concitatezza di alcuni dialoghi può anche risultare un tantino fastidiosa). David O. Russel è un onesto mestierante che sa dove piazzare la macchina da presa e riesce a destreggiarsi con disinvoltura tra palestre che sanno di sporcizia e sudore, combattimenti (pochi, per la verità), e modeste casupole in legno abitate da famiglie più vicine agli Addams che al Mulino Banco. Ispirato ad una storia vera, il lungometraggio narra del pugile Wicky Ward, divenuto campione dei Welter leggeri ultratrentenne, dopo una vita e una carriera vissuta all'ombra del fratellastro, famoso per aver messo al tappeto Sugar Ray Leonard e poi caduto nell'inferno del crack, e di una madre manager testarda ed incapace. L'inevitabile lieto fine espone il film al rischio di una conclusione stucchevole che viene dribblata a fatica, mentre lacrime d'orgoglio e pentimento scorrono copiose sulle guance di una Melissa Leo invecchiata ad arte per l'occasione; ma fortunatamente il fazzoletto resta nella tasca dello spettatore, almeno in quella di chi scrive. In definitiva buon film, abbiamo detto, anche se non ci troviamo al livello di un "One Million Dollar Baby", ma fortunatamente neanche al livello di una qualsiasi delle puntate della saga di "Rocky".
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lia_manelli
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sabato 12 ottobre 2013
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famiglia e pugilato:la forza di essere una squadra
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Un Regista. Un cast promettente. Un Bale che ancora una volta ci stupisce per le sue trasformazioni (per dirne una Trevor Reznik de“L’uomo senza sonno”), in questo caso da Oscar come miglior attore non protagonista nei panni di Dickie Ward. Una veterana Melissa Leo che si merita appieno il suo primo Oscar. Da ammirare anche il resto del cast che mostra una presenza tutta al femminile pienamente immersa nel mondo della boxe tra cui, accanto alla Leo, spicca Amy Adams, barista senza peli sulla lingua che conquisterà il cuore del protagonista, Mark Wahlberg.
Girato come un documentario, riesce in questo modo crudo e realistico a rendere al meglio la storia di Michey Ward, pugile dalla carriera non molto fortunata che riesce a conquistare il titolo mondiale dei pesi welter.
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Un Regista. Un cast promettente. Un Bale che ancora una volta ci stupisce per le sue trasformazioni (per dirne una Trevor Reznik de“L’uomo senza sonno”), in questo caso da Oscar come miglior attore non protagonista nei panni di Dickie Ward. Una veterana Melissa Leo che si merita appieno il suo primo Oscar. Da ammirare anche il resto del cast che mostra una presenza tutta al femminile pienamente immersa nel mondo della boxe tra cui, accanto alla Leo, spicca Amy Adams, barista senza peli sulla lingua che conquisterà il cuore del protagonista, Mark Wahlberg.
Girato come un documentario, riesce in questo modo crudo e realistico a rendere al meglio la storia di Michey Ward, pugile dalla carriera non molto fortunata che riesce a conquistare il titolo mondiale dei pesi welter. Soprattutto grazie al supporto della sua famiglia, in particolare di Dickie, il fratello ex pugile ora tossico che crea imbarazzi e non pochi problemi. Sarà lui ad allenarlo e portarlo alla vittoria.
Scene drammatiche e divertenti, che riflettono quelle di una famiglia numerosa e affiatata, forse troppo. Tanti problemi, in primis quello della droga: il fratello maggiore è la mina vagante che oscura con il suo passato il presente e il futuro del fratello minore. Nonostante questo Mickey difende a spada tratta il suo mito, la sua figura di riferimento.
Non ti colpisce immediatamente, non ti prende e ti fa saltare sulla sedia dal primo momento. È piuttosto un innamoramento graduale, man mano che la storia si sviluppa e ti fa conoscere da vicino chi la anima, ti fa sentire parte di quella famiglia. Inevitabilmente ti trovi a tifare e sperare di vedere il titolo in mano di quel ragazzone che nonostante gli ostacoli e una famiglia asfissiante riesce con determinazione e coraggio a risalire fino ad arrivare all’incontro per il titolo, compiendo così l’impresa impossibile.
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