Come il suo Rocky Stallone non si arrende mai.
di Gabriele Niola
Uomo di cinema
Il motivo per il quale Sylvester Stallone è un uomo di cinema estremamente interessante, nonostante i suoi film abbiano spesso scarsissimi valori di linguaggio cinematografico, è che esiste una forte sovrapposizione tra l'uomo-Stallone e i personaggi da lui interpretati. Come pochi (e come i migliori) Stallone vive il mondo della produzione cinematografica con una sincerità e un'immediatezza che non sempre emergono ma che, quando risultano evidenti, trasformano un'opera d'intrattenimento magari mediocre in un film toccante. Rocky Balboa (il film) ci ha mostrato con chiarezza quanta identificazione esista tra persona e personaggio e come Stallone abbia subìto il percorso di sconfitta e ritorno vittorioso più volte nella sua carriera, sempre fondando tutto sul corpo ma trionfando grazie ad un superamento dei suoi limiti e all'audacia del cuore.
E un'impresa impossibile era anche I mercenari: un film all-star proveniente da un'epoca passata, totalmente anacronistico, diretto e orchestrato da una star ormai in declino e distante decenni da un vero successo al botteghino. Ancora una volta inoltre Stallone ha dovuto superare i limiti del suo di corpo, non usando quasi per nulla le controfigure e tornando in forma all'età 65 anni.
In una bella e recente intervista ad Empire, Stallone stesso ha confessato di aver toccato il fondo arrivando ad un livello in cui gli venivano proposte solo produzioni straight-to-DVD, cioè l'ultima spiaggia. Questo lo ha spinto a tentare, ancora una volta, il tutto per tutto con un film d'altri tempi che poteva anche essere il suo ultimo fosse andato male ma se non altro sarebbe stato qualcosa in cui credeva. E come Rocky, ancora una volta dopo la batosta, Stallone ha puntato tutto su se stesso, si è rialzato, ha osato e ha vinto.
La poetica stalloniana
Unico tra le star del cinema d'azione anni '80 ad aver un modo proprio di intendere il suo cinema, un mondo cioè in cui il superuomo protagonista ha come primo nemico se stesso (sia per una fobia, che per un'insicurezza, che per un trauma) e la lotta per la sconfitta del villain della storia è solo una maniera per affrontare i propri limiti, Stallone ha fatto dell'ideale del superamento dei limiti e della sfida impossibile una caratteristica della sua carriera, sicuramente più rischiosa e audace di quelle dei suoi coevi reaganiani.
Si potrebbe anche dire che, tenendo Rocky (il primo) come matrice fondamentale, quasi tutto il suo cinema più personale (molti sono stati i film interpretati per esigenze alimentari, specie negli ultimi tempi), sia stato all'insegna del superamento della carne, paradosso interessante visto come egli stesso sia stato uno dei simboli del trionfo del corpo. Rocky che si sveglia alle 5 del mattino, mangia le uova e va a correre con il freddo è il simbolo perfetto di tutto questo: un essere umano che per dimostrare a se stesso di essere migliore di quanto non creda, di poter andare oltre quelli che ritiene dei limiti, si fissa un obiettivo impossibile e piega la carne del suo corpo attraverso la volontà per raggiungerlo.
Come spesso capita nel primo grande successo c'era già tutto quanto quello che sarebbe venuto, ma come più raramente accade nel primo grande successo di Stallone era inscritta anche la sua vita. I mercenari era un obiettivo impossibile, utile a Stallone per dimostrare a se stesso di potercela ancora fare, di essere ancora in grado di tornare nelle serie A piegando il suo corpo anziano oltre ogni dire. Come nella trama di Rocky Balboa, vincere o perdere importava relativamente. Occorreva farlo per trovare un senso.
Stallone come i superuomini da lui interpretati, sembrano fondare tutta la loro vita sul corpo ma non vincono mai con la forza dei muscoli, bensì sempre con la forza della mente (o forse è meglio dire del "cuore", cioè della combattività e del sentimentalismo), che consente loro di superare prima il loro nemico interiore e poi i limiti della carne, per trionfare quindi su se stessi e di conseguenza nella storia.
In questo senso il "cattivo di turno" di ogni film stalloniano è quasi un macguffin, uno stratagemma utile a raccontare quella storia e quella risalita verso la luce. Ne sia emblema ancora una volta la saga di Rocky con il passaggio da nemico acerrimo a migliore amico di Apollo Creed. Il vero colore dei racconti stalloniani è infatti il buonismo, la pittura di un microcosmo in cui il male esiste ma è nettamente sovrastato dal bene, tanto che spessissimo in chiusura di pellicola il cattivo si ravvede in una catarsi che non disdegna le lacrime (e I mercenari in questo senso non fa eccezione, nè per la conversione nè per le lacrime). Probabilmente l'unica cosa che unisce Sylvester Stallone e Hayao Miyazaki.
Un'opera fuori dal tempo
Il superuomo è sempre esistito al cinema, anche ben prima della grande stagione dei supereroi fumettistici, erano gli uomini forti, era John Wayne, erano i detective duri, era James Bond, erano poi i protagonisti dei peplum e poi ancora Stallone e Schwarzenegger. Per almeno due decadi questi due attori più di tutti gli altri hanno incarnato la figura dell'uomo forte, il risolutore estremo e addirittura negli anni '80 in particolare hanno rappresentato la forza fisica prima di tutto. Poi quell'era (come tutte) è finita e, in maniera molto graduale, i superuomini sono diventati quelli con i superpoteri effettivi.
I mercenari arriva dunque già come un'opera fuori dal tempo, espressione di un immaginario collettivo che è proiettato indietro invece che avanti, che fa leva sul ricordo di un altro tipo di storie, di miti e quindi di cinema. Un'operazione nostalgia a modo suo, che rievoca non un'epoca della nostra vita ma un'epoca dei nostri racconti e dei nostri film.
Il solo annuncio del fatto che si sarebbe fatto un film simile (arrivato due anni fa, se non di più) ha generato interesse e dato il via ad una produzione di altri film pronti a sfruttare il ritorno della gang di uomini forti (G.I. Joe, A-Team o The Losers per fare qualche esempio), segno che Stallone (consciamente o no) ha intercettato un desiderio e una tendenza pronti a scoppiare, ma l'ha fatto senza inseguire nessuno, anzi ricalcando se stesso e la sua epoca. Tornando indietro invece che andando avanti.
E' impossibile dire ora che effetto possa avere questo successo di I mercenari, se verrà imitato o se sarà un episodio isolato, tuttavia rimane un'operazione nostalgia tra le più strane e curiose della storia del cinema, un film molto più privato e personale di quello che possa sembrare che in controluce e per grande metafora racconta la vita del suo autore. Se non è cinema questo....