POETRY
Il fiume scorre freddo, incessante ed implacabilmente uguale, portando con sé un virgulto privo di vita.
Che cos’è la poesia, se non la ricerca della bellezza? chiede l’insegnante di un corso di composizione poetica a cui decide di iscriversi l’anziana ma dinamica Mija. E’ una definizione tra tante, ma risponde alla sua domanda di sublimazione, di elevazione oltre le brutture della realtà, almeno della sua realtà personale e circostante, fatta di malattie incombenti, di familiari lontani fisicamente o affettivamente, di segreti che celano orrori compiuti e rimasti impuniti, di suicidi di giovani, di cinismo, insinuate e radicate come gramigna infestante nel perbenismo generale. Mija, avviata verso l’oscurità della mente, spesso non ricorda le parole, i verbi ma soprattutto i nomi, che connotano e dànno consistenza alle cose, ma non si perde d’animo, ha bisogno di un’arma innocua e risolutiva che la aiuti a combattere, che le consenta di filtrare il mondo esaltando il positivo e smorzando il negativo, di assicurare sprazzi di colore ad una prospettiva che si annuncia progressivamente sempre più buia. Mija non ha che scarsi mezzi di sussistenza, vive di ciò che ricava dall’assistenza giornaliera ad un anziano disabile, che, al contrario del suo destino, è fiaccato nel corpo ma padrone della sua mente, determinato a mantenere intatta la sua identità umana, compreso ciò che ne è il cardine vitale: la sua virilità. Mija vive circondata dall’indifferenza di chi, coabitando con lei e fruendo delle sue attenzioni, preferisce la televisione, il rifugio solitario della stanza e le bravate con gli amici al dialogo, al rispetto, alla riconoscenza. Mija si trova coinvolta in un terribile compromesso, al quale non può sottrarsi e che tuttavia pesa come un macigno. Quale arma migliore della poesia, per dare un senso ad un persorso così accidentato e dispensatore di insidie? Mija ha appreso che la poesia, merce ormai rara e sempre più agonizzante, necessita di “vedere” le cose, di andare oltre le apparenze, di penetrarne l’essenza profonda, per poter estrarre dal nostro intimo l’ispirazione poetica come una statua dal suo blocco di marmo. Pertanto Mija -che ama il bello, ama i fiori nel loro multiforme significato simbolico e si veste come se li indossasse, ama gli uccelli che svolazzano liberi- gira con occhio attento e pronto a raccogliere spunti, prendendo appunti, soffermandosi su ogni particolare che possa schiudere la porta della sua cercata creatività. A fine corso dovrà, come tutti gli allievi, comporre una poesia, e questo diventa l’obiettivo primario della sua vita. Mija ha bisogno di soldi, di tanti soldi per risolvere un problema per lei vitale; li troverà sia pure attraverso modalità anomale, e, grazie al potere purificatore ed energizzante che la sua ricerca le ha fornito, ricomporrà il mosaico della sua vita svelandone i significati più reconditi, capaci di andare oltre quelli delle parole, fallaci perchè si possono dimenticare. Attraverso il processo di identificazione con chi con lei ha avuto in comune i tratti indelebili della sofferenza, potrà adottare le decisioni necessarie nell’altrui interesse ed orientare con determinata convinzione il suo destino. La lettura della sua poesia, compendio di una tormentata ma limpida metamorfosi, sarà seguita nel silenzio generale dagli allievi del corso, ed assumerà il senso di una corale testimonianza dell’umana sofferenza.
Il fiume scorre freddo, incessante ed implacabilmente uguale, portando con sé cristalli invisibili di incontaminata purezza.
Prodotto tipicamente orientale nei tempi, nei gesti, nelle atmosfere, Poetry, del regista Lee Chang-dong, accreditato come uno dei massimi cineasti coreani, è ciò che una volta tanto bene esprime il titolo con una sola parola, che, a differenza di quanto succede alla protagonista, non si dimentica: Poetry, poesia, ed è appunto questa la chiave della catarsi di Mija in un mondo in cui, dietro apparenze di normale vita quotidiana, si assiste ad una perdita collettiva della memoria dei valori più autentici delle società opulente, ed al conseguente, dilagante inaridirsi della realtà umana. Un film che, lungi da ogni enfatizzazione di una delle malattie più terribili, quella che obnubila il pensiero, si concentra sul suo antidoto, esaltando la dimensione trasfigurante e sublimante del potere della fantasia e delle emozioni. Al di là di un certo senso di angoscia che emerge dalle prime immagini, il film si fa esso stesso poesia, sfociando in un finale emotivamente travolgente man mano che scorrono i versi di un grande, anonimo poeta.
CLAUDIO
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