Un professore e una prostituta: non è la vicenda squallida descritta da illustri cantautori come lo sono stati De Andrè e Gaber (si legge Città Vecchia) ma il “sunto” di un anonimo film italiano presentato fuori concorso al Festival del cinema di Venezia del 2010.
Il titolo che potrebbe far mandare gli archeologi in solluchero non è un compendiario di arte antica bensì una storia semplice, di sentimenti puri come l’amicizia tra due esistenze solitarie nella Roma cosmopolita. Parliamo di “Notizie degli scavi” di Emidio Greco adattato da un racconto (datato 1964) dello scomparso Lucentini che ruota attorno alle simpatiche quanto tristi vicende del “professore” che in realtà nulla ha del docente (malgrado un’intima predilezione per l’arte antica) tuttofare di una casa di appuntamenti in Via Principe Eugenio. Questo bizzarro personaggio, un quarantenne sovrappeso, spesso estraneo al mondo, apparentemente ritardato e confuso, abbarbicato nei suoi illusori castelli in aria spessi incongrui e inconcludenti (interpretato da un bravo e sbarbato Battiston) rivela in sé un’anima profonda, una crisalide avvolta nel suo baco incapace divenire farfalla. L’ironia delle sue consuetudini quotidiane di cui lo spettatore sorride forzatamente, trova sfogo nelle prostitute della casa e dalla protettrice di quest’ultime, una rozza donna che non perde occasione nel schernirlo e nel fargli svolgere, come un pupazzo, i lavori più umili.
Il professore bagnato dall’indifferenza e dalla derisione delle sue stesse “coinquiline” assorbe le intemperie della vita quotidiana come il nulla che è (non a caso è privo di un nome come a voler sottolineare l’assenza di un’identità propria) in una non vita che subisce una “svolta” con l’incontro, grazie a una conoscente, della Marchesa (Angioini), ex prostituta habituè del postribolo, in ospedale aseguito di un tentato suicidio per una delusione d’amore. I due da perfetti estranei si guardano, si scrutano come anime prigioniere e via via che i giorni passano e le visite all’ospedale divengono sempre più frequenti, le attenzioni tra i due cresceranno con gesti semplici e piccoli favori che sfoceranno in un sentimento di simpatia e,più in fondo, di qualcos’altro.
Cosa c’e’ di particolare in un film che a primo avviso sembrerebbe l’incrocio di due destini solitari in una Roma di ambienti sordidi, di malaffare, di solitudine, dove persone con piccole paturnie psichiche sono abbandonate al loro destino, tema già abusato in passate pellicole? Il fatto di non volere giudicare ma semplicemente descrivere l’incontro tra due anime perse con le loro peculiarità caratteriali che sembrano trovare sfogo nell’arte in un caso (le riprese alla Villa Adriana pur se affascinanti sono asettiche senza una precisa didascalia di fondo malgrado l’ottimo abbinamento musicale di fondo) e nelle parole nell’altro, fa la differenza in una commedia che di primo acchito nulla avrebbe da dire.
Eppure c’e’ un ma: le ore trascorse dal professore a guardare i frammenti marmorei, a cercare di colmare la sua ignoranza con l’arte sono testimonianza stupenda di come la cultura possa incidere sulle menti, anche quelle più deboli e possa essere diffusa come camera risonante verso il volto leggero della donna amata. Ma se la nota dolente della socialità scotta e fa riflettere, ancor più interessante sono gli sguardi tra i due che mostrano, innocentemente, frammenti di un’umanità che credevamo persa e che questo film fa bene a ricordarci.
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