Mangia Prega Ama |
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Un film di Ryan Murphy.
Con Julia Roberts, James Franco, Richard Jenkins, Viola Davis, Billy Crudup.
continua»
Titolo originale Eat Pray Love.
Drammatico,
Ratings: Kids+13,
durata 140 min.
- USA 2010.
- Sony Pictures Italia
uscita venerdì 17 settembre 2010.
MYMONETRO
Mangia Prega Ama
valutazione media:
1,86
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Lasciate ogni speranza, voi che entratedi CalebTraskFeedback: 368 | altri commenti e recensioni di CalebTrask |
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domenica 19 settembre 2010 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Mangia Prega Ama, una delle più grandi delusioni cinematografiche della stagione, dovrebbe essere preso ad esempio negativo da sceneggiatori e registi in erba poiché costituisce una summa di tutti gli errori immaginabili che si possono commettere nella stesura dei dialoghi, nella distribuzione del ritmo narrativo e in ultima analisi nella comunicazione di significato al pubblico. La disarmante banalità delle battute che l’onnipresente protagonista porge non sempre in modo impeccabile – il che solleva gravi riserve anche sull’interpretazione di Julia Roberts, forse convinta di essere in un improbabile ed inauspicato sequel di Runaway Bride- è resa più atroce dalla assenza di momenti introspettivi. Benchè le scene siano sovente giustapposte freneticamente all’interno dei tre grandi capitoli corrispondenti alle locations italiana, indiana e balinese, considerando New York come il luogo di un fugace prologo, e si proceda talvolta per ellissi e sottintesi, l’intreccio risulta tutt’altro che dinamico, dilaniato invece da una ferrea tripartizione. La complessità dei temi appare sopraffatta da una forma più consona all’estetica pubblicitaria di cui condivide, purtroppo, anche la profondità. Vorrei citare come emblematico il momento in cui la protagonista, poco dopo aver compreso in una folgorante epiphany (Joyce ci perdoni) di non amare il marito (non più di 75 secondi dell’intera narrazione dedicati a questo non insignificante noto diegetico che anticiperebbe –in votis- il tema del Pray) si reca a teatro e vede recitare il prossimo oggetto della sua affezione (non userei il termine amore): James Franco. La scena, imperdonabile nella sua goffaggine, è dominata dall’insistita inquadratura di lei di cui spiccano i capelli discutibilmente retro-illuminati più adatta ad una pubblicità di shampoo. Qui un dettaglio incongruo, inutile ai fini narrativi, prende il sopravvento sul resto distraendo lo spettatore, come troppo spesso accade nel corso del film. Una delle impressioni più nette, infatti, è il continuo contrasto tra l’intenzione di significato ed il significato realmente veicolato, tra l’attinenza a temi esistenziali di primaria importanza e la spinta centrifuga all’insignificante contingente. Si procede con un’ancor più avvilente rappresentazione del momento del piacere, ossia Eat del titolo: una serie interminabile di luoghi comuni superati forse già dai tempi di Vacanze romane, offensiva per l’audience italiana. Chi ha mai visto un appartamento fatiscente senza acqua calda corrente nel pieno centro di Roma? Chi conosce le femmine più maschiliste di quelle elogiate nel Ventennio che sono ritratte come italiane tipiche? Chi cade in estasi di fronte alla pasta al pomodoro? Quante Dian anni ’70 circolano per le nostre strade? Una parziale consolazione ci giunge dall’analogo trattamento riservato all’India. Persino il doppiaggio della ragazza autoctona incontrata nella guru-teca si sforza con successo di essere stucchevole: volendo forse riproporre la diversità dell’inglese Indian dialect rispetto allo standard americano si ottiene un eloquio impedito, come da dentiera di carnevale pressoché privo di senso. Infine, apoteosi del prevedibile, l’incontro investimento a Bali con Javier Bardem ricalca in tutto l’incontro tra Russell Crowe e Marion Cotillard di A good Year. Da subito s’intuisce il destino lettereccio che legherà i due eroi ed il finale non penso sia mai stato più agognato da un pubblico sopraffatto dalla noia, in lotta con il sonno.
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