L'illusionista

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Un film di Sylvain Chomet. Con Jean-Claude Donda, Edith Rankin, Jil Aigrot, Didier Gustin, Frédéric Lebon.
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Titolo originale The Illusionist. Animazione, Ratings: Kids, durata 80 min. - Gran Bretagna, Francia 2010. - Sacher uscita venerdì 29 ottobre 2010. MYMONETRO L'illusionista * * * 1/2 - valutazione media: 3,77 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

La magia esiste e Chomet ce ne da la prova! Valutazione 5 stelle su cinque

di il Brandani


Feedback: 1142 | altri commenti e recensioni di il Brandani
domenica 26 dicembre 2010

È la triste storia di un prestigiatore che, nella seconda metà degli anni ’50, viene sempre più allontanato dai grandi e importanti teatri, vittima dell’avvento delle giovani rock star che, al contrario, fanno il tutto esaurito. Egli si ritrova quindi costretto a esibirsi in teatri di terz’ordine, locande e bar. Un giorno, durante una sua esibizione in un locale in Scozia, conosce una ragazzina che rimane totalmente ammaliata dai suoi numeri di magia. La ragazza, emblema dell’innocenza e dell’ingenuità infantile, crede di trovarsi di fronte a un vero mago e decide perciò di seguirlo, lasciando il suo lavoro di sguattera, nella speranza che la sua magia possa offrirle un futuro migliore. Il prestigiatore non ha la forza di spezzare questo tenero incantesimo e dirle la verità, ma prima o poi tutti i bambini scoprono che Babbo Natale non esiste..
Dopo l’audace e bellissimo Appuntamento a Belleville, Sylvain Chomet supera sé stesso e ci regala questa perla alla quale non posso trattenermi dall’assegnare il massimo dei punti.
La bellezza dei fondali disegnati a mano (straordinariamente coerenti con i paesaggi reali) si sposa felicemente con qualche passaggio di telecamera realizzato in computer grafica sapientemente somministrata in dosi leggere. Chomet crea un mondo in cui naufragar ci è dolce, dove la consapevole mancanza di un nitido che tutto illumina (ma che spesso tutto rende artefatto) conferisce alla pellicola la bellezza di un cartone animato anni ’40, quelli, per intenderci, con gli sfondi realizzati con la tecnica dell'acquarello (dei quali capostipite è sicuramente Biancaneve e i sette nani di Walt Disney).
Ma il vero punto di forza del film sono sicuramente i personaggi.
Chomet muove le sue creature nei meandri più tristi della condizione umana, quelli della rinuncia alla realizzazione di un sogno: impossibile non provare dolore per le vicende che coinvolgono il clown e il ventriloquo, personaggi nei quali, volendo, si potrebbero scorgere degli echi felliniani (La strada, I clowns) e prima ancora chapliniani (Il circo).
Elemento molto importante che dimostra la maestria con cui è stato girato questo film è la scelta, divenuta ormai firma del regista, di non far mai parlare i personaggi. Tralasciando qualche sussulto, due, massimo tre parole sommesse, Chomet ripone molta più fiducia nella comunicatività delle loro espressioni e delle loro fisionomie: si tratta di vere e proprie caricature in movimento, dotate di una accattivante potenza satirica che si traduce in atto nel semplice ma efficace linguaggio del corpo. Il ciclista di Appuntamento a Belleville, con il suo corpicino minuto e i polpacci esageratamente sviluppati, era solo un bozzetto in confronto all’impatto comunicativo delle movenze delle rock star di questa pellicola.
A questo punto chi legge sono certo che si domanderà: “ok, dev’essere sicuramente un bel film, ma il massimo dei voti si da a un capolavoro: dove risiede in tutto ciò lo slancio per la tanto ambita quinta stella?”
Per rispondere a questa domanda è opportuno fare un approfondimento sulla genesi del film. Jacques Tati era un attore e mimo specializzato nella slapstick comedy, particolare tipologia di comicità che vide in Buster Keaton e in Charlie Chaplin i suoi massimo esponenti. Vincitore del premio Oscar nel 1958 con il lungometraggio Mon Oncle, da lui diretto e interpretato, Tati scrisse la sceneggiatura de L’illusionista nel 1956 ma essa rimase soltanto un insieme di fogli fino alla morte del suddetto. Fu solo grazie a Sophie Tatischeff, la figlia del regista, se oggi abbiamo il piacere di vedere questa meraviglia. Desiderosa di vederne la realizzazione, anche perché considerata come una lettera d'amore da parte del padre, Tatischeff acconsentì ad affidare la sceneggiatura a Chomet, nel quale vide la persona più adeguata a tale scopo.
Questa premessa è indispensabile per comprendere al meglio una scena nella seconda metà del film, la quale gli conferisce, per l’appunto, a mio avviso, l’ultima spinta per toccare le 5 stelle.
A un certo punto il prestigiatore, nel cercare la ragazza, finisce in un cinema in cui stanno proiettando Mon Oncle. Una volta entrato si blocca alla vista del protagonista del film, sorprendentemente simile a lui. In un inaspettato gioco di finzione Chomet ha posto il suo personaggio (che ha le sembianze di Jacques Tati) in posizione frontale rispetto al protagonista di Mon Oncle (interpretato da Jacques Tati), nel preciso momento in cui, nella reale sequenza mostrata, egli è nella medesima posizione rispetto al personaggio animato. Si viene così a creare un geniale gioco di specchi in cui i due personaggi, per qualche istante, compiono gli stessi movimenti e manifestano la stessa perplessità. La ciliegina sulla torta: una volta uscito dalla sala si può notare che il nome del cinema è Cameo. Applausi.
Tatischeff può ritenersi ampiamente soddisfatta, non poteva trovare un regista più adatto per far tornare in vita e al tempo stesso omaggiare il genio del padre.
Insomma, un film fantastico, magico, che per un’ora e mezza ci affascina, ci cattura e ci ammalia esattamente come l’illusionista con la giovane ragazza, ma che non si tira indietro nel farci del male, e se decide di farlo, non ha nessuna pietà. Premunitevi di un pacchetto di fazzoletti.

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