La nostra vita

Ho visto il film di Luchetti La nostra vita una sola volta. Quindi puo' darsi che i miei ricordi siano imprecisi. All'uscita, mi pareva che i mattoni che tenevano in piedi la famiglia di Claudio, andati in pezzi alla morte improvvisa della moglie Elena, si fossero alla fine tutti ricomposti. Proprio tutti. Fin troppo, mi sembrava. Poi lentamente, come se dal fondo si andasse liberando una sostanza vischiosa, ho cominciato a capire: quello che mi era parso un film tutto sommato eccessivamente conciliante, era al contrario la fotografia impietosa (a tratti divertente, è pur sempre una commedia!) di una catastrofe avvenuta, una sorta di day after nell'Italia di oggi (e la localizzazione romana così accentuata forse non gli giova del tutto). Ne La nostra vita non c'e' traccia di Stato, lo Stato inteso come ordinamento giuridico politico che articola la propria potesta' nell'interesse collettivo. Nel film lo Stato appare disossato, lo scheletro di aggregazioni e strutture sociali che lo teneva su, si e' sfaldato. Mi spiego: non esistono piu' nidi per l'infanzia, non uno straccio di servizi sociali: i figli di Claudio, rimasti senza mamma, vengono affidati alla vicina di casa, una ex prostituta, e al suo convivente spacciatore; i lavoratori edili - assunti in nero e senza permesso di soggiorno – lasciati senza stipendio, non si rivolgono al sindacato (evocato solo come minaccia), tanto meno al tribunale: se ne vanno, portando con se' trapani e cacciaviti della ditta, in una sorta di micro giustizia-fai-da-te. Non esistono ispettori che controllino i cantieri dove corpi di operai morti sul lavoro vengono sepolti senza che nessuno se ne curi, macerie dell'edilizia anche loro. Non ci sono partiti di alcun colore. L'unica istituzione sociale sopravvissuta e' l'ospedale dove Elena, una giovane donna in apparenza sana e vitalissima, imprevedibilmente muore di parto. Di tutta l'organizzazione preposta a governare il vivere civile per superare il carattere ferino e arcaico del rapporto individualistico e antagonista di ciascuno contro tutti, e' rimasta solo la famiglia, la cerchia dei parenti che si stringe, amorevolmente granitica, attorno al congiunto rimasto vedovo, con tre figli piccoli da mantenere, rovinato economicamente. La nostra vita racconta la realta' di un Paese, il nostro, in cui allo Stato si e' sostituita la Famiglia– quando c'e'. Qui c'e': comprensiva, generosa, accogliente che fornisce a Claudio -a costo di svenarsi- i mezzi finanziari per uscire dalla crisi. E lui ne uscira', non gia' rivolgendosi finalmente a lavoratori regolari in un contesto di legalita', bensì affidandosi a un'altra squadra di muratori poveri diavoli, soggetti a un caporalato schiavista, solo piu' efficiente. Che fara' Claudio il giorno dopo la festa che conclude il film? diventera' finalmente un imprenditore in regola oppure un padroncino piu' abile a sfuggire gli obblighi di un mestiere pieno di "impicci"? Ma questo e' un altro film. Ora Luchetti ci ha dato La nostra vita e percio' va ringraziato di cuore. Naturalmente bravissimo Elio Germano! E a lui grazie anche per la dedica del Premio.nikipi