INCONTRERAI L'UOMO DEI TUOI SOGNI
Cito un pensiero di Woody Allen: "Credo che la vita sia un lungo, doloroso incubo privo di significato e che l'unica possibilità di essere felici sia mentire a se stessi....". Ancora, parafrasando Shakespeare: "E' tutto rumore e furia, e alla fine non vuol dire nulla". Non c'è da stare granchè allegri a riflettere sulla cornice folosofica dell'autore che, quanto a pessimismo (che sembra aumentare con il progredire dell'età), sembra voler gareggiare con certi film dei colleghi Cohen. Non c'è niente da fare, l'uomo è fallace, è meschino, è incapace di costruirsi -e mantenere su livelli accettabili- una vita soddisfacente, e tutto ciò porta inesorabilmente all'unico approdo possibile, cui non si sfugge, sia pure dopo effimeri successi: il fallimento, l'irraggiungibilità degli obiettivi finali. Questo il tema di fondo, tutt'altro che nuovo, dell'ultimo film di Allen, che per l'occasione ritorna a girare a Londra.
Per dimostrare la sua tesi, egli inscena alcune storie di persone di normale quotidianità -tratte dal suo ambiente preferito, quello della media o alta borghesia- intrecciate fra di loro da rapporti di parentela, secondo uno schema che tende a rappresentare un'ampia gamma di tipologie umane, comportamentali e situazionali in cui possa in qualche modo trovare posto il transfert di identificazione dello spettatore.
Ecco quindi l'attempato marito che, per scacciare l'imminente vecchiaia, conosce e sposa una ragazzetta oca e puttanella quanto succhiasoldi ed opportunista, accorgendosi dell'errore quando ormai è troppo tardi per tornare sui suoi passi; la figlia delusa dal menage familiare che si innamora del nuovo datore di lavoro, sprofondando nella vana illusione di essere ricambiata; suo marito scrittore che, dopo il successo del primo romanzo e la conquista di una giovane dirimpettaia, perde l'ispirazione e crede di porvi rimedio grazie ad un furto letterario. Ma è soprattutto l'ultima protagonista, moglie abbandonata del primo e madre invadente della seconda, che impersona al meglio la visione esistenziale e la quadratura del cerchio di Allen: l'anziana signora è succube di un'improvvisata indovina (a cui si riferisce il titolo) che le predice ciò che lei vorrebbe sentirsi dire, e vive in un mondo virtuale tutto suo che non ha nulla a che fare con la dura realtà che schiaccia gli altri mortali; grazie a questo si salverà e conoscerà un libraio occultista e perso sulle tracce più o meno percepibili dell'anima della defunta moglie, quindi anche lui fuori dalla realtà. "Le uniche persone felici sono coloro che non si rendono conto della realtà, gli sciocchi, i pazzi, che però alla fine sono più felici di me" (ancora Allen). C'è comprensione, c'è indulgenza verso i personaggi, visti come vittime più che come artefici dei propri fallimenti. Tranne che per uno, lo scrittore fedifrago, per il quale non c'è pietà e si profila un duro redde rationem.
Niente di nuovo quindi sotto il sole; stesso tema, differenti contesti per trasmetterci il solito messaggio di desolato sconforto verso l'umana esistenza, il tutto espresso -anche con l'aiuto di una voce narrante come nel penultimo film- con la consueta soave leggerezza. Ma non si ride durante la visione del film, che è difficile definire commedia sia pure sui generis; non ci sono le famose brillanti battute che compensano l'amarezza di fondo; nè si gode dei guizzi di genialità dei dialoghi cui Allen ci aveva abituato. Anche il cast non mi sembra impeccabile: accanto al grande Anthony Hopkins, che ci stupirebbe anche se interpretasse un rude boscaiolo o il matto del villaggio o uno scaricatore di porto in pensione, ed alle ottime e credibili Naomi Watts e Gemma Jones, c'è un Banderas che gigioneggia senza essere Nicholson, e Josh Brolin, spaesato sosia di Schwarzenegger che mi sembra più indicato nel ruoli da duro dei film dei fratelli Cohen.
Insomma una prova d'autore (un autore che rimane pur sempre uno dei più grandi della filmografia mondiale) al di sotto delle aspettative. Per chiudere mi sento di sintetizzare così il messaggio che ho percepito alzandomi piuttosto depresso a fine proiezione: la speranza è la penultima a morire; l'ultima è la consapevolezza che non c'è speranza.
CLAUDIO PIPITONE
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