Napoli, muore detenuto del carcere di Poggioreale. I familiari vengono avvisati solo quattro giorni dopo.
La notizia è apparsa sui giornali il 14 ottobre 2021. Gaetano Di Vaio ha realizzato questo docufilm denuncia nel 2010.
La situazione pertanto a distanza di dieci anni non è cambiata.
Di Vaio dimostra in maniera incontrovertibile come la pena inflitta al reo a Napoli si estenda ai familiari.
Le file per un colloquio con i detenuti iniziano alle 21 e 30 del giorno prima.
Gente accalcata in uno stretto corridoio all’aperto, ricavato sul marciapiede che costeggia le mura del carcere, aspetta quindi un’intera notte all’addiaccio e per giunta senza avere la certezza di incontrare il proprio congiunto, perché, a detta dei familiari intervistati, in caso di trasferimento o malattia del detenuto i parenti non sono preventivamente avvisati.
Le istituzioni non si dimostrano eticamente migliori rispetto alla popolazione ospitata, peraltro inadeguatamente, nelle patrie galere.
Il film inchiesta di Di Vaio, tuttavia, non si ferma alla narrazione asettica, tipica dei servizi di cronaca giornalistica. Di Vaio entra con la cinepresa nell’intimità delle case cogliendo le famiglie che hanno un parente carcerato nella loro quotidianità, nel loro essere madri, sorelle, figlie, mogli private del loro congiunto, secondo quanto prescrivono le leggi penali, è vero, ma abbandonate colpevolmente dallo Stato e questo è inaccettabile e va contro ogni sentimento di umana giustizia. Una umanità che, sebbene calpestata, nell’ultima sequenza dimostra una vitalità insopprimibile e la sua voglia di vivere e di gioire si manifesta nei modi più semplici, stappando una bottiglia e sparando i fuochi di artificio per festeggiare il ritorno a casa di una donna messa agli arresti domiciliari. La tavolata a Natale si farà, almeno in quella famiglia. E’ un attimo di tregua e di pace nella dura battaglia della sopravvivenza in una città che in alcuni quartieri degradati non sembra offrire alternative alla vita criminale.
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