enrique
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sabato 12 marzo 2011
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bel film
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In un India dove la vita scorre lenta, la violenza sulle donne corre veloce. Coraggiosa produzione che affronta una tematica sconosciuta e ancora nascosta. Impossibile rimanere indifferenti.
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reservoir dogs
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lunedì 23 maggio 2011
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omologazione indiana
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Upin (Hussain), fotoreporter per un giornale si reca a Purulia per svolgere un reportagé sulle donne tribali del posto, l'incontro con Gangor (Bose), un indigena, lo colpirà tanto da fotografare la donna mentre allatta.
La foto pubblicata poi in prima pagina nel giornale desterà scalpore tra glia abitanti del luogo attivando così un meccanismo fatto di violenza e denigrazione nei confronti della donna.
Sconvolto dal rimorso Upin cercherà nuovamente Gangor ma toccherà alla forti e constestatrici donne del posto a redimere la giovane sfortunata.
In concorso al quinto Festival Internazionale di Roma ispirato da un racconto tratto dalla "Trilogia del seno" di Mahasweta Devi.
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Upin (Hussain), fotoreporter per un giornale si reca a Purulia per svolgere un reportagé sulle donne tribali del posto, l'incontro con Gangor (Bose), un indigena, lo colpirà tanto da fotografare la donna mentre allatta.
La foto pubblicata poi in prima pagina nel giornale desterà scalpore tra glia abitanti del luogo attivando così un meccanismo fatto di violenza e denigrazione nei confronti della donna.
Sconvolto dal rimorso Upin cercherà nuovamente Gangor ma toccherà alla forti e constestatrici donne del posto a redimere la giovane sfortunata.
In concorso al quinto Festival Internazionale di Roma ispirato da un racconto tratto dalla "Trilogia del seno" di Mahasweta Devi.
In un India lontana da cliché (Bollywood e i suoi musical fatti di danzanti teatrini), ammaliante rossellinianamente e pasolinianamente parlando, attraverso un sguardo particolarmente documentarista ed empatico Italo Spinelli mostra un ritratto femminile dove il seno, portatore del latte della vita diventa oggetto erotico nella società "benpensante", repressiva e maschilista.
La fotografia è l'elemento per catturare una realtà (quella indiana) fatta di continue disuguaglianze nel luogo dove la quotidianità povera e semplice è anche crudele e misogina.
Il film fa perno principalmente sui due volti discrepanti dell'India; quello "occidentalizzato", freddo e distaccato di Upin fatto di mezzi di comunicazione costretti ad una cernita di notizie considerate "meno importanti" e quello rurale e multietnico di Gangor dove la donna, in lotta per l'uguaglianza, viene sfruttata nel lavoro e nella vita "sociale" - due volti discrepanti dunque - ma facenti parte della stessa contradditoria e sfaccettata medaglia in cui l'Omologazione e la modernizzazione, citando Pasolini, diventa un arma a doppio taglio del tutto ingestibile per ogni tipo società.
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pakkyvera85
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sabato 12 marzo 2011
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gangor, perché c'è ancora tanto da fare
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Mai come in questo periodo storico particolare, un prodotto cinematografico come Gangor può divenire il manifesto della denuncia per un' emancipazione femminile, ancora agli esordi in molti paesi del mondo (e nel nostro?).
Gangor, una co-produzione italo-indiana, presentato all'ultima edizione del Festiva di Roma, è un film di denuncia sociale che racconta le differenze culturali esistenti e la percezione differente che un soggetto fotografico può scaturire all'interno delle comunità locali. Gangor - Privata Bose - è la protagonista di uno scatto fotografico a opera di Upin - Adil Hussain - fotoreporter recatosi nel Bengala Occidentare per realizzare un reportage sugli abusi sofferti dalle donne indigene del luogo.
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Mai come in questo periodo storico particolare, un prodotto cinematografico come Gangor può divenire il manifesto della denuncia per un' emancipazione femminile, ancora agli esordi in molti paesi del mondo (e nel nostro?).
Gangor, una co-produzione italo-indiana, presentato all'ultima edizione del Festiva di Roma, è un film di denuncia sociale che racconta le differenze culturali esistenti e la percezione differente che un soggetto fotografico può scaturire all'interno delle comunità locali. Gangor - Privata Bose - è la protagonista di uno scatto fotografico a opera di Upin - Adil Hussain - fotoreporter recatosi nel Bengala Occidentare per realizzare un reportage sugli abusi sofferti dalle donne indigene del luogo. L'obiettivo di Upin però cattura l'immagine di Gangor, bellissima donna indigena, mentre, con un seno scoperto, allatta il suo bambino. La donna è di rara bellezza e immediatamente la foto fa il giro del mondo, scatenando l'ira della comunità locale indiana e costringendo Gangor a seguire il tragico destino che quella foto le ha riservato.
Italo Spinelli affronta in modo superbo la forte contrapposizione esistente nella società indianda tra quelli che conducono una vita agiata e gli abitanti delle bidonville, inserendo il caso, ancora più tragico, degli abitanti di un'antica etnia indigena costretti a vivere di stenti e a subire le peggiori violenze fisiche e psicoogiche. L'analisi di denuncia che viene fuori è estremamente pulita e perfetta. La situazione politica, la corruzione delle autorità locali e l'indifferenza della stampa internazionale sono i temi che Spinelli affronta in questo lungometraggio presentandogli come aspetti e lati di una stessa medaglia. E la medaglia in questo caso è la condizione della donna, sfruttata anche da quei media che si spacciano come "portatori di civiltà", ma che il loro unico obiettivo è quello di manipolare la realtà per vendere di più. E come la storia di Gangor ci dimostra, chi finisce per pagare il prezzo più alto in questo circolo vizioso è come sempre il soggetto più debole e assolutamente indifeso.
Da vedere perché - purtroppo - c'è ancora tanto da fare.
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brian77
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sabato 12 marzo 2011
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insostenibile
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A un certo punto la noia diventa insostenibile. Immagini prive di qualsiasi fascino o interesse tenute per tempi lunghissimi, per lo più meramente descrittive. Situazioni in cui tutto è già scontato all'inizio della sequenza e lo spettatore deve stare lì, fermo, in silenzio, ad aspettare impaziente che la scena finisca, perché intanto succede sempre e solo la cosa più ovvia e scontata. A un certo punto il reporter che ama fotografare le donne indiane povere a seno nudo per arrapare il proprio obiettivo si mette perfino a piangere, perché dopo un'ora e passa di film arriva a capire quello che una qualsiasi persona di media intelligenza capisce nel momento in cui scatta le foto per pubblicarle.
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A un certo punto la noia diventa insostenibile. Immagini prive di qualsiasi fascino o interesse tenute per tempi lunghissimi, per lo più meramente descrittive. Situazioni in cui tutto è già scontato all'inizio della sequenza e lo spettatore deve stare lì, fermo, in silenzio, ad aspettare impaziente che la scena finisca, perché intanto succede sempre e solo la cosa più ovvia e scontata. A un certo punto il reporter che ama fotografare le donne indiane povere a seno nudo per arrapare il proprio obiettivo si mette perfino a piangere, perché dopo un'ora e passa di film arriva a capire quello che una qualsiasi persona di media intelligenza capisce nel momento in cui scatta le foto per pubblicarle. E noi dobbiamo star lì fermi sulla sedia a vedere uno che piange: ogni immagine non presuppone mai che ci sia qualcuno seduto in sala che vede un film... Questo non è andare al cinema, è una camera di tortura.
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