Biutiful

Il guerriero Bardem nella cupa Barcellona

Il regista messicano Alejandro Gonzalez Iñárritu ha segnato lo scorso decennio - il primo del secondo secolo di vita del cinema - imponendosi tra le figure più innovative del panorama mondiale. Si lascia alle spalle la trilogia composta da Amores Perros, 21 grammi e Babel, concepita con lo sceneggiatore Guillermo Arriaga e accompagnata da eccellenti cast per metà di lingua spagnola (Gael Garcia Bernal e Benicio Del Toro) e per metà di lingua inglese (Sean Penn, Brad Pitt), ma non cambia in modo sostanziale stile, temperatura e sguardo nel suo nuovo film Biutiful. Concentrato a Barcellona - ritratta come scura, ostile e inospitale: cattiva - e affidato al carisma dominante dello spagnolo Javier Bardem, diversamente dalle policentriche storie precedenti, Biutiful ripropone tuttavia la stessa sensibilità delle altre prove. Che - tutte e tre - rinnovavano il medesimo schema dei diversi destini incrociati. Tre episodi nei primi due film, struttura più articolata nell' ultimo caso. La vita del protagonista, Uxbal, e anzi più esattamente le ultime settimane di vita di un uomo che ha scoperto di avere i giorni contati, disinteressato a curare se stesso ma piuttosto a lasciare le cose il più possibile in ordine prima di andarsene, è divisa tra urgenze e richiami che una quotidianità incalzante quanto miserabile gli sottopongono senza un attimo di tregua. Guerriero solitario e indurito, Uxbal si sbatte senza sosta e respiro tra visite mediche e sofferenze provocate dal male; l' ex moglie Marambra sofferente e inaffidabile, i due adorati figli ai quali si sforza di garantire un' esistenza normale, e il retaggio di una famiglia di origine della quale non ha conosciuto mai né guida, né calore né protezione; gli oscuri traffici di cui vive gestendo manodopera clandestina cinese e senegalese; e infine le periodiche visite a una veggente che con lui condivide il dono, il maledetto dono del contatto con l' aldilà. Proprio come il personaggio di Matt Damonin Hereafter di Clint Eastwood. Irreparabilmente malato e corrotto, cupo, piagato è il mondo che vede Uxbal, il solo che egli conosca e in cui creda. E anche quello prediletto dallo sguardo artistico del regista. È la sua cifra: desolata e desolante. Così come è sua ancora una volta, nell' essere fedele a se stesso malgrado cambiamenti e novità della struttura narrativa meno ramificata e corale, l' impronta di uno stile barocco e ridondante. Che accumula materia e preferisce gli itinerari contorti a quelli lineari. Però non sempre lasciando un' impressione di necessità espressiva, a volte suggerendo, invece e anzi, l' impressione dell' artificio e del vezzo, dell' esibizione stilistica compiaciuta, gratuita e narcisistica. Salva restando, beninteso, l' ammirazione per una personalità forte che lascia la sua traccia, che ha i tratti inconfondibili del protagonista. Del vero autore.
Da La Repubblica, 5 febbraio 2010


di Paolo D'Agostini, 5 febbraio 2010