Biutiful |
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Un film di Alejandro G. Iñárritu.
Con Javier Bardem, Maricel Álvarez, Eduard Fernández, Diaryatou Daff, Cheng Taishen.
continua»
Drammatico,
durata 138 min.
- USA 2010.
- Universal Pictures
uscita venerdì 4 febbraio 2011.
MYMONETRO
Biutiful
valutazione media:
3,50
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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L'epica testamentaria del 'New Deal' ispanicodi gianleo67Feedback: 61482 | altri commenti e recensioni di gianleo67 |
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giovedì 21 maggio 2015 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Uxbal vive a Barcellona e si muove sul filo della legalità, procurando manodopera clandestina, corrompendo la polizia e cercando di accumulare quanto più denaro possibile per far fronte all'educazione ed alla crescita dei due figli ancora piccoli che vivivono insieme a lui dopo la separazione da una moglie inaffidabile e psichicamente instabile. Quando gli viene diagnosticato un tumore ormai in fase terminale, la sua prospettiva muta radicalmente e cerca di utilizzare il tempo che gli resta per sistemare i suoi conti col mondo e lasciare un ricordo di sè che non sparisca insieme alla sua fallace esperienza terrena.
Ideato, scritto e diretto dall'acclamato maestro messicano e quarto di una pentalogia di lungometraggi che gli hanno conferito una fama più che meritata e l'interesse indiscusso degli apparati produttivi hollywoodiani, questo dramma esistenziale a sfondo sociale rientra a pieno titolo nel New Deal di un cinema ispanico (producono oltre allo stesso autore anche Guillermo del Toro ed Alfonso Cuarón) in grado di contaminare con straordinaria competenza tecnica l'impegno civile di tematiche forti e controverse (lo sfruttamento degli ultimi della terra, i traffici di morte, le devastazioni dei conflitti bellici, il relativismo etico delle cosidette società democratiche) con le istanze di uno spiritualismo laico che conferisca al vuoto di valori che affligge la modernità il senso più profondo legato alla straordinaria complessità della natura umana. Non fa difetto questo ennesimo capitolo di una deriva esistenziale che precipita il suo protagonista nel livore plumbeo di una Barcellona tetra e maledetta, vero e proprio girone dantesco di un inferno in terra dove sembrano convivere la prosaica materialità di un laido attaccamento al denaro ed al possesso con la (insostenibile) pesantezza dell'essere di una spiritualità che traguarda un confine altro, il triste orizzonte di oltra-Stige cui si affacciano le anime disperate di chi abbandona suo malgrado le spoglie mortali ed approda in una dimensione remota e dolorosa, separandosi a forza dagli indissolubili legami che li avvincono ad i loro affetti ed alle loro passioni terrene. Attraversato dal triste presagio di morte che si materializza nel dormiveglia di una dimensione incerta tra il sogno e la realtà (il dialogo col nonno morto, il ripugnante nugolo di falene che infesta il soffitto, il talento vero o presunto di una spiritualità medianica che gli consenta di comunicare a pagamento con le nolenti anime dei defunti, le irrevocabile sentenza di una afflizione mortale), il film di Inarritu si muove smarrito e sgomento tra lo squallore di una vita miserabile fatta di sfruttamento e corruzione (quella del protagonista come quella di chi gli gira intorno) e l'inutile tentativo di una redenzione terrena fatta di buone azioni senza speranza (la cura per la famiglia di un immigrato arrestato, le stufe acquistate per gli operai cinesi che si trasformano per ironia della sorte in tragici strumenti di morte, l'ambigutà etica di un talento medianico a fini di lucro) e responsabili cure familiari, lungo il tragitto di un'epica testamentaria che si interroga dall'inizio alla fine (con tanto di dedica al padre del regista) sul rapporto di continuità tra le generazioni e sul grido di dolore dell'uomo solo posto di fronte all'irrevocabilità della propria esistenza, consapevole che lasciare una traccia di sè sia l'unico modo di dare un senso al travagliato cammino della propria esperienza umana. Pur negli elementi di un cinema autoriale che forza la mano sul versante di un simbolismo talora obbligato e programmatico (da qualche parte bisogna pur iniziare), è un film intenso e vibrante che sa sfruttare al meglio gli espedienti di un'estetica dell'eccesso a fin di bene e la sua vocazione al racconto allegorico che si faccia corpo e voce del dolore e della struggente bellezza del mondo. Attori eccezzionali tra cui giganteggia per bravura e partecipazione la maschera compassionevole e dolente di un superlativo Javier Bardem che si becca giustamente una sfilza di nomination (Oscar, BAFTA e Globe) e due premi più che prestigiosi (Goya e Cannes). Consacrazione.
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