Biutiful |
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Un film di Alejandro G. Iñárritu.
Con Javier Bardem, Maricel Álvarez, Eduard Fernández, Diaryatou Daff, Cheng Taishen.
continua»
Drammatico,
durata 138 min.
- USA 2010.
- Universal Pictures
uscita venerdì 4 febbraio 2011.
MYMONETRO
Biutiful
valutazione media:
3,50
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Biutiful, adagio assai.di Livio CostarellaFeedback: 100 |
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mercoledì 9 febbraio 2011 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Scavare nel dolore per esorcizzarlo. Guardarlo e toccarlo. Adagio e assai. Forse è lì il senso ultimo di tutte le cose, che si contorcono a dismisura per ritrovare, a un certo punto, un senso infinito di pace. «Perché dolore è più dolor, se tace», direbbe Giovanni Pascoli. E allora c’è poco da nascondere, ci ricorda Alejandro Gonzalez Inarritu: meglio scorgere in faccia la miseria imperante, capiremo meglio chi siamo. Così Barcellona non è solo il top della movida turistica europea del momento, ma una città imbarcata nei suoi drammi quotidiani multietnici. Tuttavia la vita è “Biutiful”, come sogna una bambina di 10 anni che nel suo disegno falsa sinistramente la giusta scrittura dell’aggettivo inglese. Il talentuosissimo Inarritu non delude neanche stavolta. E anche se “Biutiful” non lascia scampo, se non nel bellissimo e poetico finale, c’è una potenza visiva straordinaria che tiene incollati 2 ore 20 minuti alla sedia: è l’immenso Javier Bardem, che nei panni del morente Uxbal, invita a soffrire con e per lui. Soffre anche la camera di Inarritu, impossibilitata a star ferma su un cavalletto, ma costante nel tremolare accanto al suo eroe pieno di metastasi. Sporco affarista o tenero padre di famiglia? Cinico o impaurito da una vita che lo sta per lasciare? Eppure lui il rumore del mare e delle onde lo conosce. La metafora di “Biutiful” è più profonda di quanto si pensi: nella profondità del mare si agitano le paure inconsce di Uxbal e sembra quasi di rivedere tutta la società odierna alla deriva, di uomini privati di una dignità e di un posto decente in cui dormire. Ma quanto più è forte l’angoscia e sono irte le spine dei cuori dei protagonisti, tanto più sarà dolce il senso del riscatto, che solo la morte può dare. Lo svela il bianco marmoreo della foresta innevata, contraltare finale della putrida oscurità che pervade il film, zeppa di neon e sapori ormai irriconoscibili. Ma c’è un altro contraltare forte, magico e rivelatore: il contrasto musicale. La chitarra di Gustavo Santaolalla (compositore immancabile nei film di Inarritu) ha una presenza fortissima e accompagna meravigliosamente, nelle distorsioni sonore, quelle visive e fisiche di Uxbal. Il riscatto è il dolcissimo “Adagio assai”, dal Concerto in sol di Ravel per pianoforte e orchestra, che interviene in due momenti. Nel primo suggerisce la “pietas” estrema per i cinesi soffocati e nel finale lascia attoniti e rapiti, con quell’assolo del piano che sfocia in una delle più belle entrate orchestrali della storia della musica. Ravel ultimò il brano nel 1931 e sappiamo con certezza che gli era stata diagnosticata una malattia cerebrale che nel giro di dieci anni l’avrebbe portato alla morte. Eppure il compositore francese scrisse una delle pagine più belle di sempre, il testamento di un’anima sublimata nell’arte. Così Uxbal “mette a posto le cose”, prima della sua dipartita terrena. E poi il finale - come già detto - rubato ai Coen. Chi non ricorda il sogno di “Non è un paese per vecchi” dello sceriffo Tommy Lee Jones? Suo padre lo aveva superato con una fiaccola per accendere un fuoco da qualche parte in mezzo al buio e al freddo. Forse da qualche parte, in mezzo a tutto il buio e il freddo che ci circonda, c'è ancora una speranza, una luce che ci aspetta? Uxbal ritrova il padre nella foresta incantata, gli sorride nell’ascoltare i suoi versi che riecheggiano il mare. E termina con una domanda: «Cosa c’è lì?». La quiete, risponde Ravel.
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