Intervista esclusiva alla più giovane delle sorelle Fontana.
di Edoardo Becattini
La moda e i costumi sono ciò che determinano la forza e il colore di uno spettacolo, al punto da diventare in alcune occasioni oggetto di grandi storie e appassionanti racconti. E così, dopo averci narrato la vita straordinaria di Coco Chanel, Rai e Lux Vide si sono impegnate a fare altrettanto con il più famoso atelier italiano dell'epoca gloriosa della Dolce Vita: l'Atelier Fontana. Fondato da tre sorelle cresciute nella provincia di Parma con aghi e forbici in mano, l'Atelier Fontana arrivò in poco tempo a vestire tutte le più belle dive della Hollywood sul Tevere o le eleganti principesse e premières dames dell'epoca. Nel piccolo schermo le tre sorelle della moda Zoe, Micol e Giovanna sono rispettivamente Anna Valle, Alessandra Mastronardi e Federica De Cola. Se per la ex Miss Italia e l'adolescente innamorata de I Cesaroni non si tratta del primo ruolo da protagonista, la terza, che interpreta la più giovane delle tre sorelle, è al primo grande ruolo per una produzione della Rai. Giovane ma non certo inesperta, visto che i suoi esordi sono di tutto rispetto: molta esperienza teatrale in giro per l'Italia, un provino con Marco Bellocchio mancato per pochissimo (per Il regista di matrimoni, in cui non fu presa solo a causa della forte differenza d'età con il protagonista Sergio Castellitto), e un biglietto sulla nave diretta verso il Nuovomondo di Emanuele Crialese. In televisione, ha partecipato a La vita rubata con Beppe Fiorello, alla biografia di Giacomo Puccini e a un episodio di Montalbano, ma quest'anno la vedremo in molte ricche produzioni televisive (oltre alle sorelle Fontana, ha preso parte alla biografia di Edda Ciano, la figlia ribelle di Mussolini, e a Violetta, trasposizione de “La traviata” con Vittoria Puccini). Molti dei registi con cui ha lavorato l'hanno poi richiamata in ruoli più ampi, come Alberto Negrin, che dopo L'ultimo dei Corleonesi, l'ha messa accanto a Pierfrancesco Favino in Pane e libertà, o come lo stesso Riccardo Milani, che dopo averla diretta in Rebecca, la prima moglie, l'ha scelta per chiudere il trio delle sorelle sartine.
Mentre ci rendiamo conto che i suoi occhi emanano la stessa grazia luminosa e sbarazzina dello sguardo della sua attrice preferita, Audrey Hepburn, abbiamo conversato con lei di presente, di passato e di futuro.
Dopo molto teatro e uno dei film italiani più importanti dell'ultimo decennio, il 2011 ti porta dentro alcune delle più importanti produzioni Rai. Come vivi questo periodo?
Sono molto felice, chiaramente. Sono carica di aspettative e anche un po' di ansia. Quando hai l'occasione di fare un personaggio ricco e importante come quello di Giovanna Fontana, ti poni grandi aspettative e arrivi a chiederti: “l'avrò fatto bene?”, “sarò riuscita a rendere le aspettative sul personaggio?”. Oltre ai normali interrogativi su cosa mi porterà interpretare questo personaggio, se il mio lavoro verrà notato, se verrà apprezzato.
Come ti sei avvicinata alla storia delle sorelle Fontana?
Nella storia io interpreto Giovanna Fontana, che è la più piccola delle tre sorelle, anche se nella realtà correvano solo pochi anni fra di loro. Ho cominciato lavorando sull'autobiografia scritta dalla signora Micol Fontana, “Lo specchio a tre luci”, e sulle somiglianze e le differenze fra questa e la sceneggiatura ho cercato di farmi un'immagine più completa del mio personaggio. Poi è stato fondamentale l'incontro con la figlia di Giovanna Fontana: la signora Roberta. Ascoltarla raccontare quanto sua madre fosse la più vispa, la più monella delle tre Fontana: quella che andava sempre a ballare (cosa che mi accomuna molto a lei, perché anch'io adoro ballare, fin quando studiavo danza da piccola) è stato davvero molto emozionante. Roberta, che adesso è una donna di sessant'anni, ha riconosciuto nel mio viso le stesse lentiggini di sua madre ed è stato davvero stranissimo sentirla esclamare quando mi ha visto: “tu sei mia mamma!”. Mi ha raccontato inoltre quanto ognuna delle tre tenesse tantissimo alla propria eleganza, quanto fossero sempre impeccabili e curate. Non uscivano mai senza rossetto, senza le unghie dipinte di rosso e qualunque altro tipico trucco degli anni Cinquanta, pur essendo delle lavoranti (soprattutto Giovanna, che delle tre era quella che più stava nella sartoria accanto alle lavoranti, perché diceva che era là il posto dove si sentiva più a suo agio). Un ultimo incontro fondamentale è stato quello con la signora Micol, che è davvero una persona fantastica: ha 97 anni e una forza incredibile. Ancora oggi nelle sue parole e nei suoi occhi leggi una vitalità, un grande carisma e un animo da trascinatrice.
Puoi anticiparci cosa vedremo in televisione?
La storia parte dall'infanzia delle tre sorelle a Traversetolo, nella provincia di Parma, e ci porta poi quando a vent'anni decidono di partire per Roma in cerca di fortuna. Nella fiction la trascinatrice delle tre è Micol, mentre nella realtà fu la più grande, ovvero Zoe, che disse: “Andiamo in stazione e prendiamo il primo treno che ci porta lontano”. Delle tre, Giovanna è senza dubbio la più timida, quella con più timori di lasciare la provincia, la madre, la sartoria già avviata, e quella che trova un po' più di difficoltà ad ambientarsi a Roma fra i lavoranti. La grande svolta dell'atelier Fontana arriva con la realizzazione dell'abito da sposa di Linda Christian per il suo matrimonio con Tyrone Power. Da quel momento diventano l'atelier di riferimento per la Roma della Dolce Vita, realizzando abiti per Ava Gardner e Audrey Hepburn. Quello che in sostanza porta avanti il nostro racconto è il sogno di tre ragazze semplici, la forza di credere in un sogno e la caparbietà nel realizzarlo. Altro leitmotiv è l'unione delle tre sorelle: anche nella realtà erano sempre d'accordo, potevano esserci discussioni ma arrivavano sempre a mettersi d'accordo e prendere decisioni in armonia. Ognuna faceva la sua parte e dava il suo tocco: erano una grande macchina e penso che questo venga fuori bene anche dalla fiction perché fra noi tre attrici si è creato un rapporto bellissimo. Ci siamo unite tantissimo, era un continuo scherzare in dialetto parmense e questa armonia è sicuramente una delle cose più belle che mi porto di questa esperienza.
Cosa ha significato rivivere un periodo mitico come la Dolce Vita?
Quelle atmosfere sono le più belle in assoluto per me. Sono davvero appassionata di quegli anni e non a caso la mia attrice preferita è Audrey Hepburn. In quegli anni c'era un'eleganza che oggi purtroppo penso abbiamo perso. Durante la lavorazione noi tre sorelle abbiamo indossato principalmente abiti modesti rispetto a quelli che loro disegnavano, passando dagli abiti umili delle sartine di provincia ai tailleur del grande periodo romano. Però veder indossare i bustini o quelle strette gonne a tubino che inibiscono certi movimenti, ti fa rendere conto che il nostro portamento è radicalmente diverso: non siamo abituati a camminare in quel modo, a sederci in quel modo, direi che siamo molto meno eleganti. I vestiti di allora valorizzavano molto di più la figura femminile, secondo me, perché sottolineavano i fianchi e davano linee più sottili ed eleganti che esaltavano il corpo femminile. Ricordo con grande meraviglia una mattina in particolare: erano le cinque del mattino e abbiamo girato in una Piazza di Spagna deserta, avvicinandoci verso la scalinata su una carrozza trascinata dai cavalli. Quella è stata un'immagine stupenda, da vera Dolce Vita. Ero realmente incantata.
Ti senti un po' ostaggio delle produzioni in costume?
A dir la verità il passato mi affascina tantissimo. Mi piace e mi fa sentire bene interpretare personaggi d'altri tempi. Spesso mi dicono che ho un portamento e un viso d'altri tempi e mi fa molto piacere mettermi in gioco per riscoprire abitudini, luoghi e oggetti desueti. E poi il passato porta con sé soprattutto grandi storie, ci dà l'occasione di poterci arricchire personalmente conoscendo luoghi ed eventi che altrimenti non avremmo avuto occasione di approfondire. Mi trovo molto a mio agio a vestire abiti del passato, anche perché significa già compiere il primo grande passo per entrare nella dimensione del racconto storico: un vestito può esserti di grosso aiuto per raggiungere un portamento diverso e calarsi più in profondità nel sentire del personaggio.
È vero, ho partecipato ad alcune produzioni in costume ma questo non significa che non mi diverti anche a fare tutt'altro. Ad esempio il mio personaggio in Il segreto dell'acqua di Renato De Maria è una ragazza rivoluzionaria, una sorta di punkabbestia con capelli colorati e un carattere molto forte. Mi è piaciuto moltissimo fare un personaggio così diverso dal solito e così diverso da me soprattutto. D'altronde la cosa più divertente per un attore resta sempre cambiare, travestirsi e fare qualcosa che sia lontano da te.
Come vivi di solito il rapporto con i registi, in modo conflittuale o rilassato?
Mi considero fortunata perché finora tutti i registi con cui ho lavorato sono stati registi importanti che mi hanno aiutato a crescere. L'esperienza più formativa della mia vita l'ho fatta in teatro, girando l'Italia per due anni con Giancarlo Cobelli, facendo Dejanira ne “La locandiera” di Goldoni. Prima ancora, un'altra esperienza incredibile per il teatro l'ho fatta a soli 19 anni interpretando Giulietta per Nikolaj Karpov. Karpov è uno dei più importanti autori del teatro russo e fautore della biomeccanica teatrale, una tecnica di recitazione che associare strettamente un'emozione a un preciso movimento e questa difficile palestra è stata senza dubbio una delle più belle esperienze della mia vita. Lavorare in televisione significa entrare in un mondo totalmente diverso ed è grazie ai registi che mi hanno scelto che ho acquisito altre dinamiche e tecniche.
Con Antonio Frazzi ho appena finito di girare Violetta, sceneggiato tratto da “La traviata”, in cui interpreto un personaggio molto bello, assolutamente non banale, con molte sfumature e un po' di malizia. Antonio è riuscito a imporre dei tempi più dilatati e poco consueti per una produzione televisiva, ma assolutamente necessari in una grande produzione e per far provare a sufficienza noi attori. Anche il lavoro con Renato De Maria per Il segreto dell'acqua è stato davvero bello. I suoi consigli sono stati fondamentali per una scena con Riccardo Scamarcio in cui questa ragazza fa un monologo molto intenso dopo che una sua grande amica è stata da poco uccisa. E poi c'è Riccardo Milani, che mi ha dato molta fiducia, volendomi fortemente per questo ruolo da protagonista in L'Atelier Fontana dopo aver girato assieme Rebecca. Fa un piacere enorme quando un regista ti richiama dopo aver lavorato con te, infonde molta fiducia. Inoltre, la sua capacità di gestire l'esuberanza di noi tre “sorelle” è stata davvero incredibile.
A proposito di grandi registi, cosa ricordi dell'esperienza di Nuovomondo?
Ricordo di esser stata scelta dopo parecchi provini. Crialese cercava questa ragazza ovunque per la Sicilia e quando mi ha trovata, io non avevo la minima idea in quale tipo di esperienza sarei entrata. È stato tutto una scoperta: il set e la produzione. Sono stata a contatto con grandissimi attori come Charlotte Gainsbourg e Vincent Schiavelli, che ci insegnava i trucchi dell'Actor's Studio. Abbiamo girato a Buenos Aires, quindi davvero in un altro mondo. Siamo partite in gruppo tre settimane prima della produzione per fare improvvisazioni ed esercizi di acrobazia per simulare la scena della tempesta. Abbiamo preso lezioni di tango per affiatarci, per diventare quella che Crialese chiamava la “palla umana”. A quell'esperienza devo il mio amore viscerale per il tango: mi sono innamorata di questo ballo stupendo che invita all'ascolto dell'altro, a una sensualità inedita. Si dice che il tango sia “un sentimento triste che danza” ed è vero. C'è veramente tutto il piacere di abbandonarsi a se stessi e un'altra persona. E poi ballare nelle vere milonghe argentine, dove non esistono differenze d'età, dove c'è una comunione fortissima, è qualcosa di inimmaginabile.
Una volta arrivati a Venezia per la prima del film, vedermi sullo schermo per la prima volta è stato uno shock. Non ho capito nulla, ero talmente emozionata che mi è sembrato che il film durasse cinque minuti e non riuscivo a guardare niente. È stato come un sogno.
E adesso, con quali registi vorresti poter lavorare un giorno?
In Italia mi piacerebbe molto recitare per Ferzan Ozpetek, perché da quanto mi hanno raccontato amici che hanno lavorato con lui, credo che mi troverei molto bene con il suo metodo di lavoro. Ma se devo puntare ancora più in alto, direi Pedro Almodóvar. Tutti gli attori che tocca diventano come illuminati. Mi piace molto la poetica dei suoi film, è una persona di grande sensibilità, una sensibilità dalle tinte forti. E sono queste tinte le caratteristiche che ricerco nei personaggi.