Aspettative altissime, dalla prima voce, al primo ciak, a questo famigerato 3 marzo, che dai più cinefili ai più piccoli avevano annotato. Ebbene, aspettative piuttosto... deluse.
Un sodalizio, quello Carrol/Burton, che metteva l'acquolina in bocca. Un professore strampalato e pieno di manie, prima tra tutte il puro e incondizionato amore per le bambine come esseri asessuati, e un regista geniale che con luoghi stramplati, folli, spostati e del tutto atipici, è diventato un amico segreto, un idolo di molti.
Ma il tutto delude. Un inizio stratosferico, con un freak burtoniano in tutto e per tutto, una ragazzina trasandata, pallida, antionformista e testarda che crede di essere pazza come la zia zitella, perché tutti pazza la ritengono, da quando era perseguitata dai quei strani sogni, da piccola. Tutta questo splendido alone di magia, con la bellezza spontanea e purissima di Mia Wasiwokna, duro fino all'ingresso a questo tanto atteso Wonderland. Poi, il nulla.
Non perché il tutto non sia abbastanza nuvoloso, cupo e asfissiante per un Burton, bensì per quella che è la trama. Una trama più disneyana di quella de La bella e la bestia, una trama orrendamente lineare e inutile, inferiore mille volte a quella de Le cronache di Narnia, o di qualsiasi altro fantasy.
La ragazza una volta anomala e paladina di tutti noi, che diventa una comunissima eroina che deve solo cercare una spada, per poi sconfiggere un drago, e liberare il Paese delle Meraviglie (nome pronunciato solo alla fine) dalla favolosa Regina Rossa. Un personaggio che smussa la sua complesità, la nostra Alice quasi donna, per una buona e confezionata eroina il cui viaggio alla ricerca di sé, indubbiamente interessante, viene banalizzato e non approfondito come Burton ha sempre fatto.
Una perla di luminosità, quando Alice giunge alla tavola cupissima e del tutto folle di Cappellaio e Lepre Marzolina, accompagnata da un fatiscente Stregatto che, nella prima fumosa apparizione, è decisamente fantastico. Ecco Depp, allora, affascinante anche con occhi finti e capelli fiammanti, che dilaga in una travolgente pazzia, ma che si spegne, lentamente, immalinconendosi con dolcezza e lasciando il suo personaggio, per così dire, una macchiettatura, che esplode nella "deliranza" finale, un balletto molto fanciullesco e divertente, che mostra quanto questo straordinario attore non abbia problemi a farsi beffe della sua avvenenza fisica, ma del tutto inappropriato.
Il personaggio migliore è senza dubbio una stupenda, infantile e rabbiosa Helena Bonham Carter, bella anche con la testa spropozionata della Regina Rossa. Crudele ma bambina nell'animo, con il suo complesso della testa enorme, l'invidia verso l'eterea sorella new-age, il suo malessere interiore per essere così "diversa". Eppure... che fine fa? Esiliata dalla sorella, troppo magnanima per ucciderla.
Burton ci ha traditi, questo verrebbe da pensare. Si è schierato dalla parte dei buoni e dei normali, e ha lasciato le sue tristi creature deformi e imperfette dall'altra parte. Lo stesso uomo che solo tre anni fa metteva nelle sale un film sull'uomo più miserabile di questo mondo vietato ai minori di 14 anni, possibile che si sia convertito al buonismo e alla conformità della sana industria Disney?
Non che manchi in effetti speciali o acuratezza in trucco e abiti, ma in questo film manca... Tim, il nostro Tim. Che questa sia solo una parentesi, e che sia possibile ritrovarlo il prima possibile, con tutta la sua genialità.
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